Sofja tolstoj
16 Ottobre 2020
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Sofja tolstoj

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

“Il conte Lev Tolstoj si sveglia di soprassalto, alle tre di notte, nella sua vecchia tenuta di Jasnaja Poljana, immersa nel silenzio e nel freddo. All’improvviso sente dei passi, un rumore di porte che si aprono. Intravede una luce provenire dal suo studio: è la moglie Sofja che cerca qualcosa, che fruga di nascosto tra le sue carte. Quella donna con cui divide la vita da mezzo secolo, ormai, non smette di tiranneggiarlo, di controllarlo, di spiare ogni suo passo. Da quando, l’anno prima, il marito ha stilato un testamento in cui dichiara di rinunciare a tutti i suoi diritti d’autore, Sofja non fa che minacciare il suicidio, scoppiare in lacrime, accusarlo di crudeltà, esibirsi in plateali scenate di gelosia, tentare di blandirlo e tramare alle sue spalle, insieme ai figli maschi, per farlo interdire. Esasperato dalla guerra che si consuma tra le pareti di casa, lo scrittore russo, pochi giorni prima, ha avuto un colpo apoplettico, dal quale però si è ripreso subito. Per distrarsi, ha cominciato a leggere I fratelli Karamazov, del suo eterno rivale Dostoevskij. Ma adesso niente più può trattenerlo: la misura è colma” (Soli eravamo – Fabrizio Coscia).

Il grande scrittore si alza, prepara un bagaglio, scrive due righe alla moglie da cui sta fuggendo e a ottantadue anni, malato, insieme alla figlia Alexandra lascia definitivamente casa sua. “Dove si potrebbe andare per essere lontani?” chiede. Questo desiderio fortissimo di fuga getta per sempre un’ombra sulla povera moglie Sofja. Lei prova a raggiungerlo ma lui non la ammetterà al proprio capezzale, nella stazioncina di Astàpovo, dove morirà sette giorni dopo, il 27 ottobre1910. Sofja sarà per sempre la Santippe moglie del conte Tolstoj.

Quando il conte Tolstoj, trentaquattro anni, il 23 settembre 1862, chiese alla diciottenne Sofja di diventare sua moglie, voleva che non ci fossero segreti tra loro. Lev consegnò a Sofja i suoi diari in cui descriveva le sue passate relazioni intime con altre donne, tra cui una serva di umili origini contadine, dalla quale aveva avuto un figlio fuori dal matrimonio.

Sofja rimase scioccata dopo aver letto tutte le esplorazioni in campo sessuale del suo futuro marito, ma andò comunque avanti verso il matrimonio. “Tutto il suo passato è così orribile per me, che penso che non sarò mai in pace con lui”, scrisse Sofja.

Forse il matrimonio è nato dal desiderio di Tolstoj di “purificarsi” dai peccati della sua giovinezza, scegliendo una giovane donna innocente di una famiglia conservatrice nella speranza che lei lo mettesse in riga. Sfortunatamente, non riuscì a porre fine alle abitudini lussuriose della sua giovinezza, che finirono per accompagnarlo per tutta la vita. “Non riesco a superare la mia lussuria”, scrisse Tolstoj nel suo diario, “il vizio è diventato un’abitudine per me”. “Devo andare a letto con le donne. Altrimenti, la lussuria non mi dà un solo minuto di pace”.

Ogni volta che sua moglie era incinta e non poteva fare sesso, tornava di nuovo a cercare avventure con le contadine del suo villaggio, dove, come proprietario terriero e conte, aveva un potere virtualmente illimitato. Ma Tolstoj attribuiva i suoi problemi a sua moglie: “È una lotta terribile. Non ho il controllo di me stesso. Sto cercando le ragioni: tabacco, intemperanza, mancanza di immaginazione. Ma sono sciocchezze. C’è una ragione: l’assenza di una moglie amata e amorevole”.

Quando Sofja si trasferì nella tenuta di Tolstoj, Jasnaja Poljana, fu inizialmente sconvolta dalla sua povertà. Doveva occuparsi di tutto, dalle stoviglie alla biancheria, ed era responsabile dei pagamenti e della manutenzione della casa e degli edifici adiacenti.

Anche la cura dei bambini cadde su Sofja. A volte Lev giocava con loro, ma il più delle volte era impegnato a scrivere o a incontrare i suoi ammiratori e colleghi. Nel frattempo, Sofja insegnava loro la musica e le buone maniere, li vestiva e li nutriva. Doveva fare tutto da sola, in quanto Tolstoj era contrario alle governanti e alle tate, di cui di solito le famiglie nobili si servivano all’epoca. Lui riteneva che tutto questo fosse compito di una madre. “È soltanto un essere indifferente e severo. Ma nella sua biografia scriveranno che ha portato l’acqua sostituendosi al portiere e nessuno saprà che non ha mai dato da bere al suo bambino sostituendosi alla moglie perché riposasse un momento e che in 32 anni non è stato cinque minti al capezzale di un bambino malato per permettere a me di respirare, di dormire, di fare due passi, o soltanto di sottrarmi alla fatica” (Diari di Sofja Tolstoj, 26 gennaio 1895).

