storie di vita di Gabriella de Lisio | La Fonte TV
“La 'Buona Terra' è metafora di quello che la nostra terra può diventare e che sta iniziando a diventare, una terra dove le persone si incontrano, collaborano e si liberano”. Parla così Gianni Solino, autore del libro La Buona Terra. Storie dalle terre di don Peppe Diana (La Meridiana), che presenta racconti di volti ed esperienze di riscatto dell’antimafia sociale campana e si può considerare una potente testimonianza di legalità, sotto varie forme, in territori notoriamente difficili. “Una biblioteca in un posto che non conosce biblioteche è un fatto. Una cooperativa che dà opportunità di lavoro su un bene confiscato è un fatto. Servono fatti, non più parole”.
Le Terre di don Peppe (il sacerdote di Casal di Principe ucciso il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della sua parrocchia, perché figura scomoda e di denuncia contro la camorra), come scrive l'editore nell'introduzione del libro, “sono i luoghi in cui il volontariato organizzato e le scelte quotidiane dei singoli cercano, sperimentano e riorganizzano opportunità di lavoro diverse da quelle offerte dalla criminalità”.
“Ci sono molte storie che testimoniano la resistenza del tessuto di economia sociale che nasce e che dà lavoro” prosegue Solino “ci sono molte esperienze umane che entrano e molte altre che devono ancora entrare in rete e che chiamiamo "Terre di don Peppe". Esperienze belle che non vengono raccontate e a cui spesso si stenta a credere. Storie, testimonianze, persone che dimostrano che la scomparsa della camorra è a portata di mano”. Ed è così che l'autore racconta alcune delle molte vicende di riscatto e di aggregazione narrate nel libro e che hanno trovato spazio e accoglienza sui beni e sui terreni confiscati.
Racconta l'esperienza della cooperativa sociale Agropoli che a San Cipriano d'Aversa ha sperimentato – non senza difficoltà, ma con entusiasmo da vendere – la convivenza a scopo riabilitativo di ragazzi affetti da disabilità mentale, la gestione del ristorante NCO (Nuova Cucina Organizzata), e i loro progetti di agricoltura sociale.
Racconta la storia di Jerry Masslo, rifugiato sudafricano scappato nell'89 dal proprio paese perché vittima dell'apartheid e ucciso a Villa Literno da una banda di criminali in seguito a una rapina “perché quei fessi (i neri) non ti possono nemmeno denunciare”. A partire dalla storia di Jerry, Solino ricostruisce il percorso in cui la ribellione si è fatta memoria e aiuto fattivo, dando vita all'omonima associazione che ad oggi ha trovato uno spazio proprio all'interno del centro d'accoglienza "Fernandes", lungo la Domitiana, a Castelvolturno, e che lavora a sostegno di persone tenute ai margini come immigrati, tossicodipendenti, prostitute.
Nelle sue pagine fitte fitte, Solino racconta volti di persone, storie, esperienze umane che entrano in relazione a partire da opportunità vere, reali ed alternative al sistema criminale che oggi danno lavoro a oltre un centinaio di ragazzi in una realtà in cui il controllo del territorio da parte della camorra è ancora molto forte. Pagine che hanno i volti indimenticabili di Antonio e Fortuna, di Peppe Pagano, degli scout che scelgono un’estate diversa sui campi di Libera Terra, degli amici che hanno lottato contro il “disagio psichico” a colpi di rapporti umani, di opportunità di lavoro e di riscatto della propria dignità, grazie al coraggio rivoluzionario della “legge Basaglia”.
