Stili più sobri
16 Giugno 2021
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Stili più sobri

Avete mai sentito parlare di greenwashing [pronuncia: grin-uoscing]? In questi mesi è all’attenzione delle forze politiche e del mondo del lavoro il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (ex. Recovery Plan) che il governo ha presentato alla fine del mese di aprile e che ha certamente bisogno di essere integrato e migliorato con progetti – rigorosamente ecologici! – accompagnati da accurata esposizione delle fasi operative e degli scopi, oltre che dei costi. Cosa ha a che fare il greenwashing con tutto questo? Innanzitutto il termine anglofono è composto dall’aggettivo green – ormai noto anche nella nostra lingua – che traduce “verde” e dalla forma -ing del verbo wash, “lavare”: una traduzione approssimativa potrebbe essere – con grande rispetto per Alessandro Manzoni – “risciacquare nel ver- de”, vale a dire coprire ciò che si produce con una maschera ecologica. Sarà vero?

Il vocabolo inglese denomina la pratica, adottata da diverse fabbriche, con cui ci si attribuisce un’immagine ecologista positiva ma ingannevole, il cui scopo è quello di distogliere l’opinione pubblica dai reali effetti negativi per l’ambiente che le attività o i beni dell’attività produttiva causano. Il fenomeno greenwashing è molto diffuso, soprattutto ora che l’ecosostenibilità rappresenta una esigenza ed un dovere. Molte aziende nascondono la propria identità e si esprimono in termini di sostenibilità ambientale e pratiche etiche ma in realtà non fanno nulla di concreto per preservare l’ambiente: esse parlano di ecosostenibilità per ottenere visibilità e considerazione sul piano pubblicitario e ricaduta commerciale.

Il Garante della Concorrenza e del Mercato, in Italia, deve controllare il greenwashing che è considerato pubblicità ingannevole e nel corso di questi ultimi decenni non sono mancate sentenze di condanna per alcuni marchi che ne facevano uso. Il ricorso a questa forma di pubblicità non è immune da irregolarità che in inglese – guarda caso – sono denominate sin, peccati; ne sono state classificate ed evidenziate almeno sette, tra cui possiamo ricordare la vaghezza, la falsa etichetta, la mancanza di prove della ecosostenibilità del prodotto.

Numerose sono le campagne messe in atto per contrastare il greenwashing, a partire dall’osservazione della comunicazione che le aziende utilizzano. Per i consumatori sono stati divulgati alcuni consigli al fine di evitare la probabile truffa: è più che probabile che si tratti di greenwashing quando le informazioni fornite, relativamente ad un prodotto, appaiono troppo vaghe e approssimative o se, al contrario, si ricorre ad un linguaggio tecnico, a volte incomprensibile, accompagnato da immagini suggestive o etichette “troppo verdi”!

Uno dei settori in cui questa pubblicità ingannevole è più presente è quello dell’abbigliamento: ci vantiamo come Paese del nostro made in Italy, una carta di presentazione rispettabile e ormai famosa. Ma proprio questo settore potrebbe riservare poco piacevoli sorprese: non tutto è “fabbricato in Italia”, le materie prime non sono sempre le migliori, i capi non rispondono sempre ai requisiti richiesti, la lavorazione dei tessuti non si è tenuta nello stesso luogo, ma spesso risulta da “assemblaggio” di parti confezionate altrove.

Nel numero di maggio 2021 il nostro periodico ha ospitato l’intervento di Tiziana Antonilli che segnalava il fine diseducativo di uno spot televisivo che incoraggia, soprattutto le giovani donne, a disfarsi dei capi di abbigliamento o accessori che non indossano più, attraverso la vendita su un sito specializzato. Il rilievo mosso, attento e condivisibile, di cui ringrazio la nostra lettrice, pone non soltanto l’ accento sui pericoli di una visione ultraconsumistica della società ma richiama anche l’ attenzione verso l’eco- stenibilità: sempre più prodotti in giro per il mondo piuttosto che riusare, condividere e apprezzare quelli che già esistono. E qui torniamo al Piano di resilienza che dovrebbe mirare a buone pratiche sensibili alla questione ambientale.

Si parla ormai da decenni di progresso sostenibile che per gli esperti coincide con la lotta agli sprechi, in tutte le forme in cui si manifestano. La crescita economica, che attendiamo per il futuro, non potrà che essere abbinata alla difesa dell’ambiente, a nuove politiche per l’energia, l’istruzione, la formazione, la ricerca, a una nuova consapevolezza del fatto che un mondo che distrugge le sue risorse naturali non ha futuro (Domenico De Masi).

E il prof. Mario Tozzi, geologo e divulgatore molto noto, ci invita ad assumere nuovi stili di vita: “l’espressione più adeguata è ‘stili più sobri’ che non significa meno felici. Rimodulare il nostro modo di vivere. … Ecco, ‘diminuire gli impatti’ è il comandamento”.☺

 

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