solidarietà a don alberto
30 Giugno 2010 Share

solidarietà a don alberto

 

LIBERA dalle mafie è un’associazione di associazioni, di nomi e numeri il cui fondamentale impegno è la tensione, la volontà di mettere insieme, in rete, le esperienze collettive (quelle delle associazioni), e quelle individuali (di qui il significato da dare alla parola “nomi” del logo dell’associazione).

Nel Molise mancava una tale esperienza e così da un anno LIBERA dalle mafie è presente ed operativa anche nella nostra regione.

A dire il vero, esperienze e tentativi di insediamento dell’associazione di don Ciotti sono stati fatti negli anni scorsi, come testimoniano alcune presenze di questo tipo a Campobasso. Un’esperienza, invece, che resiste con grande dignità e perspicacia politica nella lettura degli avvenimenti e delle vicende-vicissitudini della regione molisana è quella di Trivento, dove da 15 anni  è operativa l’unica scuola di formazione sociale e politica del Molise, intestata alla memoria di Paolo Borsellino, il magistrato palermitano morto nella strage di Via d’Amelio il 19 luglio del 1992.

A fondarla, nell’ambito della diocesi triventina, sono stati i proff. Berardo e Leone, ai quali si aggiunge la figura carismatica di don Alberto Conti, parroco di Castelguidone e responsabile della Caritas di Trivento e da più di un anno coordinatore delle Caritas  del Molise e dell’Abruzzo.

Non abbiamo alcuna intenzione di minimizzare il ruolo, l’impegno e l’entusiasmo dei due proff. – Umberto e Leo – ma per noi, come per tutti coloro che hanno seguito il percorso della scuola di formazione sociale e politica di Trivento, colui che ne rappresenta la natura, gli entusiasmi, le prospettive, le progettualità è don Alberto, il cui ruolo è tanto più significativo quanto più se ne colgono le difficoltà che egli ha incontrato come parroco e come componente del clero diocesano. Per un sacerdote non è facile esprimere le proprie opinioni, se queste sono antitetiche spesso alla cultura dominante (sia nella Chiesa che nella società civile), come anche non è facile promuovere  le proprie idee nella vita quotidiana, quella che viene determinata dalla mistione di sacro e profano, di morale e di immorale, di giusto e di ingiusto, di bene e di male, perché subito al sacerdote si rinfaccia di fare politica e di trascurare l’apostolato sacerdotale. Ora questo tipo di critiche c’è sempre stato da che mondo è mondo, perché al potere è sempre andato di genio un interlocutore, prono e chino statolatricamente di fronte al Moloch dell’autorità economica, finanziaria e politica. Avere i servi, interloquire con soggetti che dipendono dalla figura carismatica del capo è certo tipico di un regime autocratico e monocolore, di fronte al quale non bisognerebbe mai pronunziare parole o concetti critici, osservazioni destrutturanti, che mettano cioè in discussione il potere stesso; se poi lo fa un prete, allora tutti si scandalizzano, gridando “all’untore!, all’untore!”, come ad indicare una persona estremamente pericolosa ed indigesta.

Ora don Alberto Conti appare a molti un prete scomodo, pericolosamente progressista, il cui progressivismo è scardinamento delle certezze ataviche di un settore di popolazione, legata inesorabilmente al passato, o cosa peggiore ad un futuro carente di criticità, autentico puntello della democrazia e di una società aperta a tutti gli influssi e non timorosa di fare i conti con la Storia, quella con la “S” maiuscola.

Don Alberto – nel suo paese – è fatto oggetto di critiche, in quanto il suo atteggiamento e il suo apostolato cozzano con le fobie o con il perbenismo piccolo-borghese di molti suoi concittadini, legati ad una visione quasi immobile della figura sacerdotale. Ora noi oggi dobbiamo ringraziare proprio questi preti che portano avanti le battaglie non solo nell’ambito della Chiesa ufficiale, venendo da essa emarginati se non addirittura perseguitati, ma anche nella società civile, nella quale i partiti, le organizzazioni sindacali in massima parte hanno perduto lo smalto degli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, divenendo oggi servi inetti dell’establishement berlusconiano. Un prete, definito di sinistra, come si diceva un tempo non lontano, non può esserci, perché pericoloso e scomodo: peccato, però, che molti nella stessa chiesa dimenticano quello che ha detto Paolo VI del ruolo sociale dei sacerdoti, per i quali non si deve parlare di indebito e gratuito sconfinamento nella politica, se essi sono attenti ad applicare la lectio del Vangelo, profondamente vicina alla sofferenza, agli ultimi, ad una concezione dell’esistenza che salvaguardi soprattutto la qualità della vita, così come sembra avere scelto di fare da sempre don Alberto Conti.

