sopravvivranno le tribù di Giulia D'Ambrosio | La Fonte TV
Quella che viviamo ogni giorno è una guerra che si combatte senza fucili, senza cannoni, senza bombe, ma con le sofisticate armi di distruzione di massa della grande finanza internazionale. Una guerra che viene da lontano, che dilaga e contagia anche i paesi europei. Gli uomini della grande finanza sparano i loro colpi cliccando sulle tastiere e trasferendo in un attimo cifre virtuali da capogiro. È una sofferenza reale, cruda, drammatica, in ogni aspetto della vita quotidiana. Dai colpi delle agenzie di rating, allo schieramento della “troika”; dai provvedimenti del Fondo Monetario Internazionale alle misure della Banca Centrale e della Commissione Europea.
Far cadere il governo, ad un passo dalle elezioni, mostrando i muscoli di un partito che non esiste più se non nella figura tragica di un uomo politicamente finito, annulla tutti i sacrifici lacrime e sangue sulle spalle dei più deboli. Noi non abbiamo bisogno di una volontà aggressiva, abbiamo bisogno di una logica riformatrice. Viviamo in un mondo in cui il dolore di uno è soffocato e nascosto dal dolore di un altro. Nessuno è peggiore, nessuno è minore. Sono dolori che si rincorrono nella comune indigenza di questo nostro tempo, forse di ogni nostro tempo. Per ritrovare la convivialità che ci serve a non autodistruggerci dobbiamo rifiutare ogni volontà aggressiva e accogliere con critica serenità ogni logica riformatrice.
Il modello culturale italiano per il Washington Post è segnato dall’evasione fiscale eccessiva, da mancanza di spirito civico e dal nepotismo che esclude automaticamente la meritocrazia. Come dargli torto? Se poi ci aggiungiamo uno stato inefficiente che massacra famiglie, attività produttive, sanità, istruzione il default del nostro Paese è assicurato.
La Germania continua a sottrarci quote di mercato estero, la nostra industria e la nostra occupazione si contraggono sempre più e con ciò il peso dei settori improduttivi (settore pubblico, burocrazia, ecc.) sarà il macigno che ci trascinerà giù in fondo al lago se non sapremo reinventarci nella consapevolezza che comunque l’Italia resta il numero due nella produzione industriale europea anche se le aree di eccellenza restano davvero poche, tanto che in alcune regioni siamo paragonati alla Grecia o al Portogallo.
Bene. Che dire della parte produttiva del Molise? Forse è meglio parlare dei paesaggi, dei tratturi, delle aree incontaminate, dei paesini fantasma in cui finiti gli anziani legati “alla terra” non resterà nulla. Non è sempre colpa di qualcun altro se restiamo in questa condizione di “molisolamento”.
Un grande storico arabo, Ibn Khaldun disse “Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza”.
Ebbene se la comunità molisana restasse una tribù, se cacciasse via tutti gli usurpatori, se facesse risvegliare un grandioso senso di appartenenza, allora sì che potemmo partecipare ad un nuovo rinascimento in questa terra di pastori, di gente semplice che ha bisogno soltanto di fiducia e di lealtà.☺
giuliadambrosio@hotmail.it
Quella che viviamo ogni giorno è una guerra che si combatte senza fucili, senza cannoni, senza bombe, ma con le sofisticate armi di distruzione di massa della grande finanza internazionale. Una guerra che viene da lontano, che dilaga e contagia anche i paesi europei. Gli uomini della grande finanza sparano i loro colpi cliccando sulle tastiere e trasferendo in un attimo cifre virtuali da capogiro. È una sofferenza reale, cruda, drammatica, in ogni aspetto della vita quotidiana. Dai colpi delle agenzie di rating, allo schieramento della “troika”; dai provvedimenti del Fondo Monetario Internazionale alle misure della Banca Centrale e della Commissione Europea.
Far cadere il governo, ad un passo dalle elezioni, mostrando i muscoli di un partito che non esiste più se non nella figura tragica di un uomo politicamente finito, annulla tutti i sacrifici lacrime e sangue sulle spalle dei più deboli. Noi non abbiamo bisogno di una volontà aggressiva, abbiamo bisogno di una logica riformatrice. Viviamo in un mondo in cui il dolore di uno è soffocato e nascosto dal dolore di un altro. Nessuno è peggiore, nessuno è minore. Sono dolori che si rincorrono nella comune indigenza di questo nostro tempo, forse di ogni nostro tempo. Per ritrovare la convivialità che ci serve a non autodistruggerci dobbiamo rifiutare ogni volontà aggressiva e accogliere con critica serenità ogni logica riformatrice.
