sulla stessa strada
30 Aprile 2011 Share

sulla stessa strada

 

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”. Così inizia il famoso racconto del Buon Samaritano (Lc 10,30-37). La figura del povero malcapitato non è definita ulteriormente, mentre si dice chiaramente che chi decide di soccorrerlo o meno, appartiene a gruppi precisi: un sacerdote, un levita, un samaritano. In realtà anche quell’uomo che scendeva da Gerusalemme poteva essere un ebreo che era salito per il culto e stava tornando a casa sua e forse in città aveva incontrato i due uomini religiosi che ora si stavano scansando e forse, chissà, aveva anche fatto loro dei gesti di riverenza. Certamente, se era un pio ebreo, non avrebbe trattato allo stesso modo il samaritano, appartenente a un gruppo etnico, non solo disprezzato, ma addirittura odiato. L’insistenza del racconto è tuttavia sul fatto che i primi tre uomini scendevano da Gerusalemme, solo del samaritano si dice che passava da quelle parti, non avendo nulla da condividere con quella città. Gerusalemme simboleggia le radici identitarie, il luogo in cui ogni ebreo può ritrovare la sua origine e dove deve ricordare a se stesso e a Dio che è discendente di un arameo errante che ha avuto in dono quella terra e quel tempio, che è chiamato ad accogliere chi è profugo e straniero come lo è stato il suo antenato, che considera la terra non come proprietà ma come concessione fatta da Dio, da condividere. Probabilmente erano sacerdoti come quello che gli è passato accanto a recitare i testi sacri che ricordavano il dovere del soccorso a chi è nel bisogno ed è quel levita che assisteva il culto mentre quell’uomo malmenato faceva la sua offerta di ringraziamento al Signore. Di tutto questo ricordo non è rimasto nulla, del fatto che tutti e tre scendevano da Gerusalemme, che sentivano cioè di appartenere allo stesso ceppo, si sentono solo gli echi di parole proclamate solennemente ma non radicate nel cuore.

Metafora eloquente di quanto accade spesso nella storia, anche attuale, in cui si ostentano valori democratici e radici cristiane, ma quando si tratta di esser solidali con chi accoglie e chi è accolto, si cominciano a fare i distinguo, ad accampare cavilli legali, a sollevare eccezioni casistiche. Poi ci si mettono pure gli alti prelati che rimproverano all’Europa di aver smarrito i suoi valori. Se malauguratamente l’elefantiaca costituzione europea avesse contenuto i riferimenti alle radici giudeo-cristiane, avrebbero chiesto di cancellarli per il fatto che non venivano osservati oppure avrebbero dimostrato nei fatti che l’insistenza su ciò che viene scritto sulla carta nasconde in realtà il totale disinteresse per la vita reale? Perché mai le reazioni tardive del mondo prelatizio dovrebbero muovere a compassione una burocrazia nazionale ed europea che in realtà è basata soprattutto sulla promozione e la difesa di meri interessi economico-finanziari ai quali non è estraneo il centro della cattolicità romana?

Di fronte ai ruoli recitati per copione da esponenti di tutte le gerarchie e le burocrazie nostrane, si erge muta e fattiva la figura del samaritano, di colui che passa ai margini delle città sante, che cammina per la sua strada di semplice persona, disprezzato dai clericali di ogni risma, che tuttavia non ha dimenticato il significato dell’aggettivo “umano”, che l’accomuna a tutti i derelitti della storia. In quel samaritano rivedo i pescatori siciliani che spesso hanno raccolto i naufraghi della disperazione e della fame, mentre le marinerie ufficiali puntavano le armi o chiudevano gli occhi sui poveri che annegavano; rivedo i rivoltosi tunisini ed egiziani che non avevano ancora assaporato il gusto della libertà e già si facevano carico di chi fuggiva dalla Libia che ha arricchito tante aziende italiane ed europee ma al prezzo di un regime di terrore; rivedo gli abitanti di Lampedusa che, in barba a tutte le manipolazioni dei media di regime, hanno accolto spontaneamente e rifocillato e coperto i disperati che approdano sulle loro coste. Tutti samaritani, cioè categorie disprezzate da chi pontifica sulla difesa delle radici e taglia invece il tronco dell’albero; che parla di identità cristiana contro il bellicoso islam e usa un linguaggio meschino e offensivo per definire i disperati che bussano alle nostre porte; che tratta da inferiori chi sta più a sud salvo poi essere ripagato con la stessa moneta da chi sta più a nord.

All’opposto della Gerusalemme dei grandi proclami che nascondono cinismo e disinteresse per l’uomo concreto, sta la locanda, come ultimo approdo di umanità. Il locandiere sa che esiste per accogliere i clienti, non fa le pulci a chi chiede un posto per dormire o accompagna un malcapitato, come gli stati di diritto dell’Europa dovrebbero sapere di esistere per il bene comune di tutti e non solo per gli interessi di qualcuno. Il samaritano che preferisce la locanda rispetto a Gerusalemme, sceglie semplicemente di fare il bene e ha capito che non avrebbe ottenuto nulla da una città basata solo sulle chiacchiere e sul fumo dei sacrifici, e che si tiene alla larga dai bisogni veri di chi soffre. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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