segnali inequivocabili
10 Marzo 2011 Share

segnali inequivocabili

 

 

“Un tempo, anni luce addietro, al governo spadroneggiava Berlusconi circondato da una banda di nominati, fintamente eletti dal popolo. Avevano prostituito il cervello ed erano pronti ad assecondarlo oltre ogni limite di decenza a tal punto che in 315 avevano affermato senza il minimo moto di riso o sghignazzo che Berlusconi aveva telefonato in questura a favore di Ruby per evitare una crisi internazionale. Diversi impararono la transumanza da un partito all’altro, avendo scoperto il potere ricattatorio in loro possesso. Poi finalmente una grande risata di popolo li aveva definitivamente sepolti e loro stessi si vergognavano di uscire alla luce del sole”. Mi sarebbe piaciuto iniziare così, ma bisogna temporeggiare ancora un poco, anche se i tempi sono ormai maturi per cacciare in galera chi, a 150 anni dall’unità, mentre noi facciamo l’Italia,  si fa le italiane, possibilmente minorenni, certamente di bella presenza. Sulle turpitudini del premier non vorrei dilungarmi e soprattutto non tediare, benché, nonostante tutto, ci siano ancora troppe persone acritiche, in special modo tra uomini di chiesa e porporati, che continuano a vederlo come l’ultimo baluardo in difesa dei valori cristiani e contro il comunismo. Forse sono solo soggiogati dal fascino del denaro pubblico elargito a profusione a quelli che entrano nella corte. Da ottimi produttori di prosciutto, non mi meraviglio, anche se mi indigno, di fronte al fatto che non pochi preferiscono mettersi le fette sugli occhi anziché in bocca, come si converrebbe.

Il mediterraneo è in ebollizione, finalmente. I popoli cominciano ad affollare le piazze per dire basta a politiche dittatoriali e oppressive, poco rispettose dei diritti umani e della libertà di autodeterminazione. Le giornate della collera stanno travolgendo quanti hanno basato la loro fortuna, anche economica, sullo sfruttamento dei poveri. Un dato vergognoso è certo: fanno politica non per migliorare le sorti delle nazioni che indegnamente rappresentano, ma per ammassare immense ricchezze, chiaramente all’estero, in modo da avere sempre una possibile via di fuga. Dalla Tunisia al Marocco, dall’Egitto alla Libia, la gente comune non ne può più. E delle loro disgrazie noi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti, abbiamo tratto grossi vantaggi e abbiamo molte responsabilità, favorendo le multinazionali che foraggiano i governanti mentre affamano i popoli. Se poi, disperati, arrivano alle nostre frontiere, cerchiamo di respingerli senza nessuna pietà. Amiamo i loro beni, non le loro facce.

Il maremoto scatenatosi a livello intercontinentale ha lambito anche le nostre coste. Se non ora, quando? è lo slogan che ha visto riempire le piazze d’Italia il 13 febbraio. È grazie alle donne, decisamente più sensibili e attente al vento di novità, che tutti cominciamo a respirare una nuova aria, certamente non più di rassegnazione. Saranno le donne a impedire che facciamo la fine del ranocchio. Quest’ultimo, come si sa, se viene messo in una pentola con acqua calda schizza immediatamente fuori; se, invece, l’animaletto si trova in un tegame con acqua fredda e sotto viene acceso il fuoco, non percepisce l’aumento della temperatura tanto da finire cotto. Prima che il berlusconismo lessi definitivamente le nostre coscienze, le donne in piazza hanno suonato il campanello di allarme così forte e chiaro che non possiamo continuare a far finta che tutto vada bene. È tempo di avviare una nuova politica, un riscatto nazionale e locale, magari guidato proprio dalle donne. Si comincia a fare il nome di Rosy Bindi, speriamo non per bruciarlo. Intanto è necessario rimandare a casa tutti quelli che ci hanno ridotto in queste pessime condizioni, senza sconti o indulgenze.

Il primo appuntamento è il rinnovo del consiglio provinciale di Campobasso. Non ci stanno bene le logiche vecchie e decrepite dei Ruta e di tutti i gattopardi che già hanno fallito e tuttavia cercano di riciclarsi, senza accorgersi che ormai semplicemente galleggiano. O i partiti adottano politiche nuove e credibili, se vogliono vederci coinvolti, o ci chiamiamo fuori da subito. Troppi danni stiamo subendo in un silenzio assordante di chi avrebbe dovuto, se non altro per dovere istituzionale, gridare forte: dalla sanità sempre più allo sfascio alla ricostruzione delle zone terremotate, Abruzzo compreso, per le quali non è previsto il becco di un quattrino, anzi saranno tartassate da nuovi balzelli.

Sogniamo una società a misura di persone, senza esclusioni, perciò saremo in piazza il primo marzo accanto agli immigrati, come lo siamo da un anno all’altro, per ribadire che un giorno senza di loro ci mortifica immensamente. Un benessere a scapito di altri è ingannevole e destinato a non durare.

Segnali inequivocabili ci interpellano. Non leggerli sarebbe miopia imperdonabile per noi e per le generazioni che seguiranno. Il prof. Vecchioni cantava a Sanremo: E per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero. E allora, se non ora, quando tornare a desiderare? ☺

 

eoc

eoc