Spioni assassini
2 Ottobre 2014 Share

Spioni assassini

“Che cosa è un drone?”. Suppongo che a questa domanda molti di noi saprebbero rispondere, abituati come siamo ad accogliere e ad utilizzare nella nostra lingua italiana vocaboli anglofoni. Negli ultimi mesi, poi, il termine è stato largamente citato, in contesti ed ambiti anche diversi, così da risultare comprensibile ad un pubblico sempre più vasto.

Ma la “popolarità” – a mio avviso – mal si coniuga con l’oggetto “significato” dal vocabolo. Drone, che è un sostantivo inglese derivato dal verbo omonimo che traduce “ronzare”, è il nome con cui è indicato un apparecchio tecnologico molto sofisticato, un aereo telecomandato, di dimensioni variabili, che non ha bisogno di pilota: le rotte prestabilite, i percorsi e le eventuali deviazioni sono infatti guidati da un dispositivo elettronico, ospitato presso una base militare, che consente di registrare tutte le informazioni che il velivolo acquisisce in volo. Come si può intuire dalla denominazione il drone assomiglia – non tanto per le dimensioni – ad un insetto ed il suo “ronzio” ne costituisce la funzione principale: osservare, spiare, fotografare, ma anche colpire, abbattere!

Da decenni infatti la tecnologia dei droni si va specializzando. Il loro uso consente di sorvolare e “mappare” estesi territori, localizzare con precisione millimetrica obiettivi e siti ritenuti pericolosi o insicuri, raggiungere in maniera nascosta luoghi di particolare interesse strategico. La percentuale dell’uso dei droni per scopi non bellici è molto bassa: questi strumenti concorrono a rafforzare l’ampia gamma di armi di cui i governi del mondo intendono dotarsi e per le quali sono disposti a sostenere costi non indifferenti.

Sebbene si sia parlato di utilizzo di questi oggetti volanti anche in campo agricolo o di ricerca industriale, resta indubbio il loro coinvolgimento in manovre prebelliche o di guerra vera e propria. Essi risultano utili non solo per operazioni preliminari ma anche in vere e proprie azioni di guerra, una guerra “low cost” (a basso costo), e  -aggiungerei- sempre meno visibile!

Una tecnologia avanzatissima che ha come obiettivo la primordiale violenza dell’uomo sul proprio simile: ecco uno dei paradossi del drone; il non coinvolgimento di persone nella guida e nel pilotaggio di tali velivoli sembra ricalcare quell’ atteggiamento di indifferenza verso i problemi delle popolazioni povere del pianeta, quelle che abitano proprio quei territori eletti ad obiettivo dalle ricognizioni di questi apparecchi. L’assenza di un pilota sul drone equivale ad un “non volersi sporcare le mani”, ad indossare guanti resistenti e protettivi per svolgere un compito poco piacevole!

Numerosi studiosi sostengono che la guerra odierna non viene più considerata un duello bensì una caccia: “il paradigma non è più quello di due lottatori che si scontrano, ma quello del cacciatore che bracca una preda che fugge e si nasconde” (Gregoire Chamayou). Nella terribile logica dei conflitti del XXI secolo il “nemico” va identificato e localizzato; anche in questo campo – ahinoi! – si parla di “Rete” i cui “nodi” devono essere scoperti ed annientati, e non esiste arma migliore dell’aereo senza pilota, “arma umanitaria per eccellenza” secondo i teorici delle forze armate americane!

E dalla cronaca, mai  avara di sensazionalismi, spariscono notizie e racconti sugli attacchi e le incursioni che in diverse parti del mondo continuano ad effettuarsi. Gli eventi della guerra, e con essi il linguaggio che li narra e li fa conoscere, oggi si vestono di “normalità”: paradossalmente non attraggono, non spingono alla riflessione, non suscitano indignazione e presa di coscienza.

Mi inquieta il sottotitolo che lo storico francese G. Chamayou dà al suo recente saggio sui droni: Principi filosofici del diritto di uccidere.  ☺

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