santuario della libera   di Gaetano Jacobucci
27 Marzo 2012 Share

santuario della libera di Gaetano Jacobucci

 

Il culto alla Madonna della Libera ha avuto inizio nell’area del Mezzogiorno all’epoca del dominio dei Longobardi su Benevento. L’anno 663 i Beneventani, incoraggiati dal santo Vescovo Barbato, resistettero coraggiosamente all’assedio posto alle mura della città dall’esercito dell’imperatore bizantino Costante II. La liberazione venne attribuita all’interces- sione della Vergine, che ebbe da allora il titolo di Liberatrice o della Libera. Il culto verso la Vergine con questo titolo si sarebbe diffuso rapidamente dalla città di Benevento in tutta la Metropolia: Molise, Capitanata, Siponto e Montesantangelo sul Gargano. In molte città si diffuse il culto della Madonna della Libera; secondo una tradizione, l’opera pastorale di S. Barbato divenne più incisiva con l’invio di immagini scolpite nel territorio della diocesi.

Ritrovamento del 1412

La statua lignea, in atteggiamento orante, fu rinvenuta a Cercemaggiore nel luogo ove oggi sorge la chiesa  nella quale è gelosamente custodita. Nel 1412 la statua venne rinvenuta, da un contadino intento ad arare, in una giara di creta. Un manoscritto custodito nell’archivio conventuale e redatto il 1719 riporta il fatto prodigioso. Un’altra testimonianza la si legge, sia pure parzialmente, sull’architrave della porta centrale d’ingresso. L’epoca del ritrovamento è confermata da uno scritto del 12 luglio 1414 nel quale una commissione formata da abitanti di Cercemaggiore e dall’Arciprete chiedevano all’Arcivescovo di Benevento, Donato I d’Aquino, l’autorizzazione di costruire sul luogo dove era stata ritrovata la sacra immagine “… nascosta dalla pietà dei fedeli per evitare la distruzione dai feroci e terribili Iconoclasti una cappella e un convitto”.

La statua

Sull’altare maggiore della chiesa, in una teca tardo novecentesca, è custodita la preziosa effigie. Nel panorama della scultura molisana essa è da annoverare tra le più antiche opere di valore artistico-devozionale. Dalla qualità dell’intaglio e dall’ottima conservazione, data la natura del materiale facile al deperimento, sembra quasi di stare di fronte ad un segreto mistero. Il risultato è dovuto al restauro del 2004, eseguito dall’Istituto Centrale di Restauro, che procedette al consolidamento del legno e alla pulitura dell’opera. L’immagine racchiude una fattura gotica con rifacimenti bizantineggianti. La rappresentazione è secondo lo stile delle immagini “oranti”, nella postura frontale. La decorazione della immagine è con una veste blu trapuntata con stelle dorate, il mantello dorato con risvolti rosacei, sul capo un panneggio su cui è adagiato un diadema dorato trilobato, certamente richiami ai privilegi della Santa Madre di Dio (Vergine prima, nel e dopo il parto). Il sorriso indefinito e lo sguardo illuminante conferiscono pace e fiducia in chi le sta innanzi. Tre croci segnano i palmi delle mani e il collo…

Il segno delle mani alzate

Un gesto significativo che troviamo nei testi biblici sono le mani alzate. “Alzare le braccia al cielo, quando si parla con Dio è un gesto naturale, istintivo: un arrendersi nella ricerca della misericordia; uno slanciarsi verso il Padre per sentirsi figli; aprirsi all’amore di tutte le creature; un offrire adorazione, lode e ringraziamento; impennare le ali dell’anima e del corpo per staccarsi da tutto ciò che è terreno e slanciarsi verso il cielo…”(Corrado card. Ursi). ☺

jacobuccig@gmail.com

 

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