Tentativi di vita
10 Ottobre 2021
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Tentativi di vita

“Vito pensa a una discoteca all’alba, alla moquette sporca, al puzzo di fumo e di sudore. I divani acciaccati, i posacenere ricolmi, le cicche per terra insieme ai vetri dei bicchieri rotti. Pensa alla sua festa dei diciotto anni. I suoi amici si sono ubriacati, hanno preso pasticche. Li ha visti ballare allucinati, ondeggiare avanti e indietro senza quasi muoversi come un banco di alghe malate. I piedi incollati nel delirio. Nessuno di loro sa cosa fare della propria vita”.

Ho ripensato a queste parole di Margaret Mazzantini, dal suo Mare al mattino, quando a ridosso dello scorso ferragosto ha suscitato scalpore – e le inevitabili polemiche – la notizia di un raduno rave [pronuncia: reiv] in una zona all’aperto compresa tra Lazio e Toscana. Impedirlo oppure tollerare che si svolgesse nel modo più “sicuro” possibile è stato l’interrogativo che ha preoccupato le autorità competenti e indirizzato, di conseguenza, il giudizio dell’opinione pubblica. Di cosa si sia trattato in realtà non è noto ai più perché molti di noi non ne hanno avuto – per fortuna (?)- esperienza diretta, e tali eventi rimangono spesso avvolti in un alone di mistero e clandestinità.

La definizione ufficiale di rave riportata nel nostro dizionario è quella di raduno di giovani, per lo più clandestino e di carattere trasgressivo, in località resa nota poche ore prima dell’inizio per evitare interventi delle forze dell’ordine, di durata indefinita: diversi giorni quello di ferragosto! Nell’ accezione negativa accolta dal vocabolario i partecipanti ballano e ascoltano musica ad altissimo volume e spesso fanno uso di stupefacenti. Anche se ci si limita al solo vocabolo rave, la locuzione esatta è rave party ed il significato del sostantivo inglese rave è “entusiasmo temporaneo, eccitazione”.

Mi ha colpito, alcuni anni fa nel centro storico di una località balneare, la scritta Rave is not a crime [pronuncia: reiv is not a craim]: una mano anonima aveva impresso su una porta questo graffito contemporaneo la cui traduzione in italiano è “il rave non è un reato”. Quale valutazione dare di un fenomeno che non sembra affatto destinato ad arrestarsi?

Se andiamo con la mente agli anni ’70 del secolo scorso, troviamo eventi ormai entrati a pieno titolo nella storia: a Woodstock (1969) o sull’Isola di Wight (1970) migliaia e migliaia di persone si sono radunate per ascoltare giganti della musica rock ed esponenti della controcultura giovanile come Bob Dylan, Jim Morrison, Joan Baez, Leonard Cohen. Potevano raduni del genere esaurirsi in uno spazio temporale simile a quello di una proiezione cinematografica per la quale paghiamo il biglietto e al termine torniamo a casa? Certamente no, ma tali episodi, aspramente criticati all’epoca dai cosiddetti conservatori, non appaiono più come modelli di trasgressione o criminalità.

Si potrebbe certamente obiettare che gli artisti che si esibivano in quei concerti erano di levatura eccezionale – uno ha addirittura vinto un premio Nobel, altri si sono battuti per i diritti umani – mentre oggi non si vedono esempi simili. Per molti, me compreso, la musica degli anni ’70 resta insuperabile esempio di impegno, partecipazione civile ed arte nello stesso tempo, ma è un’esperienza che si colloca nella storia e non può certamente rappresentare gli anni che stiamo vivendo nel nuovo millennio. I giovani, oggi, amano un altro tipo di musica, che io non conosco e, per la mia età, amo pochissimo, per non dire “detesto”! E se essi avvertono il bisogno di incontrarsi, prendere parte ad un concerto, soprattutto dopo le ristrettezze imposte dalla pandemia, non va censurato né stigmatizzato il loro atteggiamento.

Non difendo i rave, anzi condanno fermamente quegli episodi di intolleranza, mancato rispetto, violenza che purtroppo a volte ne sono la conseguenza: mi chiedo semplicemente se lo spirito di impegno per cambiare la società sia rimasto identico a quello degli anni ’70. Rispetto ai concerti-raduni rock precedenti i rave presentano differenze: sono un fenomeno sociale ormai endemico, da alcuni considerato deriva antagonista giovanile, insofferente alle regole, incattivito recentemente dalle limitazioni sanitarie vigenti. Questi giovani preferiscono la notte, scelgono modi di comportarsi, parlare, vestirsi che mettano in evidenza una separazione dal mondo adulto o “tradizionale”. Anche i mezzi che essi hanno a disposizione sono nuovi: ci si contatta sui social, non c’è bisogno di manifesti, volantini, comunicati: la piazza virtuale è connessa, la comunicazione arriva in tempo reale.

Forse a noi spettatori, estranei e lontani, toccherebbe lo sforzo di interrogarci, rinunciare ad uno sterile pregiudizio, imparare a cogliere in questi giovani contemporanei, come sottolinea Margaret Mazzantini, “comportamenti che viaggiano e si spostano da un corpo ad un altro. Tentativi di vita”.☺

 

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