siamo circondati     di Loredana Alberti
2 Settembre 2012 Share

siamo circondati di Loredana Alberti

 

Questo forse è l’ultimo scritto che mando, che potrò mandare: sono cambiate tante cose intorno a me, non so più a cosa e a chi credere e ciò incrina la mia identità, le mie facoltà di scelta. Non so se vale continuare questo “gioco” che da tempo è iniziato ma che solo negli ultimi due mesi mi è apparso nella sua totalità. So che siamo rimasti in pochi, in pochissimi e non so neppure se voi, amici lontani, siete come me o come gli Altri. Ecco, già mi sta prendendo la gola un senso di affanno e di inutilità, devo farmi forza e appellarmi ai tanti che non ho più, Nick, Flo, Simo. Voi che avevate capito, dove siete? Insegnatemi voi, tu Nick con il tuo sorriso complice ed arrendevole, tu Simo con la tua calma malinconica e tu Flo con l’ironia suadente.

Devo essere il più normale possibile.

Ma davvero questo è l’ultimo messaggio in bottiglia.

Qualcuno di voi capirà? Qualcuno di voi borbotterà: le solite sciocchezze facendo spallucce? Qualcuno penserà ad uno scherzo banale di un’estate violenta e torrida?

Vi prego, non ridete, non ignorate le mie parole, credetemi!

Siamo circondati: sono arrivati silenziosamente, senza che ce ne accorgessimo, hanno divorato le nostre anime, si sono impossessati dei nostri corpi, facendone delle copie, vivono al nostro posto, in nostra vece ma non siamo noi; non abbiamo  più passioni, sentimenti, siamo denervati. Ricordate il film di Don Siegel dove strani invasori dello spazio atterrano sotto forma di baccelli in una tranquilla cittadina e a poco a poco occupano i corpi dei suoi abitanti? Fu considerato un film contro il maccartismo, asciutto, essenziale, senza effetti speciali, sottile nella sua ambiguità.

Ebbene è successo, non so dirvi come, non so dire esattamene quando è cominciato altrove, ma qui da noi so bene quando ho avuto la sensazione di essere circondata da non umani, da alieni che ci dominano spinti, con freddo distacco, solo dal Potere. È così, non so se ci replicano nel sonno come i baccelloni di Siegel, so che i replicanti sono oramai ovunque: distratti, gelidi, privi di umana pietas, di vera amicizia, di vero amore. Usano parole stantie, formali: sono fra noi, sono il capoufficio, la persona che ci abita di fronte, il politico che ci parla di spread e non di come soffriamo e patiamo nella miseria. Possono anche piangere, cioè emettere liquido simile alle lacrime, ma non soffrono, non amano, non sono felici o infelici, sono solo altri da noi. E sono ovunque, anche fra i nostri familiari, e la cosa si fa più inquietante. Per questo mi sono sottoposta ad una prova estrema, definitiva, che potesse smascherarli, per questo da due mesi sono qui rannicchiata in una casa che non mi appartiene, non ha alcun mio odore, nessun oggetto che sia mio, nessuna mia storia, non dormo oramai da molti giorni perché ho paura che si impossessino anche di me e che anche io mi possa svegliare senza passioni, senza amore, senza il calore di amicizia e altro: sentimento che ti spinge a vivere, ad essere insieme agli altri, a scegliere della tua vita.

Ma non vedete, non sentite anche voi come tutto è cambiato? Accusiamo la crisi, la povertà, ma in realtà siamo circondati dall’indifferenza, dal disinteresse di finti umani che cercano di omologarci nella paura e quindi nella sottomissione, per obbedire a questa vita senza dignità e sentimenti, per potere dominare tutto il mondo umano. Sono rassicuranti ma gelidi, comprensivi nel dire, ma duri nell’agire e noi ci sentiamo frastornati, non più noi stessi. Per questo due mesi fa ho annunciato che stavo perdendo la casa in cui vivo, l’ho detto pubblicamente, la petite maison sarebbe scomparsa nel giro di un anno e sapevo che chiedendo aiuto pubblico e privato i veri amici, quelli che sapevano e sanno  che il primo ottobre devo essere in tribunale e che un giudice dirà se avrò o no lo sfratto entro un anno, mi avrebbero riempito di cure, amore e sostegno.

 Molti diranno ma che vuoi che sia una casa? A parte il piccolo particolare che non ho i soldi per averne un’altra in affitto a Bologna, che non posso permettermi altro, la poesia e l’arte non pagano e non danno sicurezza, ma la casa per me, e voi amici miei lo sapevate e lo sapete, è pezzi, carne di vita, di amori, di passioni, di liti furibonde.

I miei 56 mq hanno in ogni angolo la mia vita dal ‘73 ad oggi.

