Le notizie, ormai costanti, sulla sorte di altre famiglie a rischio sopravvivenza per i posti di lavoro che quotidianamente si perdono in questa regione, ci preoccupano sia umanamente che materialmente, anche a causa delle gravi situazioni di precarietà della poca industria presente in Molise. Esse ci pongono innanzi ulteriori e drammatici sacrifici. Anche se gli sforzi della Regione Molise sono importanti, occorre che queste imprese agiscano secondo la famosa legge “del buon padre di famiglia” e che il finanziamento pubblico ponga, come condizione essenziale, il controllo contabile costante su di esse. Il peso fiscale sulle piccole e piccolissime imprese è diventato insopportabile. In assenza di tutele, pur amministrando con grande oculatezza e senza aspettarci la manna dal cielo, il forte calo dei consumi alla fine ci costringerà alla resa.
Le nostre piccole aziende non possono permettersi magie e scaltrezze finanziarie e talvolta ci sentiamo di appartenere alla categoria degli stolti che continuano a gettare gocce nel mare senza che nessuno se ne accorga. Eppure rappresentiamo migliaia di posti lavoro.
E se decidessimo di fare la “rivoluzione delle partite IVA”? Allora sì che il disastro finanziario sarebbe assicurato.
Tenere in piedi una azienda, oggi in Molise, che conti esclusivamente sulla economia del territorio diventa quanto mai arduo. Ci serve una politica economica capace di attrarre risorse dai territori circostanti e che sappia limitare il drenaggio costante di risorse da parte di imprese esterne che si collocano per risucchiare economia, esportando la già esigua ricchezza locale. Diversi i fattori negativi: il calo dell'occupazione, la perdita di popolazione, lo scarso utilizzo delle risorse regionali.
I dati oggettivi delle carenze infrastrutturali sono sotto gli occhi di tutti come pure è la fatica, sempre maggiore, a conservare scuole e servizi nelle aree più interne. Restare una regione a misura d'uomo, senza valorizzarne i contenuti, compone un mosaico assai fragile. Per le nostre imprese un fisco più equo rappresenterebbe una svolta. L'annuncio sulla possibile riduzione delle tasse e relativa smentita da parte del premier è stato una mera operazione di marketing. Secondo il Ministro dell'economia Tremonti, il nostro sistema fiscale riflette un mondo che non c'è più; una riforma così importante non deve essere usata per la speculazione elettorale in vista delle regionali. Il taglio delle tasse deve essere virtuoso e simmetrico nella spesa per servizi e consumi intermedi delle regioni, non un taglio delle tasse con la “macelleria sociale” del taglio alla sanità.
Ma come fare i conti con una pubblica amministrazione che continua a creare deficit? Con la previsione di un drastico taglio alla spesa sociale che equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra da recapitare ai sindacati e a tutte le classi sociali più deboli? Come controllare il fenomeno costante nei bilanci regionali che porta inesorabilmente al concetto che “chi più spende è premiato dal consenso elettorale”? La responsabilità sul territorio è davvero ampia e ulteriori errori in questo delicato momento sarebbero fatali. Ci chiediamo se con tutto il denaro fornito per salvare imprese decotte non ne avremmo potuto creare di nuove, individuando forme e sistemi innovativi utili alla intera comunità regionale. Questo momento storico presenta un’altra insidia inquietante: il rischio di collusione tra il potere politico e quello economico, fortemente aumentato dopo il salvataggio delle banche.
Se lo Stato entrasse nella governance delle banche la loro attività potrebbe diventare strumento per la produzione del consenso. Per le piccole imprese la sudditanza politica rappresenterebbe la goccia che fa traboccare il vaso. Non potrebbero trovare più un solo motivo per voler resistere visto che il rischio quotidiano per le imprese oneste è un prezzo che si paga volentieri ma solo a patto di sentirsi liberi da condizionamenti. La finanza dei sogni è finita ed occorre lavorare su modelli di economia tradizionale. La frenesia della moltiplicazione del denaro ha già prodotto un disastro dalle dimensioni ciclopiche ed ora più che mai la nostra salvezza si giocherà solo su quanto le banche sapranno dare sostegno alle imprese.
In Italia oggi si contano più di due milioni di disoccupati esclusa l'economia sommersa ed un numero enorme di persone nella categoria degli “scoraggiati”, coloro che un lavoro non lo cercano più, e circa un milione di persone sono in cassa integrazione. I dati della Camera di Commercio su base regionale, allo stato attuale, presentano un saldo fortemente negativo soprattutto nel comparto agricolo e nel commercio; se consideriamo le circa 12000 imprese agricole e le 7500 attività commerciali possiamo farci un'idea di quanti ulteriori posti di lavoro le imprese rappresentano.
