L’ultimo grave infortunio, accaduto a settembre in un’azienda del nucleo industriale di Termoli, dove un operaio interinale di 30 anni è rimasto ustionato all’addome e al torace, ripropone i problemi collegati alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Un doveroso impegno che deve porre fine a un processo che, solo in Italia, causa 1300 morti l’anno. A questi vanno aggiunti un milione di infortuni ufficiali che colpiscono maggiormente lavoratori immigrati e precari. Si contano inoltre 200.000 infortuni non denunciati a causa del lavoro nero; inoltre, innumerevoli incidenti sono occultati sotto forma di malattia oppure, più semplicemente, vengono denunciati come infortunio domestico. Aumentano nel contempo le malattie professionali: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che in Europa le morti per malattie professionali siano il quadruplo di quelle per infortuni, mentre nel mondo ogni anno si registrano 2.372.500 decessi. Solo nel nostro Paese i costi pagati in termini economici ammontano al 3% del Pil (pari a 40 miliardi di euro l’anno). A queste vanno aggiunte le sofferenze morali, psicologiche e fisiche dei lavoratori e delle loro famiglie: costi umani, sociali ed economici che non devono essere considerati una normalità come viene ricordato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Oil e dalla vigente normativa nazionale. La stessa Costituzione, attraverso l’art. 41, ricorda che “l’iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
La prima sfida per tutti i soggetti presenti in azienda è dunque quella di declinare i valori costituzionali nella vita delle imprese. Ne consegue che ogni forma di crescita economica e produttiva non possa in alcun modo prescindere dal rispetto dei bisogni psico-fisici degli uomini e delle donne, come stabilito dalle leggi dello Stato e dalle normative Comunitarie ed Internazionali. Di recente in Italia si è avuto un riordino della materia attraverso il Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008: in riferimento a tale normativa, va sottolineato come l’Art. 1 imponga “l'uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”. Tutti i cittadini devono dunque essere tutelati a prescindere dal luogo di residenza, dalla nazionalità e dalle caratteristiche anagrafiche. Ogni lavoratore, come sottolinea l’art. 2 del relativo decreto, va considerato “una persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”. La salute stessa viene definita come “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”.
Si può dunque affermare che solo un’organizzazione del lavoro in grado di rispettare la dignità dell’uomo diviene il simbolo tangibile della crescita civile e morale di una determinata società. Viceversa, quando gli imprenditori limitano la propria intelligenza a fattori tecnici e commerciali, e non si pongono il problema del benessere psico-fisico dei propri dipendenti, ostacolano la costruzione di rapporti sociali volti a favorire lo sviluppo dell’impresa entro una dimensione comunitaria.
La qualità del lavoro può essere fonte di realizzazione e di crescita umana, oppure causa di alienazione e di sofferenza. In quest’ultimo caso il soggetto cerca di resistere agli elementi negativi; un’opera- zione, attraverso la quale, viene a determinarsi un dispendio di energie, che, in relazione alla sua consistenza, può condurre all’insorgenza di malattie psico-somatiche; la situazione di stress psico-sociale, se ripetuta e prolungata nel tempo, aumenta il logoramento individuale e produce danni funzionali e strutturali. Inoltre un individuo, sotto stress, ha maggiori probabilità di essere coinvolto in un incidente nello svolgimento della propria attività. Da qui l’importanza di intervenire affinché si ricostruisca una civiltà del lavoro, una diversa dimensione capace, nel suo insieme, di ristabilire la centralità della persona contro ogni forma tesa ad assolutizzare il profitto ed a deificare, oltre ogni misura, un mercato che riduce l’uomo ad un oggetto privo di anima e di dignità.☺
a.miccoli@cgilmolise.it
L’ultimo grave infortunio, accaduto a settembre in un’azienda del nucleo industriale di Termoli, dove un operaio interinale di 30 anni è rimasto ustionato all’addome e al torace, ripropone i problemi collegati alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Un doveroso impegno che deve porre fine a un processo che, solo in Italia, causa 1300 morti l’anno. A questi vanno aggiunti un milione di infortuni ufficiali che colpiscono maggiormente lavoratori immigrati e precari. Si contano inoltre 200.000 infortuni non denunciati a causa del lavoro nero; inoltre, innumerevoli incidenti sono occultati sotto forma di malattia oppure, più semplicemente, vengono denunciati come infortunio domestico. Aumentano nel contempo le malattie professionali: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che in Europa le morti per malattie professionali siano il quadruplo di quelle per infortuni, mentre nel mondo ogni anno si registrano 2.372.500 decessi. Solo nel nostro Paese i costi pagati in termini economici ammontano al 3% del Pil (pari a 40 miliardi di euro l’anno). A queste vanno aggiunte le sofferenze morali, psicologiche e fisiche dei lavoratori e delle loro famiglie: costi umani, sociali ed economici che non devono essere considerati una normalità come viene ricordato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Oil e dalla vigente normativa nazionale. La stessa Costituzione, attraverso l’art. 41, ricorda che “l’iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
La prima sfida per tutti i soggetti presenti in azienda è dunque quella di declinare i valori costituzionali nella vita delle imprese. Ne consegue che ogni forma di crescita economica e produttiva non possa in alcun modo prescindere dal rispetto dei bisogni psico-fisici degli uomini e delle donne, come stabilito dalle leggi dello Stato e dalle normative Comunitarie ed Internazionali. Di recente in Italia si è avuto un riordino della materia attraverso il Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008: in riferimento a tale normativa, va sottolineato come l’Art. 1 imponga “l'uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”. Tutti i cittadini devono dunque essere tutelati a prescindere dal luogo di residenza, dalla nazionalità e dalle caratteristiche anagrafiche. Ogni lavoratore, come sottolinea l’art. 2 del relativo decreto, va considerato “una persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”. La salute stessa viene definita come “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”.
