sisifo
18 Aprile 2010 Share

sisifo

 

Ancora un mito ed è ora la volta di Sisifo. Con una premessa: interpretare il presente è possibile solo nella misura in cui si racconta ciò che è accaduto. Finché rimane in vita il significato di eventi, reali o fantastici che siano, finché racconteremo a noi stessi e agli altri gli avvenimenti significativi delle nostre esistenze, il mondo ci apparirà meno disumano.

Nel libro XI dell’Odissea Ulisse, continuando a narrare di sé alla corte di Alcinoo, re dei Feaci, racconta di quando, congedatosi da Circe e giunto alla città dei Cimmerii, incontra l’indovino Tiresia e grazie a lui ottiene il permesso di giungere alle soglie dell’Ade per incontrare le anime travolte da morte improvvisa.

E’ presente, tra i morti, anche Sisifo: “Sisifo pure vidi, che soffriva pene orrende; con entrambe le mani spingeva un immane macigno. Puntellandosi con le mani e coi piedi su su fino alla vetta spingeva il macigno, ma quando già stava per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta. L’orrendo macigno rotolava così di nuovo al piano. Ed egli di nuovo in su lo spingeva tendendosi ancora; scorreva il sudore colando giù dalle membra e intorno al capo gli saliva la polvere”.

Che Sisifo fosse figlio di Eolo e pessimo tiranno della città di Corinto, che Zeus ne avesse decretato la morte perché aveva osato tradire i segreti degli dèi (in questo caso l’attività preferita del re degli dèi: andare a puttane), che per le sue particolari doti di astuzia e scaltrezza fosse riuscito ad incatenare ed imprigionare persino la Morte, a noi oggi importa relativamente.

La nostra attenzione converge invece tutta sullo sforzo, sulla tenacia, sulla resistenza che egli impiega nel reggere il pesante masso; lo vediamo avanzare incerto Sisifo, passo dopo passo, verso la cima del monte, il corpo tremante per lo sforzo, il sudore che gli cola lungo le membra, senza cedere né arretrare di un passo, e consapevole che a contrastarlo sono forze di gran lunga superiori a lui.

Ad ognuno di noi egli sembra dire: “Se le difficoltà ti sovrastano, tu non farti schiacciare! Non inclinare alla rinuncia, non rassegnarti, tocca a tutti prima o poi il momento della prova”.

In fondo, a condurlo a quel castigo è stata proprio la passione per la vita; ed è la vita stessa che ora gli mostra l’altro suo lato: il macigno. Metafora delle difficoltà della vita, il macigno simboleggia gli innumerevoli ostacoli  di cui inevitabilmente è intrisa l’esistenza  di ciascuno di noi.

  Niente appare più problematico, nel tempo che viviamo, del nostro atteggiamento verso il mondo; protesi come siamo alla ricerca di una non ben definita felicità, noi occidentali non siamo più disposti ad accettare imprevisti ed incidenti di percorso.

 Un numero sempre crescente di persone preferisce rinunciare alla propria libertà di pensiero e delegare la politica ai furbi di turno: è un peso troppo grande entusiasmarsi per un’utopia!

 Un numero sempre crescente di persone preferisce sentirsi fruitore del proprio spazio vitale anziché debitore: è uno sforzo troppo gravoso preoccuparsi per gli altri oltre che di se stessi!

 Un numero sempre crescente di persone preferisce affidarsi all’informazione di facciata piuttosto che formarsi una convinta opinione personale: è un impegno troppo oneroso giudicare la realtà senza veli!

 Un numero sempre crescente di persone preferisce cedere alle lusinghe di ciarlatani invece che riguadagnarsi uno spazio nella sfera pubblica e rivendicare con forza i propri e altrui diritti: è un carico troppo faticoso appassionarsi ai temi della solidarietà umana!

Prevale allora la tentazione, di fronte alle difficoltà, di allontanare da sé la causa, attribuendo il macigno ad un volere altrui. Così facendo si rinuncia all’appuntamento con la coscienza del proprio “esserci”, al di là di tutto. Viviamo tempi difficili perché la fuga dall’impegno civile è sempre più frequente, perché individualmente ci si illude di conquistare benessere e accaparrarsi  paradisi anche a costo di ritirarsi dalla vita e dagli obblighi nei suoi confronti.

E se ancora oggi la fatica di Sisifo ha un significato, forse questo risiede nel fatto che l’uomo ha bisogno che la narrazione irrompa prima o poi nella sua vita ad indicare il permanere e il durare di una intensità e di una pienezza di senso che sia in grado di non ridurlo a frase vuota o fantasma, a restituirgli la dignità di essere umano, ad impedirgli la fuga dal mondo nel nascondiglio della propria interiorità.☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

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