La lotta allo spopolamento parte dalle imprese che hanno voglia di sostenere il territorio anche se purtroppo già tante hanno chiuso sotto gli effetti della recessione. La comunità locale, se vuole, può fare molto per le imprese locali per far sì che esse non siano invisibili ma indispensabili.☺
giuliadambrosio@hotmail.it
Le notizie, ormai costanti, sulla sorte di altre famiglie a rischio sopravvivenza per i posti di lavoro che quotidianamente si perdono in questa regione, ci preoccupano sia umanamente che materialmente, anche a causa delle gravi situazioni di precarietà della poca industria presente in Molise. Esse ci pongono innanzi ulteriori e drammatici sacrifici. Anche se gli sforzi della Regione Molise sono importanti, occorre che queste imprese agiscano secondo la famosa legge “del buon padre di famiglia” e che il finanziamento pubblico ponga, come condizione essenziale, il controllo contabile costante su di esse. Il peso fiscale sulle piccole e piccolissime imprese è diventato insopportabile. In assenza di tutele, pur amministrando con grande oculatezza e senza aspettarci la manna dal cielo, il forte calo dei consumi alla fine ci costringerà alla resa.
Le nostre piccole aziende non possono permettersi magie e scaltrezze finanziarie e talvolta ci sentiamo di appartenere alla categoria degli stolti che continuano a gettare gocce nel mare senza che nessuno se ne accorga. Eppure rappresentiamo migliaia di posti lavoro.
E se decidessimo di fare la “rivoluzione delle partite IVA”? Allora sì che il disastro finanziario sarebbe assicurato.
Tenere in piedi una azienda, oggi in Molise, che conti esclusivamente sulla economia del territorio diventa quanto mai arduo. Ci serve una politica economica capace di attrarre risorse dai territori circostanti e che sappia limitare il drenaggio costante di risorse da parte di imprese esterne che si collocano per risucchiare economia, esportando la già esigua ricchezza locale. Diversi i fattori negativi: il calo dell'occupazione, la perdita di popolazione, lo scarso utilizzo delle risorse regionali.
I dati oggettivi delle carenze infrastrutturali sono sotto gli occhi di tutti come pure è la fatica, sempre maggiore, a conservare scuole e servizi nelle aree più interne. Restare una regione a misura d'uomo, senza valorizzarne i contenuti, compone un mosaico assai fragile. Per le nostre imprese un fisco più equo rappresenterebbe una svolta. L'annuncio sulla possibile riduzione delle tasse e relativa smentita da parte del premier è stato una mera operazione di marketing. Secondo il Ministro dell'economia Tremonti, il nostro sistema fiscale riflette un mondo che non c'è più; una riforma così importante non deve essere usata per la speculazione elettorale in vista delle regionali. Il taglio delle tasse deve essere virtuoso e simmetrico nella spesa per servizi e consumi intermedi delle regioni, non un taglio delle tasse con la “macelleria sociale” del taglio alla sanità.
Ma come fare i conti con una pubblica amministrazione che continua a creare deficit? Con la previsione di un drastico taglio alla spesa sociale che equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra da recapitare ai sindacati e a tutte le classi sociali più deboli? Come controllare il fenomeno costante nei bilanci regionali che porta inesorabilmente al concetto che “chi più spende è premiato dal consenso elettorale”? La responsabilità sul territorio è davvero ampia e ulteriori errori in questo delicato momento sarebbero fatali. Ci chiediamo se con tutto il denaro fornito per salvare imprese decotte non ne avremmo potuto creare di nuove, individuando forme e sistemi innovativi utili alla intera comunità regionale. Questo momento storico presenta un’altra insidia inquietante: il rischio di collusione tra il potere politico e quello economico, fortemente aumentato dopo il salvataggio delle banche.
Se lo Stato entrasse nella governance delle banche la loro attività potrebbe diventare strumento per la produzione del consenso. Per le piccole imprese la sudditanza politica rappresenterebbe la goccia che fa traboccare il vaso. Non potrebbero trovare più un solo motivo per voler resistere visto che il rischio quotidiano per le imprese oneste è un prezzo che si paga volentieri ma solo a patto di sentirsi liberi da condizionamenti. La finanza dei sogni è finita ed occorre lavorare su modelli di economia tradizionale. La frenesia della moltiplicazione del denaro ha già prodotto un disastro dalle dimensioni ciclopiche ed ora più che mai la nostra salvezza si giocherà solo su quanto le banche sapranno dare sostegno alle imprese.
In Italia oggi si contano più di due milioni di disoccupati esclusa l'economia sommersa ed un numero enorme di persone nella categoria degli “scoraggiati”, coloro che un lavoro non lo cercano più, e circa un milione di persone sono in cassa integrazione. I dati della Camera di Commercio su base regionale, allo stato attuale, presentano un saldo fortemente negativo soprattutto nel comparto agricolo e nel commercio; se consideriamo le circa 12000 imprese agricole e le 7500 attività commerciali possiamo farci un'idea di quanti ulteriori posti di lavoro le imprese rappresentano.