Pagine che – insieme a quelle speculari del precedente lavoro dell’autore, “Ragazzi della terra di nessuno” – si prestano bene ad un percorso didattico di educazione alla legalità, in cui i ragazzi – a partire da un approccio ludico alle regole, alla Costituzione e a vissuti personali di microcriminalità quotidiana, come il bullismo – si avvicinino alla camorra, alle mafie, da una prospettiva di fiducia e di speranza, di ribellione e di riscatto. Le esperienze di visite guidate – che prevedono anche un incontro con l’autore stesso – sui terreni confiscati, si stanno d’altronde moltiplicando. Scoprire questo nuovo modo di “fare la gita” può essere un fatto. A Solino piace parlare di fatti, non di parole. Anche a noi.☺
gadelis@libero.it
“La 'Buona Terra' è metafora di quello che la nostra terra può diventare e che sta iniziando a diventare, una terra dove le persone si incontrano, collaborano e si liberano”. Parla così Gianni Solino, autore del libro La Buona Terra. Storie dalle terre di don Peppe Diana (La Meridiana), che presenta racconti di volti ed esperienze di riscatto dell’antimafia sociale campana e si può considerare una potente testimonianza di legalità, sotto varie forme, in territori notoriamente difficili. “Una biblioteca in un posto che non conosce biblioteche è un fatto. Una cooperativa che dà opportunità di lavoro su un bene confiscato è un fatto. Servono fatti, non più parole”.
Le Terre di don Peppe (il sacerdote di Casal di Principe ucciso il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della sua parrocchia, perché figura scomoda e di denuncia contro la camorra), come scrive l'editore nell'introduzione del libro, “sono i luoghi in cui il volontariato organizzato e le scelte quotidiane dei singoli cercano, sperimentano e riorganizzano opportunità di lavoro diverse da quelle offerte dalla criminalità”.
“Ci sono molte storie che testimoniano la resistenza del tessuto di economia sociale che nasce e che dà lavoro” prosegue Solino “ci sono molte esperienze umane che entrano e molte altre che devono ancora entrare in rete e che chiamiamo "Terre di don Peppe". Esperienze belle che non vengono raccontate e a cui spesso si stenta a credere. Storie, testimonianze, persone che dimostrano che la scomparsa della camorra è a portata di mano”. Ed è così che l'autore racconta alcune delle molte vicende di riscatto e di aggregazione narrate nel libro e che hanno trovato spazio e accoglienza sui beni e sui terreni confiscati.
Racconta l'esperienza della cooperativa sociale Agropoli che a San Cipriano d'Aversa ha sperimentato – non senza difficoltà, ma con entusiasmo da vendere – la convivenza a scopo riabilitativo di ragazzi affetti da disabilità mentale, la gestione del ristorante NCO (Nuova Cucina Organizzata), e i loro progetti di agricoltura sociale.
Racconta la storia di Jerry Masslo, rifugiato sudafricano scappato nell'89 dal proprio paese perché vittima dell'apartheid e ucciso a Villa Literno da una banda di criminali in seguito a una rapina “perché quei fessi (i neri) non ti possono nemmeno denunciare”. A partire dalla storia di Jerry, Solino ricostruisce il percorso in cui la ribellione si è fatta memoria e aiuto fattivo, dando vita all'omonima associazione che ad oggi ha trovato uno spazio proprio all'interno del centro d'accoglienza "Fernandes", lungo la Domitiana, a Castelvolturno, e che lavora a sostegno di persone tenute ai margini come immigrati, tossicodipendenti, prostitute.
Nelle sue pagine fitte fitte, Solino racconta volti di persone, storie, esperienze umane che entrano in relazione a partire da opportunità vere, reali ed alternative al sistema criminale che oggi danno lavoro a oltre un centinaio di ragazzi in una realtà in cui il controllo del territorio da parte della camorra è ancora molto forte. Pagine che hanno i volti indimenticabili di Antonio e Fortuna, di Peppe Pagano, degli scout che scelgono un’estate diversa sui campi di Libera Terra, degli amici che hanno lottato contro il “disagio psichico” a colpi di rapporti umani, di opportunità di lavoro e di riscatto della propria dignità, grazie al coraggio rivoluzionario della “legge Basaglia”.
Pagine che – insieme a quelle speculari del precedente lavoro dell’autore, “Ragazzi della terra di nessuno” – si prestano bene ad un percorso didattico di educazione alla legalità, in cui i ragazzi – a partire da un approccio ludico alle regole, alla Costituzione e a vissuti personali di microcriminalità quotidiana, come il bullismo – si avvicinino alla camorra, alle mafie, da una prospettiva di fiducia e di speranza, di ribellione e di riscatto. Le esperienze di visite guidate – che prevedono anche un incontro con l’autore stesso – sui terreni confiscati, si stanno d’altronde moltiplicando. Scoprire questo nuovo modo di “fare la gita” può essere un fatto. A Solino piace parlare di fatti, non di parole. Anche a noi.☺
“La 'Buona Terra' è metafora di quello che la nostra terra può diventare e che sta iniziando a diventare, una terra dove le persone si incontrano, collaborano e si liberano”. Parla così Gianni Solino, autore del libro La Buona Terra. Storie dalle terre di don Peppe Diana (La Meridiana), che presenta racconti di volti ed esperienze di riscatto dell’antimafia sociale campana e si può considerare una potente testimonianza di legalità, sotto varie forme, in territori notoriamente difficili. “Una biblioteca in un posto che non conosce biblioteche è un fatto. Una cooperativa che dà opportunità di lavoro su un bene confiscato è un fatto. Servono fatti, non più parole”.
