soggetti penalizzati    di Gabriella de Lisio
30 Dicembre 2011 Share

soggetti penalizzati di Gabriella de Lisio

 

Occorre ragionevolezza. Mario Monti sta tentando – nel giro di un pugno di settimane – il salvataggio dell’Italia portando sulle spalle un’eredità pesante: quella di un governo impresentabile, che ha svuotato le casse, sbeffeggiato le regole, e portato sull’orlo del baratro un paese a cui ha tolto dignità; e quella di un popolo stanco, impoverito (di soldi e di valori) ma anche tristemente infurbito e reso più cinico da vent’anni di berlusconismo. È un’opera meritoria, dunque, cui non va fatto un ostruzionismo preconcetto, o irresponsabile. Tutti d’altronde sappiamo che la possibilità di lavorare per la sopravvivenza dell’Italia questo governo tecnico ce l’ha (e la può conservare) solo nella misura in cui Berlusconi darà il consenso alle riforme in programma: un prezzo (altissimo) da pagare per scongiurare la bancarotta, il fallimento. Di più: un compromesso che si giustifica solo col senso di responsabilità verso il destino di un intero paese in agonia.

È tuttavia comprensibile quel tanto di scetticismo che accompagna qualcuno – nello specifico gli operatori della scuola – nell’accogliere le misure che stanno per essere vagliate dal Parlamento. Nel momento in cui scriviamo, non sappiamo cosa accadrà. Ma ne approfittiamo per sottoporre qualche breve riflessione su quello che, una volta tanto, se Berlusconi non avesse più il potere di ricattare nessuno, se davvero al governo si potesse operare con serena e libera progettualità, ci piacerebbe vedere realizzato per il personale della scuola e per i nostri ragazzi.

Ci piacerebbe che la scuola non fosse più inclusa tra i soggetti penalizzati dalla necessità di battere cassa: ci piacerebbe che non ce ne fossero più, di tali soggetti, e che a pagare fosse chi ha il dovere e la possibilità di farlo in base a ciò che possiede. La scuola ha già dato tanto, sotto il governo Berlusconi è stata spremuta come un limone: 1200 posti di lavoro in meno (tra insegnanti, dirigenti e ATA); 1300 scuole (nel Molise, 16) tagliate via perché sottodimensionate rispetto ai nuovi parametri sul numero minimo degli studenti; precariato dimenticato; una mobilità d’ufficio che nel giro di due anni – se i soprannumerari non trovano collocazione in regione o sul territorio nazionale – ti dà il benservito e ti rimanda a casa, licenziato; norme-capestro su permessi per malattia e visite fiscali; casse prosciugate al punto che ormai gli insegnanti e il personale ATA comprano di tasca propria i detersivi, la carta igienica, la carta per la stampante; blocco degli scatti stipendiali fino al 2015, probabilmente; blocco del rinnovo del contratto collettivo nazionale; accorpamenti fra istituti scolastici che fanno gridare aiuto, poiché prevedono il taglio di un numero elevatissimo di membri del personale ATA e abbinano fino a sette-otto paesi sotto un’unica dirigenza.

Il nuovo governo, tuttavia, sulle pensioni non ci ha lasciato tirare il sospiro di sollievo che attendevamo. Ecco, ci aspettavamo un occhio di riguardo, speravamo che il prelievo fosse indirizzato piuttosto in altre direzioni, anziché sempre nella solita. È un momento delicato, in cui la squadra di Monti si muove come una fragile pallina di vetro che può essere sbriciolata domattina se non si muove con cautela ed intelligenza politica. Però qualche riflessione va fatta: benché siano apprezzabili la lotta all’evasione (tramite l’abbassamento della soglia della tracciabilità dei pagamenti alla quota di 1000 euro), le agevolazioni alle imprese che assumono giovani e donne, e i tagli a giunte provinciali e relativi consiglieri, ci sembra un po’ tiepida quella tassa sui beni di lusso e quell’1,5% sui capitali che sono rientrati dall’estero con il famigerato scudo fiscale. Un prelievo più sostanzioso ed equo sulla minoranza che in Italia possiede, spende e froda, ci avrebbe fatto piacere, così come una riduzione drastica delle spese militari, una tassa vera sui capitali scudati, un’imposta seria sulle grandi ricchezze. Specie se questo avesse significato blindare i 40 anni di contribuzione per gli insegnanti: sì, per gli insegnanti, così come per tutte le altre categorie di lavori usuranti (che tali, purtroppo, non sono classificati) che non ti consentono di rendere un servizio di qualità alle soglie dei settant’anni. Perché stare dietro ad una cattedra non è come stare dietro ad una scrivania.

Occorrerà ripensare, quando l’emergenza sarà alle spalle, un sistema diverso in cui la pensione torni ad essere la dignitosa, serena, gratificante conclusione di una carriera spesa con impegno, non una tappa irraggiungibile né da temere perché farà crollare il tenore di vita di un nucleo familiare; un sistema in cui la tutela del precariato e dei lavoratori in mobilità abbia la sana precedenza; un sistema in cui alla dirigenza scolastica sia restituito il ruolo di far funzionare un istituto, non quello di barcamenarsi tra dieci sedi diverse e distanti, senza riuscire a gestirne nemmeno una.

Gli operatori della scuola sanno che il momento è delicato, difficile. Ma aspettano, fiduciosi, un segno di reale cambiamento.☺

gadelis@libero.it

 

 

 

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