La lotta allo spopolamento parte dalle imprese che hanno voglia di sostenere il territorio anche se purtroppo già tante hanno chiuso sotto gli effetti della recessione. La comunità locale, se vuole, può fare molto per le imprese locali per far sì che esse non siano invisibili ma indispensabili.☺
Le notizie, ormai costanti, sulla sorte di altre famiglie a rischio sopravvivenza per i posti di lavoro che quotidianamente si perdono in questa regione, ci preoccupano sia umanamente che materialmente, anche a causa delle gravi situazioni di precarietà della poca industria presente in Molise. Esse ci pongono innanzi ulteriori e drammatici sacrifici. Anche se gli sforzi della Regione Molise sono importanti, occorre che queste imprese agiscano secondo la famosa legge “del buon padre di famiglia” e che il finanziamento pubblico ponga, come condizione essenziale, il controllo contabile costante su di esse. Il peso fiscale sulle piccole e piccolissime imprese è diventato insopportabile. In assenza di tutele, pur amministrando con grande oculatezza e senza aspettarci la manna dal cielo, il forte calo dei consumi alla fine ci costringerà alla resa.
Le nostre piccole aziende non possono permettersi magie e scaltrezze finanziarie e talvolta ci sentiamo di appartenere alla categoria degli stolti che continuano a gettare gocce nel mare senza che nessuno se ne accorga. Eppure rappresentiamo migliaia di posti lavoro.
E se decidessimo di fare la “rivoluzione delle partite IVA”? Allora sì che il disastro finanziario sarebbe assicurato.
Tenere in piedi una azienda, oggi in Molise, che conti esclusivamente sulla economia del territorio diventa quanto mai arduo. Ci serve una politica economica capace di attrarre risorse dai territori circostanti e che sappia limitare il drenaggio costante di risorse da parte di imprese esterne che si collocano per risucchiare economia, esportando la già esigua ricchezza locale. Diversi i fattori negativi: il calo dell'occupazione, la perdita di popolazione, lo scarso utilizzo delle risorse regionali.
I dati oggettivi delle carenze infrastrutturali sono sotto gli occhi di tutti come pure è la fatica, sempre maggiore, a conservare scuole e servizi nelle aree più interne. Restare una regione a misura d'uomo, senza valorizzarne i contenuti, compone un mosaico assai fragile. Per le nostre imprese un fisco più equo rappresenterebbe una svolta. L'annuncio sulla possibile riduzione delle tasse e relativa smentita da parte del premier è stato una mera operazione di marketing. Secondo il Ministro dell'economia Tremonti, il nostro sistema fiscale riflette un mondo che non c'è più; una riforma così importante non deve essere usata per la speculazione elettorale in vista delle regionali. Il taglio delle tasse deve essere virtuoso e simmetrico nella spesa per servizi e consumi intermedi delle regioni, non un taglio delle tasse con la “macelleria sociale” del taglio alla sanità.
Ma come fare i conti con una pubblica amministrazione che continua a creare deficit? Con la previsione di un drastico taglio alla spesa sociale che equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra da recapitare ai sindacati e a tutte le classi sociali più deboli? Come controllare il fenomeno costante nei bilanci regionali che porta inesorabilmente al concetto che “chi più spende è premiato dal consenso elettorale”? La responsabilità sul territorio è davvero ampia e ulteriori errori in questo delicato momento sarebbero fatali. Ci chiediamo se con tutto il denaro fornito per salvare imprese decotte non ne avremmo potuto creare di nuove, individuando forme e sistemi innovativi utili alla intera comunità regionale. Questo momento storico presenta un’altra insidia inquietante: il rischio di collusione tra il potere politico e quello economico, fortemente aumentato dopo il salvataggio delle banche.
Se lo Stato entrasse nella governance delle banche la loro attività potrebbe diventare strumento per la produzione del consenso. Per le piccole imprese la sudditanza politica rappresenterebbe la goccia che fa traboccare il vaso. Non potrebbero trovare più un solo motivo per voler resistere visto che il rischio quotidiano per le imprese oneste è un prezzo che si paga volentieri ma solo a patto di sentirsi liberi da condizionamenti. La finanza dei sogni è finita ed occorre lavorare su modelli di economia tradizionale. La frenesia della moltiplicazione del denaro ha già prodotto un disastro dalle dimensioni ciclopiche ed ora più che mai la nostra salvezza si giocherà solo su quanto le banche sapranno dare sostegno alle imprese.
In Italia oggi si contano più di due milioni di disoccupati esclusa l'economia sommersa ed un numero enorme di persone nella categoria degli “scoraggiati”, coloro che un lavoro non lo cercano più, e circa un milione di persone sono in cassa integrazione. I dati della Camera di Commercio su base regionale, allo stato attuale, presentano un saldo fortemente negativo soprattutto nel comparto agricolo e nel commercio; se consideriamo le circa 12000 imprese agricole e le 7500 attività commerciali possiamo farci un'idea di quanti ulteriori posti di lavoro le imprese rappresentano.
La lotta allo spopolamento parte dalle imprese che hanno voglia di sostenere il territorio anche se purtroppo già tante hanno chiuso sotto gli effetti della recessione. La comunità locale, se vuole, può fare molto per le imprese locali per far sì che esse non siano invisibili ma indispensabili.☺
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