Sotto l’azione dello spirito d’amore
18 Maggio 2020
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Sotto l’azione dello spirito d’amore

«Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre”» (Rm 8,15).
La Lettera ai Romani apre il corpo delle lettere del Nuovo Testamento poste sotto la paternità dell’apostolo Paolo. Il più grande evangelizzatore della storia, “servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio” (Rm 1,1), vive il suo servizio a Cristo e al Vangelo a tutto tondo: attraverso il ministero della predicazione del Vangelo per mezzo del quale Cristo agisce nella storia “per condurre le genti all’ obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito” (Rm 15,18-19); attraverso la fondazione di diverse comunità ecclesiali; attraverso una fitta rete di relazioni e collaborazioni con molti fratelli e sorelle nella fede e attraverso la stesura di lettere dalla finalità squisitamente pastorale. Utili a consolidare le comunità, nel tempo dell’assenza dell’Apostolo, le lettere offrono luci importanti sulla condizione di vita che scaturisce dall’adesione a Cristo mediante il battesimo e criteri utili al discernimento di qualsiasi questione e difficoltà.
La Lettera ai Romani che apre l’epistolario paolino viene scritta intorno al 55-56 d.C., quando Paolo si trova a Corinto in procinto di raggiungere la città di Gerusalemme da dove vorrebbe proseguire per Roma e da lì arrivare poi in Spagna. Pur essendo indirizzata ad una comunità mista, composta cioè sia da giudeo-cristiani che da etnico-cristiani, e che Paolo non ha né fondato né mai conosciuto, la Lettera ai Romani viene considerata il best-seller di Paolo, il capolavoro della sua riflessione teologica, dove egli mette a confronto Cristo giustizia di Dio con la giustizia degli uomini derivante dall’osservanza della Legge.
Per Paolo la vera circoncisione non è quella esteriore della carne, ma quella del cuore (cf. Rm 2,28-29). Per questo, a suo dire, la Legge è di certo buona, perché fa conoscere il peccato, ma è impotente, perché è incapace di trasmettere la vita, di portare salvezza e di rendere giusti gli uomini e le donne innanzi a Dio. Ciò che per Paolo invece può rendere giusti è solo la fede in Gesù che permette che dove ha abbondato il peccato, sovrabbondi la grazia, una fede che appare luminosa e feconda a partire dalla testimonianza di Abramo. Per questo i credenti sono stati liberati dalla Legge, che li sottometteva diventando motivo di morte, per poter vivere secondo lo Spirito Santo che abita il loro cuore e produce libertà e fecondità.
Una “perla” della Lettera è proprio la sua pneumatologia, cioè l’insegnamento di Paolo sull’azione dello Spirito Santo nella vita dei credenti, che è incastonato in quel prezioso monile che è la sezione di Rm 5-8, dove l’Apostolo presenta lo statuto dei redenti. Lo Spirito Santo, che è chiamato da Paolo “Spirito di santità” (cf. Rm 1,4), abita in noi (cf. Rm 8,11), agisce in noi riversandovi l’amore del Padre (cf. Rm 5,5), intercede per noi secondo i disegni di Dio (cf. Rm 8,27) e dà la vita in Cristo Gesù (cf. Rm 8,2). Lo Spirito, inoltre, viene in aiuto alla nostra debolezza, intercedendo per noi perché si realizzi il disegno di Dio (cf. Rm 8,26), e ha il potere di santificare la nostra vita per trasformarla in un’“offerta gradita” (Rm 15,16) al Padre.
Oggi si avverte dappertutto sete di spirito, ma si definisce “spirituale” spesso ciò che non lo è. Di certo “spirituale” ha a che fare con l’interiorità e, al tempo stesso, la supera perché riguarda non uno spirito qualunque ma lo Spirito Santo, che non è una colomba ma il Signore che dà la vita, il Signore della comunione. Egli opera nel cuore dell’uomo e della donna guarendolo dal ripiegamento egoistico, vivificandolo e orientandolo al dono di sé nell’amore.☺

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