Lì vicino al tappeto Ale ha compiuto i suoi diciotto anni e abbiamo festeggiato insieme alle sue amiche. Lì a sinistra, al tavolo giocavamo a Natale a mercante in fiera o mangiavamo la cicerchiata: finalmente insieme, finalmente felici facevamo festa, sulla parete di fronte dominava ancora un collage enorme con visi di attori che Alessandro, un amico di Campobasso, aveva composto. Lì  Luigi, mio figlio, ha studiato, ha ripetuto alcune volte con me le lezioni; arrivava la notte verso le tre, sapendo che io vado a letto tardi, a portarmi i bomboloni che uscivano in strada Maggiore, i primi della mattina, da un forno preso d’assalto da giovani e meno giovani. Lì ho baciato, ho fatto l’amore, mi sono distrutta, ho pianto, ho voluto morire ed ho voluto vivere; è nella stanzina lunga e stretta che ho guardato i tetti e le stelle e i miei gatti andare per tetti sconosciuti; è sul soppalco che chiamo nido d’upupa o nido di ferro, dove passo le mie notti scrivendo e leggendo, lì ho lottato, parlato, portato avanti incontri, serate con poeti… con Gil soprattutto. Dove sei ora? Tu non saresti mai diventato un replicante. Lì dove si spalanca il primo raggio del sole arrivasti per farmi un’intervista borbottando: – Da te, quando vengo piove sempre -. Tuonò e subito dopo arrivò il sole.

Sempre lì annichilita, rannicchiata in una poltrona chiamai Roberto perché mantenesse la sua promessa di parlarmi di poesia prima che cedessi alla morte. Salì con la sua barba candida, mi parlò e poi non mantenne la promessa, quando venne in ospedale lo chiamai nel dormiveglia traditore, mi carezzò. Lì ho scritto sceneggiature, spettacoli, ho visto uscire dagli angoli scene, personaggi, ho visto piangere e sorridere, vive, le mie parole, le mie poesie, le mie creazioni.

Via de’ chiari era ed è il nido della mia vita.

 Ho chiesto sostegno, lettere pubbliche, appelli, certamente tutti i miei amici avrebbero risposto.

Ed invece già tutto era stato trasformato, altrimenti perche la pasionaria amica che aveva scritto su di me parole bellissime, avrebbe risposto un vago dimmi dove devo firmare, e perché Cinzia, la bella, giovane esuberante poeta che mi ha sempre seguito, ha risposto dimmi, Ninì, che fare, stop. E il mio vecchio amico di Roma, quello che si era invaghito per un bel po’di tempo e che mi scriveva ogni giorno e si preoccupava di ogni mio colpo di tosse e che mi scrisse una volta – ho dedicato a te più tempo che a tutte le altre donne ed io e Prima (è lei l’unica di cui sono sicura oggi, ci sentiamo e ci diciamo come prima parola – siamo circondate -, anzi è lei che mi ci ha fatto pensare a questo dominio di alieni) gli rispondemmo verso le tre di notte “ma le altre erano tisiche?” dato che a me forse aveva dedicato due o tre ore.

E il tenero Corteccia, (così lo chiamo per scherzo) il mio amico dagli anni ‘80, quello che mi abbracciava sulle dune di Termoli per farmi capire quanto era fraterno, quanto capisse il mio dolore di allora, risponde: mi dispiace, ci sentiamo, a presto, lo sai che qui è aperto. Non è lui. Corteccia non è più lui!

E l’amore di sempre, quello con cui ho lottato una vita di spettacoli, sperimentazioni, con cui abbiamo messo soldi e speranze e pezzi di vita appassionata e artistica insieme? Dalla Grecia mi chiama dicendo, qui c’è vento, non c’è campo, come va?

Urlerei: ho il cuore a pezzi, sto andando in tilt e invece, sapendo che gli altri mi ascoltano, rispondo – bene, tutto bene -. Anche perché non so se i suoi occhi hanno già quel puntino grigio ferro al centro della pupilla.

Ve l’ho scritto? Un punto di ferro che brilla da solo ti fa capire se sono Loro.

Ieri è arrivata mia figlia, aveva un bel vestito bianco e rosso, un bel rossetto; mi ha sorriso da lontano, quando mi sono avvicinata per baciarla si è ritirata. Lo fa spesso, non è abituata ai miei baci, ma ieri ho avuto paura, l’ho guardata nel fondo degli occhi, per fortuna ha sorriso e poco dopo ha avuto la sua bella risata che chiamiamo di gallinella.

Oggi ci saranno lei e Luigi e temo di guardarli e di sentire – come va? Ti stai abituando a vivere in collina?- Capirò che li hanno presi.

Queste sono le mie ultime parole. Ieri sera  tardi, per cellulare Prima mi diceva ridacchiando: – Non c’è speranza, stiamo cambiando tutti con questa crisi di merda e questa povertà -. Ho taciuto, ho cercato di sentire fra i fili se qualcosa di lei mi desse un segnale. No, Prima, la sciamana, colei che ha riso e pianto con me, che ha scritto con me pezzi per un web giornale da ridere all’infinito mentre facevamo le inviate speciali per l’estate e parlavamo sempre dal “BAR-ATRO”! Prima no! Non voglio che domani mi dica per telefono con voce neutra, come mia sorella o altri familiari: -Non sai quanto mi d-i-s-p-i-a-c-e!-

Stanotte sono stata con gli occhi aperti, ho guardato le stelle, ma mi sembravano tutte oramai occhi pronti a spiare.

Vi prego, non dormite, credetemi. Gli alieni sono fra noi, ci stanno divorando. E non avremo più, mai più alcuna possibilità di sognare, amare, ridere, piangere, soffrire. Non dormite mai più. Aiuto! ☺

 ninive@aliceposta.it

 

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