Le Terre di don Peppe (il sacerdote di Casal di Principe ucciso il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della sua parrocchia, perché figura scomoda e di denuncia contro la camorra), come scrive l'editore nell'introduzione del libro, “sono i luoghi in cui il volontariato organizzato e le scelte quotidiane dei singoli cercano, sperimentano e riorganizzano opportunità di lavoro diverse da quelle offerte dalla criminalità”.
“Ci sono molte storie che testimoniano la resistenza del tessuto di economia sociale che nasce e che dà lavoro” prosegue Solino “ci sono molte esperienze umane che entrano e molte altre che devono ancora entrare in rete e che chiamiamo "Terre di don Peppe". Esperienze belle che non vengono raccontate e a cui spesso si stenta a credere. Storie, testimonianze, persone che dimostrano che la scomparsa della camorra è a portata di mano”. Ed è così che l'autore racconta alcune delle molte vicende di riscatto e di aggregazione narrate nel libro e che hanno trovato spazio e accoglienza sui beni e sui terreni confiscati.
Racconta l'esperienza della cooperativa sociale Agropoli che a San Cipriano d'Aversa ha sperimentato – non senza difficoltà, ma con entusiasmo da vendere – la convivenza a scopo riabilitativo di ragazzi affetti da disabilità mentale, la gestione del ristorante NCO (Nuova Cucina Organizzata), e i loro progetti di agricoltura sociale.
Racconta la storia di Jerry Masslo, rifugiato sudafricano scappato nell'89 dal proprio paese perché vittima dell'apartheid e ucciso a Villa Literno da una banda di criminali in seguito a una rapina “perché quei fessi (i neri) non ti possono nemmeno denunciare”. A partire dalla storia di Jerry, Solino ricostruisce il percorso in cui la ribellione si è fatta memoria e aiuto fattivo, dando vita all'omonima associazione che ad oggi ha trovato uno spazio proprio all'interno del centro d'accoglienza "Fernandes", lungo la Domitiana, a Castelvolturno, e che lavora a sostegno di persone tenute ai margini come immigrati, tossicodipendenti, prostitute.
Nelle sue pagine fitte fitte, Solino racconta volti di persone, storie, esperienze umane che entrano in relazione a partire da opportunità vere, reali ed alternative al sistema criminale che oggi danno lavoro a oltre un centinaio di ragazzi in una realtà in cui il controllo del territorio da parte della camorra è ancora molto forte. Pagine che hanno i volti indimenticabili di Antonio e Fortuna, di Peppe Pagano, degli scout che scelgono un’estate diversa sui campi di Libera Terra, degli amici che hanno lottato contro il “disagio psichico” a colpi di rapporti umani, di opportunità di lavoro e di riscatto della propria dignità, grazie al coraggio rivoluzionario della “legge Basaglia”.
Pagine che – insieme a quelle speculari del precedente lavoro dell’autore, “Ragazzi della terra di nessuno” – si prestano bene ad un percorso didattico di educazione alla legalità, in cui i ragazzi – a partire da un approccio ludico alle regole, alla Costituzione e a vissuti personali di microcriminalità quotidiana, come il bullismo – si avvicinino alla camorra, alle mafie, da una prospettiva di fiducia e di speranza, di ribellione e di riscatto. Le esperienze di visite guidate – che prevedono anche un incontro con l’autore stesso – sui terreni confiscati, si stanno d’altronde moltiplicando. Scoprire questo nuovo modo di “fare la gita” può essere un fatto. A Solino piace parlare di fatti, non di parole. Anche a noi.☺
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