senza lavoro e pensione    di Antonello Miccoli
27 Marzo 2012 Share

senza lavoro e pensione di Antonello Miccoli

 

A livello nazionale non esiste ancora un numero che riassuma il dramma sociale di tutti coloro che – per motivi diversi – risultano essere privi di stipendio e di pensione. Appare comunque superata la cifra dei 65mila soggetti costretti a vivere senza alcuna forma di reddito. In Molise la Cgil ha più volte sollevato il problema delle persone che si trovano nella suddetta condizione: lo stesso Ordine del Giorno che, approvato in occasione della votazione della legge finanziaria 2012, impegnava la Giunta ad assumere urgenti iniziative onde sostenere i lavoratori con più di 55 anni ai quali era scaduta la proroga della mobilità, tuttora non risulta aver avuto alcun seguito. Nel frattempo il disagio delle famiglie si accresce determinando un aumento della povertà che, in assenza di una forte ripresa economica, rischia di sfociare nella disperazione. D’altra parte risulta difficile pensare che questi cittadini possano essere ricollocati facilmente nel contesto produttivo, a fronte di una regione che presenta dati statistici, di ordine economico e sociale, fortemente negativi. Potremmo dilungarci nell’elencare i deficit del nostro territorio e discutere della mancanza di un’idea chiara di sviluppo. Il dato vero è che il disagio non può attendere all’infinito: a questi uomini ed a queste donne si deve una risposta da parte delle Istituzioni. La capacità di esprimere vicinanza, di ascoltare e di porsi al servizio dei soggetti più deboli, dovrebbe rappresentare l’essenza del nostro agire quotidiano: giacché la speranza si ricostruisce con atti cementati dalla concretezza del fare affinché ogni nostro pronunciamento acquisti un valore autentico.

Nei fatti, la mancanza d’azione sta condannando centinaia di famiglia alla perdita della speranza; anche chi ha la fortuna di lavorare non coglie dinanzi a sé un futuro occupazionale certo;  altri ancora non percepiscono con regolarità lo stipendio e per sopravvivere fanno ricorso alla rete della solidarietà familiare. Per altri si apre la penosa strada dell’indebitamento: un processo che determina un avvitamento sul proprio disagio che rischia di condurre anche alla perdita dei pochi beni posseduti. Mai come in questo periodo la Costituzione viene negata nei suoi tratti fondamentali: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art.3)”. La nostra Costituzione, come ricordava Calamandrei nel lontano 1955, “è una costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente”. Tale affermazione richiama tutti noi all’impegno di essere uomini, prima ancora che cittadini: persone che non possono vivere nell’indifferenza del disagio che colpisce chi vive semplicemente del proprio lavoro. Anche la morte per mancanza di opportunità occupazionali sembra passare inosservata; mentre infatti, durante la crisi degli anni ’80, istituzioni e studiosi monitorarono e censirono 150 suicidi tra i cassaintegrati, oggi non sappiamo nulla di quanto sta accadendo: sporadicamente la stampa ci segnala qualche fatto di cronaca, ma quanto sia ampio il fenomeno non è dato saperlo. Così come non emerge il disagio psicologico che sta colpendo tutti coloro che sono costretti a vivere con un misero sussidio o senza risorse quando termina l’erogazione.

A tutti noi il compito di non mollare, di essere presenti, di affermare, una volta di più, che un mondo senza giustizia sociale e prigioniero dei poteri forti non ci appartiene e non ci apparterrà mai; va soprattutto respinto il disegno di una società che intende costruire un’idea di “progresso” progettato sull’emarginazione dei deboli e sulla negazione della più profonda dignità umana. ☺

a.miccoli@cgilmolise.it

 

 

 

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