stelle accese  di Gabriella de Lisio
31 Gennaio 2012 Share

stelle accese di Gabriella de Lisio

 

“Oggi ciò che manca di più agli italiani è lo spazio. Uno spazio fisico, ma anche mentale, che significa possibilità, futuro e speranze. Per decenni questa sensazione di apertura è stata il motore della nostra crescita e lo stimolo a pensare positivo”.

Non c’è più il futuro di una volta, insomma. E il lapsus non è altro che un segno dei tempi. Eppure l’ultimo libro di Mario Calabresi – da cui è tratto il pensiero in apertura – sa rispondervi con un sorriso di fiducia ed uno sguardo di speranza, che è positivo condividere al principio di un anno carico di attese e di preoccupazioni (individuali e collettive), come il 2012.

 Cosa tiene accese le stelle (Mondadori – Strade Blu, 17 €), è un esorcismo contro uno dei più triti luoghi comuni secondo il quale “si stava meglio quando si stava peggio”.

È un invito alla speranza che parte da lontano, e si rivela audace e ragionevole al contempo. Attraverso le conversazioni con uomini eccellenti, e attingendo ad un ricco serbatoio di memorie personali, il direttore de La Stampa presenta anzitutto alcuni buoni motivi per non lasciarsi prendere dallo sconforto, e riconoscere invece, alla luce di un cauto ottimismo, quanto siano migliorate le vite degli italiani negli ultimi cinquant’anni.

Sono fatti: la mortalità infantile è crollata al punto da far ritenere a molti analisti stranieri che l’Italia è oggi “il posto più sicuro al mondo dove mettere al mondo un bambino”. L'assistenza sanitaria è garantita per tutti. Molta meno gente muore sulle strade. Ci sono meno omicidi, e vengono commessi complessivamente meno crimini di sangue.

Le malattie vengono curate in modo molto più mirato ed efficace di un tempo.

Viviamo tutti, o quasi tutti, in appartamenti adeguati alle nostre necessità, dotati di servizi sanitari e allacciati alla rete elettrica. Siamo un paese alfabetizzato, e facciamo sicuramente molta meno fatica di quanta non ne facessero i nostri padri e le nostre madri, e prima di loro le generazioni precedenti, abituate a conquistare ogni millimetro del proprio benessere a costo di fatica e sacrifici.

Un quadro edificante che offre risposte concrete per controbattere a chi loda il passato come depositario di una qualità della vita migliore della attuale.

Ma attenzione: la progressione ad infinitum della curva del nostro benessere ha segnato un’inversione, negli ultimi vent’anni, e i giovani non investono più nel proprio futuro perché sono attanagliati da uno scoramento profondo, da una passività che si trasmette endemicamente, o per via ereditaria. Sono i padri stessi a mettere le mani avanti, ci spiega Calabresi, inducendo i propri figli a non credere troppo nelle proprie possibilità, per evitare la delusione che inevitabilmente seguirà, quando i giovani dovranno misurarsi con la realtà di un Paese che ha smesso di credere in loro. Sembra che il nichilismo, il fatalismo, la sfiducia siano gli umori più diffusi fra anziani che hanno nostalgia dei tempi che furono, e giovani che si rassegnano alla mancanza di prospettive. Un malessere che è “il” male del nostro tempo e al quale, tuttavia, si può contrapporre una lettura alternativa del presente e un uso intelligente delle nostre risorse personali, servendosi – secondo l’intuizione di Calabresi – di alcune lucerne lungo il cammino, storie di chi – scienziati, artisti, imprenditori, intellettuali, giornalisti, ma anche persone assolutamente comuni – è stato capace di inseguire i propri sogni affrontando a testa alta le sfide e gli ostacoli del mondo di oggi. Storie di chi non ha mai smesso di credere nel futuro.

E così, per definire e fronteggiare questo malessere, il giornalista ricompone i frammenti di tempi in cui si faceva fatica a vivere ma era sempre accesa una speranza.

Assieme a lui incontriamo dunque l’oncologo Veronesi, appassionato sponsor dei giovani, che non ha paura di dire come i ragazzi di oggi valgano quanto (e forse più) dei giovani dei suoi tempi.

Poi c’è Massimo Moratti, che attraverso il filtro del tifo calcistico stabilisce un paragone fra i giorni nostri e quel novembre 1949 in cui suo padre lo portò per la prima volta a vedere giocare l’Inter a San Siro.

Franca Valeri dispensa qualche meravigliosa pillola della sua intelligenza e del suo umorismo agrodolce, raccontando dell'epoca in cui la villeggiatura era una vera e propria "altra vita" che si svolgeva da giugno a settembre, ma riconoscendo come sia importantissimo il fatto che oggi siano molte più persone a poter godere delle ferie, seppure per periodi più brevi. Ma ci sono anche deliziosi quadretti d’altri tempi (ormai!), come il rito della fotografia vecchio stile o quello di cercare un gettone telefonico per chiamare da una cabina.

E, ancora, le testimonianze di docenti universitari, astrofisici, cantanti… e persone normali: tutti concorrono a comporre un mosaico speranzoso e in divenire del tempo in cui viviamo e di quello che abbiamo appena lasciato, spesso senza esserne pienamente consapevoli.

Al di là di tutto, contro ogni irragionevole resa a priori, Cosa tiene accese le stelle è un invito ad accendere ciascuno la propria stella e a lasciarsene guidare credendo che la tenacia, la volontà, la capacità di coltivare le proprie passioni, siano l’unica strada – la più faticosa ma la più entusiasmante – per credere in un futuro migliore. ☺

gadelis@libero.it

 

eoc

eoc