Libera dalle mafie è al suo fianco, come è al fianco di quei settori della Chiesa che sono tra i pochi nel mondo odierno a ricordare che, se l’economia obbedisce crudamente al profitto, essa non è amica dell’uomo, e se l’economia non è amica dell’uomo, questi ha l’obbligo civile, prima che morale, di contrastare la deriva neoliberista, che ha come feticcio soltanto il danaro, il profitto violentemente estorto al lavoratore, la droga, la guerra, l’illegalità, la demolizione costante della Carta Costituzionale, la distruzione rovinosa del pianeta, bene comune alle attuali generazioni ma patrimonio da salvaguardare per le generazioni future.

Se un sacerdote si muove secondo tali punti di riferimento, i laici o i non credenti dovrebbero essere grati per l’operosità civile e matura di questi segmenti, così come dovrebbero i cosiddetti laici o non credenti essere sinceramente grati ad altre componenti del mondo ecclesiale, che da sempre lottano per un mondo migliore, non sottoposto alle logiche del profitto e dell’annullamento della personalità dell’uomo, come può testimoniare l’universo protestantico nella molteplice varietà delle sue esperienze.

La verità è che oggi è troppo semplice e troppo conveniente essere al fianco del vincitore, salendo sul suo carro, perché in questo modo si mangia a sazietà e non si lasciano nemmeno le briciole agli affamati. Se una violenta politica governativa si abbatte sui redditi medio-bassi, su quello modesto ed oggi anche misero dei lavoratori dipendenti, su quello dei pensionati, se la crisi economica odierna viene pagata dai giovani in prevalenza precari, disperati, nullatenenti, se a difendere tali soggetti, oltre a qualche sparuta pattuglia di organizzazioni radicalmente antagoniste, ci sono gli spezzoni di una Chiesa attenta al dolore soffocante del popolo, allora noi dobbiamo con umiltà accettare tale lezione e dire a questa Chiesa di stare con Lei, senza “se” e senza “ma”, come ci hanno insegnato i grandi della Storia, a cominciare da Cristo, da Ambrogio, da Marx, o da quella scuola economica progressista (Federico Caffé, Claudio Napoleoni, Andreatta, Luigi Spaventa) che, al di là delle differenziazioni del loro pensiero teorico, comunque ha contribuito a creare un Welfare state dinamico per molti decenni, indicandoci le cose che erano possibili realizzare e cioè la riduzione degli spazi di differenza classista fra ricchi e poveri, fra oppressori e afflitti, fra chi spera in un mondo migliore con la filosofia della pace e della dialettica diplomatica, e chi vuole farci sprofondare nell’inferno della povertà, della sofferenza, della prevaricazione dell’epulone sul povero cristo, della guerra distruttiva delle culture e delle speranze. Stiamoci attenti che la nostra esistenza non diventi la pattumiera che è oggi, così come noi la possiamo vedere: guardiamo in fondo all’oceano Atlantico, nel golfo del Messico, guardiamo a quel disastro immane che è la fuoriuscita del greggio e all’inquinamento mortale che ne viene determinato; la nostra vita è già nera come la pece e non crocifiggiamo ancora chi, come don Alberto, ha visto tutte queste cose, gridandoci che solo l’impegno per la salvaguardia di una cultura della legalità, della giustizia e della condivisione è quello autenticamente capace di farci risalire.

Libera, perciò, si rivolge a quanti hanno la memoria corta, ricordandogli quanto sia essenziale leggere con dignità lucida e consapevole il degrado nel quale siamo scivolati, ma anche le occasioni che possiamo sfruttare per liberarci da questo peso che è la cecità cosciente di chi ci vede bene,  ma si sta auto-convincendo che è tutto tenebroso e fosco attorno a noi…☺

bar.novelli@micso.net

 

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