Spiragli
29 Marzo 2014 Share

Spiragli

Trascorsi un po’ di mesi torno a dare finalmente il mio contributo agli amici de la fonte, un’assenza certamente non causata dalla mancanza di tempo o altre diavolerie simili, ma generata dal bisogno di scrollarmi di dosso un pensiero estremamente critico e negativo nei confronti dell’uomo, pensiero che per mesi purtroppo mi sono costruita e che mi avrebbe portata a scrivere soltanto frasi cariche di prepotenza e cattiveria: ora faccio un tentativo e provo a dialogare civilmente, seppur non sempre funziona, fa star meglio cuore e mente.

Non molto tempo fa sottolineai come dal mio punto di vista il Molise sembrasse totalmente morto, senza nessuna speranza di resurrezione: occupata da tante mele marce nessuna mela rossa e polposa, portata da chissà quale principe azzurro  a cavallo, può mettere in atto un’azione tale da innescare un (ri)sveglio.

Oggi mi sento e sono speranzosa e oserei anche dire tendenzialmente positiva. È indubbio che io lo sia, e sarei ipocritica a non ammetterlo, perché sono riuscita ad esprimermi, seppur dopo tanta fatica e duro lavoro quotidiano, in ciò che più amo. Ciò mi sta permettendo di vedere in prima persona l’impegno che incomincia ad esistere nei confronti di quel mondo sommerso che molti definiscono dei vulnerabili (è una terminologia che condivido soltanto in parte), da parte di un numero sempre maggiore di persone di ogni età, dai più giovani ai più adulti. I giovani riescono, diversamente da come qualcuno vuol credere e far credere, ad essere di esempio anche alla generazione ‘dei grandi’ che invece, molto spesso, dimenticano l’uguaglianza e soprattutto la tolleranza perché con l’età, invece di diventare meno avidi e desiderosi di potere, tendono a diventare frustrati e bisognosi di conferme, perdendo spesso le loro grandi ricchezze. La detenzione del sapere e l’esperienza, prima ancora di insegnare qualcosa agli altri, avrebbe dovuto migliorare loro stessi.

Subito mi vengono in mente due categorie che purtroppo non sempre sono state capaci di insegnare cose buone e giuste: i politici e le forze dell’ordine, i quali hanno fallito molto spesso. Riguardo ai primi qualcosa ho già detto, rispetto ai secondi potrei anche evitare di  usare parole, basterebbe scrivere una lista di nomi per capire a cosa mi riferisco – Cucchi, Scarone, Aldobrandi ecc. – invece di insegnarci il rispetto e trasmetterci sicurezza e protezione molto spesso hanno provocato un qualcosa di totalmente opposto. Ma sono soltanto io che alla vista di una divisa automaticamente entro in uno stato di agitazione incontrollabile pur comportandomi bene e non infrangendo la legge? Complimenti ottimo lavoro.

In mezzo a tanto ‘marciume’ voglio invece ricordare e prendere come buon esempio una donna che ha sempre combattuto per la libertà degli uomini, che ha salvato se stessa e gli altri dalla schiavitù e che si è quotidianamente impegnata nella cura dei rifugiati e in attività rivolte al benessere collettivo e soprattutto umano. Il 10 marzo è stato l’anniversario della morte di  Harriet Tubman (1822 circa – 10 marzo 1913), una donna, una grande donna, la ‘generalessa’ o ‘Mosè della gente nera’ come viene definita. La sua storia risulta essere una storia ben nota in diversi paesi, in Italia un po’ meno; fu colei che ideò una misteriosa ferrovia sotterranea per far fuggire gli schiavi dai campi di cotone del Maryland. È una di quelle storie che non importa se vere in toto oppure no, non possono che far bene. Non amava la violenza ma la pace, non amava le armi ma la voce, non amava i ricatti ma la libertà. È la sua storia, come quella di molti altri, che dobbiamo ricordare e rendere nostra, perché non c’è cosa più bella che poter urlare di non essere schiavi di nessuno.

Nella mia regione ho percepito piccoli spiragli di luce in tal senso, speriamo sia il segno di un ottimo risveglio. ☺

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