Jasnaja Poljana era un villaggio grande e ricco, ma con molti problemi. I contadini andavano a casa del padrone per ottenere aiuto, prendere in prestito denaro, lamentarsi dei loro vicini, e anche tutto questo ricadeva sulle spalle di Sofja, compresa la clinica del villaggio, che doveva organizzare. La storia non è stata giusta con lei, che è stata prima ammiratrice dello scrittore e anche artefice di buona parte della diffusione delle sue opere, grazie alla trascrizione, ai consigli, alle traduzioni che ella faceva per il marito. Il desiderio di Sofja di vedersi amata più di ogni altra e sopra ogni cosa sono i grandi nemici di uno dei più importanti rapporti della storia letteraria. “Perché dunque, tutte le volte che nomini il mio nome nel tuo diario, lo fai con tanto astio? Perché vuoi che le generazioni future e i nostri stessi nipoti spregino il mio nome come quello di una sposa frivola e cattiva, che ti ha reso infelice?”.

Eppure dalle lettere inviatele leggiamo come Tolstoj dipendesse totalmente da lei. L’ammirava come “la forza della mia vita” e si dichiarava “un uomo morto senza di te”. E ancora: “Per l’amor di Dio non smettere di scrivermi, scrivimi ogni giorno”.

In una delle lettere, dopo che lo scrittore racconta alla moglie per interi paragrafi di faccende domestiche e dei propri problemi di salute, le chiede in una sola riga a che punto sia la copiatura del seguito del “romanzo”. Il romanzo di cui parla è Guerra e Pace, che costò a Sofia sette anni di lavoro e che infine fu lei stessa a far pubblicare. Sofia copiava di notte quello che il marito aveva scritto di giorno, per renderlo leggibile ai tipografi.

Negli anni successivi al 1880 Tolstoj si convertì a una forma di estremismo religioso: decise di abbandonare la letteratura per vivere “nella purezza dei Vangeli”, lasciando la proprietà ma continuando ad abitare con la famiglia. Chiese insistentemente alla moglie di seguirlo in questo percorso spirituale ma Sofja, pur religiosa, rispose di no e si separarono. I seguaci più fondamentalisti dello scrittore non esitarono a bollarla come demoniaca. E Vladimir Chertkov, il discepolo che divenne curatore ufficiale di tutte le sue opere, cominciò a costruire l’immagine di una Sofja torturatrice che fu sostanzialmente accettata dalla letteratura.

Sofja Tolstoj dunque non fu soltanto la devota moglie del grande scrittore russo e la madre dei suoi tredici figli. Copiava e correggeva le opere del marito, teneva i rapporti con gli editori e i funzionari della censura, amministrava i suoi beni. Avrebbe fatto una brillante carriera letteraria se non avesse deciso di vivere nell’ombra di Lev limitandosi a due traduzioni dal tedesco e dall’inglese, a qualche poesia, alla occasionale pubblicazione di articoli su giornali e riviste. Non è sorprendente, quindi, che questa donna sensibile e intelligente abbia letto con un certo smarrimento un romanzo breve che Tolstoj scrisse nel 1889. Nella Sonata a Kreutzer è raccontata la lunga conversazione di un uomo con il suo compagno di viaggio sul treno. L’uomo (Pozdnyshev) aveva sposato la donna di cui era innamorato, una giovane pianista. Era convinto che ogni donna, nobile dama o prostituta, fosse virtualmente impura. Il dramma della gelosia esplose quando nella vita dei coniugi apparve un brillante violinista con cui la moglie amava esercitarsi al pianoforte. E si concluse drammaticamente quando il marito assistette a una esecuzione della “Sonata a Kreutzer” di Beethoven in cui il violino e il piano erano appassionatamente affiatati. Convinto di un adulterio che non era avvenuto, Pozdnyshev aveva ucciso rabbiosamente la moglie con un colpo di pugnale. Ma giustifica la gelosia maschile. Qualche anno dopo la pubblicazione del breve romanzo del marito, Sofja scrisse una “contro-Sonata a Kreutzer”. E il risultato è una versione rovesciata del racconto di Tolstoj.

“Ma se io non lo interesso, se sono soltanto una bambola-moglie e non un essere umano allora io non posso, non voglio continuare così”( 23 novembre 1862). Questa immagine della bambola per entrambi è un riferimento polemico che rimanda ad uno scambio di attribuzioni. Come riscontra una lettera, sogno, abbozzo di racconto che Tolstoj scrive alla cognata nel 1863 “ho aperto gli occhi e ho visto Sofja ma non quella che io e tu conosciamo bensì una Sofja fatta di porcellana!… le ho toccato la mano era liscia piacevole al tatto e fredda, di porcellana, mi misi a toccarla era tutta liscia, piacevole e fredda, di porcellana. Ero smarrito e volli coricarla sul letto, si fece piccina piccina, la tastai nel buio era sempre fredda e di porcellana … provai un sentimento strano. A un tratto fui contento, non ne ho parlato con nessuno, confesso che per quanto strano possa apparire ne sono contento e seppure lei sia di porcellana siamo felici”.

Sofja ridotta ad oggetto da guardare e non soggetto che guarda, ridotta a puro simulacro di sé si offre al piacere voyeuristico di Tolstoi con il desiderio assurdo che non gli si oppone  più come alterità. Ma Sofja è una donna antesignana di una libertà difficile da ottenere che esprime nei suoi diari e nei suoi romanzi. Bollata come isterica, pazza dai medici contemporanei viene solo oggi rivalutata come una donna che si pose il problema di una sua identità al di là dell’essere la moglie di un genio.☺

 

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