supporti della mafia  di Franco Novelli
1 Dicembre 2011 Share

supporti della mafia di Franco Novelli

 

La venuta del dottor Raffaele Cantone – giudice della Suprema Corte di Cassazione e ex sostituto procuratore presso la Dda di Napoli – il 10 novembre scorso ha rappresentato un momento particolarmente intenso sotto l’aspetto della partecipazione, perché ha messo in rilievo quanto sia ancora diffusa la sensibilità civile di molti settori dell’opinione pubblica regionale. Non c’è dubbio che le mafie abbiano bisogno di sodali e di complici per inserirsi nel tessuto sociale ed imporsi sulla volontà dei più. La complicità si manifesta soprattutto attraverso il giuoco del silenzio che fa emergere una serie di responsabilità oggettive che pesano terribilmente sul comportamento delle persone, condizionandole.

Ma la complicità dei più nei confronti del potere colluso con la mafia  si manifesta  anche in Parlamento, che ha fatto in questi tre anni di strapotere del burattino forzaitaliota la figura di chi è incontestabilmente schiavo delle volontà e degli umori del capo. Il problema era ed è quello di controllare la magistratura attraverso la predisposizione di leggi che nei fatti depenalizzano i reati che sono tipici della classe politica e fra questi il falso in bilancio, l’abuso d’ufficio e il finanziamento illecito dei partiti. Questi reati vengono depenalizzati, perché sono prescritti in maniera tanto rapida da non consentire di pervenire ad una sentenza definitiva. Il falso in bilancio sottintende che bisogna fare un danno alle persone associate; poiché porta significativi vantaggi agli stessi, ciò vuol dire che il reato non ci sarà mai. Infatti, se da un lato la punibilità è molto alta e consistente, da un altro la pena è risibile e la prescrizione praticamente assicurata. Sulla corruzione e il finanziamento pubblico dei partiti c’è oggi una tale pletora di leggi da far impallidire chi cerca con onestà e diligenza – all’interno della magistratura – di far applicare le norme ed eventualmente comminare una pena seria. Invece, sia i governi di centrosinistra che quelli di centrodestra, che si sono avvicendati dal 1990 circa, cioè dall’epoca in cui avevano inizio le indagini sulla corruzione dell’intera classe politica italiana – Tangentopoli – ad oggi hanno lavorato per depenalizzare i reati di corruzione e di finanziamento illecito dei partiti al punto da intralciare l’operato della magistratura e da rendere vano qualsiasi tentativo di condanna delle stesse classi dirigenti da parte degli organi magistratizi.

Un secondo elemento attiene alla delegittimazione dei giudici e quindi del procedimento giudiziario: i cittadini sanno che i loro rapporti sono gestiti dalla legge; essi si affidano ai magistrati, delegandoli consapevolmente nell’applicazione delle norme, augurandosi che i magistrati le applichino con coscienza ed onestà. In questo modo i cittadini sanno bene che la magistratura potrebbe incorrere in errori giudiziari, ma essi accettano questa eventualità, in quanto è proprio della democrazia e degli accordi consensuali che la collettività si dà.  I politici però non sono (stati) d’accordo e si sono inventati una formula molto incisiva ma terribilmente devastante che è quella di dire che la sentenza che li riguarda non è giusta, perché comminata da giudici comunisti o eversori e si appellano al popolo, per farsi assolvere. Questo è un atteggiamento populistico che noi in Italia conosciamo bene da più di un ventennio ed è ora che tale comportamento abbia fine. Infatti, se così non fosse, l’atto di autoassoluzione della classe politica andrebbe direttamente a delegittimare il concetto stesso di rispetto delle regole democratiche e delle diverse funzioni pubbliche e civili. Delegittimare la giustizia e l’apparato giudiziario significa stimolare ed accrescere gli appetiti particolaristici e gli interessi smaccatamente di classe della borghesia più reazionaria e nostalgica dell’autarchia o della plutocrazia. Infatti, tali sistemi sono per antonomasia antitetici alla democrazia e alla legalità, così come noi abbiamo imparato a conoscerle sia dall’educazione scolastica pubblica che dalla partecipazione vigile alle vicende della Polis.

Un terzo elemento molto consistente ed influente è la delegittimazione della legge. La negazione del principio di sovranità delle norme è uno di quegli strumenti distruttivi che la classe politica nostrana si è data per conseguire l’impunità, cosa che ha comportato effetti devastanti, perché ha prodotto un rapporto di complicità e di interdipendenza (la cosiddetta zona grigia che ha alimentato la massa grigia) di forme diffuse di comportamento come la spregiudicatezza, la prevaricazione, l’abuso, la  prepotenza, l’arrivismo, la pendolarità (volgarmente il salto della quaglia) delle posizioni e delle affermazioni, lo spergiuro (che nell’arena  politica è molto diffuso). Tutto questo bagaglio plebeo e del quadrivio perfido e puttanizio ha messo in ginocchio non solo la tenuta democratica del Paese ma anche la sobrietà e il buon gusto, tipici delle classi sociali oneste e democraticamente impegnate.

A questo punto si tratta di vedere o di verificare quali siano il cammino e la direzione da prendere, le iniziative da registrare per uscire fuori dal pantano, ma questo lavoro deve essere fatto con intelligenza, senza vendette o atteggiamenti pontificanti che sono esattamente il contrario di quanto si deve fare con l’impegno e il conflitto sociale nelle prospettive immediate di palingenesi della Storia del nostro Paese.

Ad un governo corrotto e prevaricatore può seguirne uno sicuramente più signorile e distinto ma egualmente ostile ai ceti non abbienti, alle giovani generazioni senza futuro, alle donne, tutti annientati da una crisi finanziaria ed economica, deterrente e molto vicina a quella del 1929, determinata dallo stesso ceto bancario, ossia dai padroni, competitori privilegiati di una democrazia malata, come la nostra.☺

bar.novelli@micso.net

 

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