Si può dunque affermare che solo un’organizzazione del lavoro in grado di rispettare la dignità dell’uomo diviene il simbolo tangibile della crescita civile e morale di una determinata società. Viceversa, quando gli imprenditori limitano la propria intelligenza a fattori tecnici e commerciali, e non si pongono il problema del benessere psico-fisico dei propri dipendenti, ostacolano la costruzione di rapporti sociali volti a favorire lo sviluppo dell’impresa entro una dimensione comunitaria.
La qualità del lavoro può essere fonte di realizzazione e di crescita umana, oppure causa di alienazione e di sofferenza. In quest’ultimo caso il soggetto cerca di resistere agli elementi negativi; un’opera- zione, attraverso la quale, viene a determinarsi un dispendio di energie, che, in relazione alla sua consistenza, può condurre all’insorgenza di malattie psico-somatiche; la situazione di stress psico-sociale, se ripetuta e prolungata nel tempo, aumenta il logoramento individuale e produce danni funzionali e strutturali. Inoltre un individuo, sotto stress, ha maggiori probabilità di essere coinvolto in un incidente nello svolgimento della propria attività. Da qui l’importanza di intervenire affinché si ricostruisca una civiltà del lavoro, una diversa dimensione capace, nel suo insieme, di ristabilire la centralità della persona contro ogni forma tesa ad assolutizzare il profitto ed a deificare, oltre ogni misura, un mercato che riduce l’uomo ad un oggetto privo di anima e di dignità.☺
L’ultimo grave infortunio, accaduto a settembre in un’azienda del nucleo industriale di Termoli, dove un operaio interinale di 30 anni è rimasto ustionato all’addome e al torace, ripropone i problemi collegati alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Un doveroso impegno che deve porre fine a un processo che, solo in Italia, causa 1300 morti l’anno. A questi vanno aggiunti un milione di infortuni ufficiali che colpiscono maggiormente lavoratori immigrati e precari. Si contano inoltre 200.000 infortuni non denunciati a causa del lavoro nero; inoltre, innumerevoli incidenti sono occultati sotto forma di malattia oppure, più semplicemente, vengono denunciati come infortunio domestico. Aumentano nel contempo le malattie professionali: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che in Europa le morti per malattie professionali siano il quadruplo di quelle per infortuni, mentre nel mondo ogni anno si registrano 2.372.500 decessi. Solo nel nostro Paese i costi pagati in termini economici ammontano al 3% del Pil (pari a 40 miliardi di euro l’anno). A queste vanno aggiunte le sofferenze morali, psicologiche e fisiche dei lavoratori e delle loro famiglie: costi umani, sociali ed economici che non devono essere considerati una normalità come viene ricordato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Oil e dalla vigente normativa nazionale. La stessa Costituzione, attraverso l’art. 41, ricorda che “l’iniziativa privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.
La prima sfida per tutti i soggetti presenti in azienda è dunque quella di declinare i valori costituzionali nella vita delle imprese. Ne consegue che ogni forma di crescita economica e produttiva non possa in alcun modo prescindere dal rispetto dei bisogni psico-fisici degli uomini e delle donne, come stabilito dalle leggi dello Stato e dalle normative Comunitarie ed Internazionali. Di recente in Italia si è avuto un riordino della materia attraverso il Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008: in riferimento a tale normativa, va sottolineato come l’Art. 1 imponga “l'uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati”. Tutti i cittadini devono dunque essere tutelati a prescindere dal luogo di residenza, dalla nazionalità e dalle caratteristiche anagrafiche. Ogni lavoratore, come sottolinea l’art. 2 del relativo decreto, va considerato “una persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”. La salute stessa viene definita come “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”.
Si può dunque affermare che solo un’organizzazione del lavoro in grado di rispettare la dignità dell’uomo diviene il simbolo tangibile della crescita civile e morale di una determinata società. Viceversa, quando gli imprenditori limitano la propria intelligenza a fattori tecnici e commerciali, e non si pongono il problema del benessere psico-fisico dei propri dipendenti, ostacolano la costruzione di rapporti sociali volti a favorire lo sviluppo dell’impresa entro una dimensione comunitaria.
La qualità del lavoro può essere fonte di realizzazione e di crescita umana, oppure causa di alienazione e di sofferenza. In quest’ultimo caso il soggetto cerca di resistere agli elementi negativi; un’opera- zione, attraverso la quale, viene a determinarsi un dispendio di energie, che, in relazione alla sua consistenza, può condurre all’insorgenza di malattie psico-somatiche; la situazione di stress psico-sociale, se ripetuta e prolungata nel tempo, aumenta il logoramento individuale e produce danni funzionali e strutturali. Inoltre un individuo, sotto stress, ha maggiori probabilità di essere coinvolto in un incidente nello svolgimento della propria attività. Da qui l’importanza di intervenire affinché si ricostruisca una civiltà del lavoro, una diversa dimensione capace, nel suo insieme, di ristabilire la centralità della persona contro ogni forma tesa ad assolutizzare il profitto ed a deificare, oltre ogni misura, un mercato che riduce l’uomo ad un oggetto privo di anima e di dignità.☺
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