Stagnazione meridionale
5 Settembre 2015 Share

Stagnazione meridionale

Il dibattito politico promette un autunno effervescente, ma non è certo che gli argomenti che saranno posti al centro del confronto siano quelli decisivi per il futuro del paese. Tra questi ultimi c’è sicuramente il tema della condizione socio-economica del Mezzogiorno. L’ultimo rapporto Svimez ci ha fornito dati impressionanti sul Sud: un cittadino su tre è a rischio povertà; il livello occupazionale è pari a quello del 1977; il numero delle nascite è pari a quello di 150 anni fa. Il dramma certificato da questi numeri diventa ancora più evidente quando Svimez ci dice che, nel periodo che va dal 2001 al 2014 il Sud è cresciuto molto meno della Grecia e che, pertanto, rischia il “sottosviluppo permanente”.

Roberto Saviano e Matteo Renzi hanno amplificato il messaggio dello Svimez con un botta e risposta fatto di “Faccia presto, caro presidente del consiglio”, “Basta con i piagnistei” e “ Questo non è un piagnisteo, è un grido di dolore”. Anche il presidente della regione Puglia è intervenuto sull’argomento minacciando di “ scatenare l’inferno”. In realtà, dalle successive dichiarazioni si è capito che intendeva “scatenare l’inverno”, ma questo avverrà, verosimilmente, solo dopo l’autunno.

Matteo Renzi non ha potuto ignorare la portata dell’allarme Svimez ed ha promesso, per il prossimo mese di settembre, l’adozione di uno specifico masterplan per il Mezzogiorno. L’appuntamento è importante e assai vicino. Non bisogna perderlo d’occhio, sperando, peraltro, che il presidente del consiglio non lo affronti con l’aria di chi è appena arrivato sul luogo del delitto. Renzi è a Palazzo Chigi dall’inizio del 2014 e almeno un paio di responsabilità le ha anche lui. La prima riguarda l’aver ignorato sia il grave ritardo che già all’epoca era stato accumulato nella spesa dei fondi europei relativi al 2007/2013, sia l’infima qualità della spesa effettuata, che è stata incanalata in più di 900mila progetti di dubbia utilità.

La seconda responsabilità sta nell’aver bloccato fino ad oggi l’attivazione dell’Agenzia nazionale per la coesione territoriale, concepita dall’ex ministro Fabrizio Barca e istituita dal governo Letta nel 2013. L’Agenzia nazionale avrebbe potuto aiutare, in questi 18 mesi, il governo Renzi a non ripetere gli errori di impostazione che avevano vanificato di fatto la programmazione 2007/2013 e quelle precedenti. Invece, quegli errori sono stati ripetuti pari pari in questi ultimi mesi e presto scopriremo che anche i fondi del 2014/2020 rischiano di essere spesi male e solo in parte.

Ciò detto, occorre sperare che Renzi predisponga, nei tempi promessi e insieme ai presidenti delle regioni, un masterplan capace di correggere le castronerie fatte fin qui e di far ripartire il Mezzogiorno e l’intero paese. D’altro canto, sarebbe un grave sbaglio concentrare tutta l’attenzione sui finanziamenti disponibili o da stanziare. Bisogna cominciare a fare l’elenco, breve ma realistico, delle infrastrutture necessarie per allinearle a quelle del nord, predisporre gli strumenti normativi necessari per uno sviluppo di qualità e per l’innalzamento del livello di legalità.

Quest’ultimo punto potrebbe essere considerato poco attinente al tema e, invece, è quello decisivo per un profondo cambiamento del Mezzogiorno. I fondi, europei e non, usati per comprare voti, il clientelismo, la corruzione, le raccomandazioni, le commistioni tra interessi pubblici e privati, la malavita organizzata sono piaghe che bloccano sul nascere ogni idea di sviluppo. Esse vanno combattute da Roma, ma sopratutto dai cittadini e dalle classi dirigenti locali e regionali.

Il tema che abbiamo di fronte è dunque assai complesso e non può essere affrontato senza un adeguato vigore. Serve una forte capacità di indignarsi per quello che i governi hanno fatto o hanno omesso di fare, spesso in combutta con le classi dirigenti territoriali. Serve una ribellione vera verso eventuali scelte gattopardesche fatte attraverso l’annunciato masterplan. Serve una scelta di campo collettiva in difesa dei principi di democrazia, legalità e trasparenza da far vivere in un rapporto partecipativo e di controllo con gli enti locali, con i governi regionali e nazionali e con le stesse istituzioni europee. Deve, però, essere ben chiaro, a chi vuole indignarsi e ribellarsi, che la mala pianta dell’illegalità, che le classi dirigenti hanno nutrito nel proprio interesse, ha le sue radici tra di noi e solo noi possiamo estirparla.

Quanto al Molise, è opportuno ricordare che nell’ultimo scorcio del secolo scorso si stava allineando ai parametri socio-economici delle regioni del Centro e che nell’ultimo decennio è stato completamente risucchiato nella stagnazione meridionale. I molisani hanno, dunque, qualche ragione in più per indignarsi, per chiedere conto alle loro classi dirigenti e a se stessi del disastro subìto e per ribellarsi all’idea che tutto possa continuare come prima.☺

 

 

 

 

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