scelte responsabili
21 Marzo 2010 Share

scelte responsabili

 

“I padri hanno mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”. Questo proverbio che forse molti conoscono, non tutti sanno che è tratto dalla bibbia; esattamente dal profeta Ezechiele (18,2). In questa frase è sintetizzata tutta la riflessione israelita sul perché della sofferenza dell’innocente: l’espiazione del peccato dei padri, in base all’inesatta interpretazione di Es 34,7, in cui si afferma che Dio punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Dico interpretazione inesatta perché incompleta, in quanto il contesto vuole sottolineare non la punizione fino a quattro generazioni, ma la bontà di Dio fino a mille generazioni, come a dire che non c’è paragone tra la punizione e la benevolenza di Dio, infinitamente più grande. Tuttavia, inesattezza non significa sbaglio completo, in quanto sia l’affermazione dell’Esodo che la massima sapienziale della tradizione ebraica contengono una verità profonda, perché nascono dalla constatazione che gli errori e le mancanze di una generazione non esauriscono l’effetto con la fine di quella generazione, ma spesso si ripercuotono anche su chi viene dopo.

E allora perché il profeta Ezechiele si sente dire da Dio: “Com’è vero che io vivo voi non ripeterete più questo proverbio in Israele” (18,3)? Il motivo è semplice: contrastare un’interpretazione magica e deterministica di ciò che Dio ha detto a Mosé sul Sinai: se uno pecca, poiché Dio ha parlato, gli effetti si devono ripercuotere sulle generazioni successive, anche se chi viene dopo non ha colpa. È questo determinismo che il profeta e, attraverso di lui, Dio stesso, vogliono escludere. La colpa dei padri non può ricadere automaticamente sui figli, ma ogni generazione può essere artefice della riuscita o meno della propria vita. Tutte e due le prospettive sono vere: da una lato il male che commettiamo, il costruirsi un’esistenza senza senso, lo sperperare le proprie qualità e risorse, ricade anche su chi ci sta intorno e su chi viene dopo di noi (basti pensare allo sbando dei figli che non hanno genitori capaci, ma anche ai contesti sociali, politici ed economici negativi che producono vittime sia direttamente che di riflesso, oppure alla questione ambientale, che oggi è così impellente, in quanto ci rendiamo conto che i nostri sprechi si trasformeranno in una riduzione delle possibilità di vita certa per le generazioni future); dall’altro lato però è possibile invertire la tendenza, almeno in due modi: non ripetendo gli stessi errori dei padri e prendendo consapevolezza dei passi da fare per riparare ai danni fatti dalle generazioni precedenti. In tal senso esiste comunque una corresponsabilità oggettiva sia tra uomini della stessa generazione sia tra le generazioni; la corresponsabilità però diventa correità se si chiudono gli occhi di fronte agli scempi perpetrati, oppure si ripercorrono le stesse strade senza uscita. È la correità che diventa peccato, colpa in senso biblico: il profeta Ezechiele è molto chiaro nel ribadire che non c’è determinismo nel pagare le colpe dei padri, se non quello dovuto all’ignoranza, colpevole o incolpevole.

La funzione del profeta, dell’uomo di Dio, di chi legge la vita alla luce della Parola di Dio e ascolta la Parola pienamente immerso nel proprio tempo è quella di risvegliare le coscienze, da un lato liberandole dalla cattiva interpretazione del rapporto tra Dio e il mondo (escludendo la punizione automatica) e dall’altro facendo prendere coscienza della situazione degradata in cui si vive per cambiare il corso degli eventi, scegliere nuove strade, e soprattutto far recuperare la virtù della responsabilità, sia in senso negativo che positivo. Responsabilità negativa è pagare il prezzo della condivisione delle colpe dei padri; responsabilità positiva, invece, è essere consapevoli di doversi prendere cura degli altri sia presenti che futuri. Alla fine della lunga riflessione Ezechiele invita, infatti, gli israeliti a cambiare modo di pensare e a fare scelte in direzione opposta alle precedenti generazioni e che avevano portato, con la loro empietà, alla catastrofe dell’esilio: “Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire o Israeliti? Io non godo della morte di chi muore. Convertitevi e vivrete” (18,30-32).

È per questo che Ezechiele, pur profetizzando da Babilonia, il luogo dell’esilio, può sognare la rinascita di Gerusalemme e del popolo. Se avesse creduto anche lui all’interpretazione deterministica delle parole di Dio, avrebbe dovuto predicare la rassegnazione, ma poiché aveva capito che l’accento della parola di Dio cade sulla benevolenza di Dio “che conserva il suo favore per mille generazioni” (Es 34,7), poteva invitare al cambiamento di mentalità e dello stile di vita, certo che i comportamenti virtuosi portano a risultati più duraturi (mille generazioni) rispetto alle scorciatoie dei furbi, che si rivelano essere solo vicoli ciechi.

La lezione di Ezechiele e, in fondo, di tutta la profezia biblica, dice anche a noi oggi di fare delle scelte responsabili, di non rassegnarci ad accettare le situazioni che abbiamo ereditato dalle generazioni passate e che purtroppo continuano a produrre effetti negativi sulla nostra società, sia a livello globale che nazionale e infine locale; se noi facessimo questo, infatti, saremmo corresponsabili, con la differenza che mentre i nostri padri almeno hanno mangiato, a noi resteranno solo gli effetti nefasti dell’abbuffata. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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