Il modello culturale italiano per il Washington Post è segnato dall’evasione fiscale eccessiva, da mancanza di spirito civico e dal nepotismo che esclude automaticamente la meritocrazia. Come dargli torto? Se poi ci aggiungiamo uno stato inefficiente che massacra famiglie, attività produttive, sanità, istruzione il default del nostro Paese è assicurato.
La Germania continua a sottrarci quote di mercato estero, la nostra industria e la nostra occupazione si contraggono sempre più e con ciò il peso dei settori improduttivi (settore pubblico, burocrazia, ecc.) sarà il macigno che ci trascinerà giù in fondo al lago se non sapremo reinventarci nella consapevolezza che comunque l’Italia resta il numero due nella produzione industriale europea anche se le aree di eccellenza restano davvero poche, tanto che in alcune regioni siamo paragonati alla Grecia o al Portogallo.
Bene. Che dire della parte produttiva del Molise? Forse è meglio parlare dei paesaggi, dei tratturi, delle aree incontaminate, dei paesini fantasma in cui finiti gli anziani legati “alla terra” non resterà nulla. Non è sempre colpa di qualcun altro se restiamo in questa condizione di “molisolamento”.
Un grande storico arabo, Ibn Khaldun disse “Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza”.
Ebbene se la comunità molisana restasse una tribù, se cacciasse via tutti gli usurpatori, se facesse risvegliare un grandioso senso di appartenenza, allora sì che potemmo partecipare ad un nuovo rinascimento in questa terra di pastori, di gente semplice che ha bisogno soltanto di fiducia e di lealtà.☺
Quella che viviamo ogni giorno è una guerra che si combatte senza fucili, senza cannoni, senza bombe, ma con le sofisticate armi di distruzione di massa della grande finanza internazionale. Una guerra che viene da lontano, che dilaga e contagia anche i paesi europei. Gli uomini della grande finanza sparano i loro colpi cliccando sulle tastiere e trasferendo in un attimo cifre virtuali da capogiro. È una sofferenza reale, cruda, drammatica, in ogni aspetto della vita quotidiana. Dai colpi delle agenzie di rating, allo schieramento della “troika”; dai provvedimenti del Fondo Monetario Internazionale alle misure della Banca Centrale e della Commissione Europea.
Far cadere il governo, ad un passo dalle elezioni, mostrando i muscoli di un partito che non esiste più se non nella figura tragica di un uomo politicamente finito, annulla tutti i sacrifici lacrime e sangue sulle spalle dei più deboli. Noi non abbiamo bisogno di una volontà aggressiva, abbiamo bisogno di una logica riformatrice. Viviamo in un mondo in cui il dolore di uno è soffocato e nascosto dal dolore di un altro. Nessuno è peggiore, nessuno è minore. Sono dolori che si rincorrono nella comune indigenza di questo nostro tempo, forse di ogni nostro tempo. Per ritrovare la convivialità che ci serve a non autodistruggerci dobbiamo rifiutare ogni volontà aggressiva e accogliere con critica serenità ogni logica riformatrice.
Il modello culturale italiano per il Washington Post è segnato dall’evasione fiscale eccessiva, da mancanza di spirito civico e dal nepotismo che esclude automaticamente la meritocrazia. Come dargli torto? Se poi ci aggiungiamo uno stato inefficiente che massacra famiglie, attività produttive, sanità, istruzione il default del nostro Paese è assicurato.
La Germania continua a sottrarci quote di mercato estero, la nostra industria e la nostra occupazione si contraggono sempre più e con ciò il peso dei settori improduttivi (settore pubblico, burocrazia, ecc.) sarà il macigno che ci trascinerà giù in fondo al lago se non sapremo reinventarci nella consapevolezza che comunque l’Italia resta il numero due nella produzione industriale europea anche se le aree di eccellenza restano davvero poche, tanto che in alcune regioni siamo paragonati alla Grecia o al Portogallo.
Bene. Che dire della parte produttiva del Molise? Forse è meglio parlare dei paesaggi, dei tratturi, delle aree incontaminate, dei paesini fantasma in cui finiti gli anziani legati “alla terra” non resterà nulla. Non è sempre colpa di qualcun altro se restiamo in questa condizione di “molisolamento”.
Un grande storico arabo, Ibn Khaldun disse “Nel deserto sopravvivono solo le tribù, tenute insieme da un forte senso di appartenenza”.
Ebbene se la comunità molisana restasse una tribù, se cacciasse via tutti gli usurpatori, se facesse risvegliare un grandioso senso di appartenenza, allora sì che potemmo partecipare ad un nuovo rinascimento in questa terra di pastori, di gente semplice che ha bisogno soltanto di fiducia e di lealtà.☺
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