tra solidarietà e legalità
17 Aprile 2010 Share

tra solidarietà e legalità

 

Dopo la morte della signora Giovanna Reggiani, la maestra romana di religione valdese, aggredita dal giovane rumeno Nicolai Mailat, mentre tornava nella sua abitazione a Tor di Quinto, attraversando una stradina igienicamente ributtante e per nulla illuminata, è esplosa una escalation  preoccupante di avversione e di rancore irrazionali nei confronti dei Rom, dei rumeni e degli immigrati, definiti tutti indistintamente “delinquenti” ed “assassini”.  Di qui, l’immagine che si è affermata nei giorni scorsi è quella dell’immigrato pericoloso,  aggressivo, indigesto e dunque da rispedire al suo paese d’origine. L’aggressione è stata un episodio molto grave e preoccupante e non saremo certo noi a sminuirne il peso e la gravità, perché tutta una serie di questioni culturali e sociali è legata a questo accadimento indigesto e immotivato.

Tuttavia, non possiamo non rilevare che assistiamo da diversi anni, ed indipendentemente dall’episodio della stazione di Tor di Quinto a Roma,  ad un notevole e disgustoso passo indietro  di civiltà dell’accoglienza e della solidarietà, rispetto alla complessiva tradizione culturale  dei paesi europei in generale e dell’Italia in particolare, ma anche alla luce di quei principi stabiliti dalla Dichiarazione dell’Onu dei diritti per le minoranze linguistiche, nazionali, etniche e religiose. 

Infatti, l’articolo 4 della suddetta Dichiarazione stabilisce che gli “stati dovranno prendere misure per assicurare che le persone facenti parte delle minoranze possano godere pienamente ed effettivamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali senza discriminazione e in piena eguaglianza di fronte alla legge”.

Inoltre, nel corso del 2005 il Comitato europeo per i diritti sociali ha ravvisato che l’Italia  ha violato la Carta sociale europea, in quanto il governo allora in carica non è riuscito a promuovere l’accesso dei Rom ad abitazioni di standard normali e non ha reso il prezzo degli alloggi accessibili a quei Rom  che non disponevano di risorse adeguate.

Il decreto legge

Nell’ultimo decreto legge fortemente (per il modo in cui è stato imposto alla collettività nazionale) voluto dal sindaco di Roma, Walter Veltroni, e dalla sua parte politica, sono esplicitamente indicate le condizioni di espulsione di quei soggetti (Rom,  comunitari, in particolare rumeni, extracomunitari)  ritenuti dal giudice di pace (e questo punto non è condivisibile, perché si svuoterebbe di peso e di senso l’autorità della giustizia normale) “individui pericolosi per la collettività e per l’ordine pubblico”; a meno che  non si riesca ad ottenere una notevole mutazione di quei passaggi che nel decreto sancirebbero quanto sopra descritto: è quanto si pretende dal governo Prodi; diversamente il Parlamento assumerebbe un iter differente e ostativo nei confronti del decreto legge sull’espulsione, mettendo giustamente in crisi un’alleanza di programma che nella concretezza della realtà non esisterebbe più.

Abbiamo potuto constatare che la reazione degli organi di stampa e radiotelevisivi, nonché quella delle forze politiche, è stata immediata, fondata oltre che sulla consapevolezza che l’aggressione immotivata e improvvisa (inaspettata) è stata un fatto grave, assurdo e quindi da respingere e punire con le leggi attuali e non con norme eccezionali, anche su una considerazione essenziale che fa emergere ancora una volta un quadro chiaro e preoccupante, ossia la violenza maschilista e precisamente di un maschio già noto alla polizia del suo paese per queste sue inclinazioni abnormi, su una donna inconsapevole ed inerme.

Sull’onda delle richieste del sindaco di Roma e sulla scia delle preoccupazioni allarmanti emerse dagli organi di stampa, il consiglio dei ministri ha stralciato dal pacchetto – disegno di legge  sulla sicurezza in discussione in Parlamento un decreto-legge che prevede l’espulsione immediata di un comunitario o di un extra-comunitario a fronte del pericolo che questi rappresenta per l’ordine pubblico e per la collettività in genere. 

L’espulsione da un paese di un cittadino comunitario non è fatto lieve ma l’espressione di una pre-potenza immotivata e frutto di un pregiudizio razziale; è l’espressione di un forte disagio che però sfocia in una norma incostituzionale (a detta di molti giuristi), laddove essa applica l’espulsione di uno o più cittadini (allo stato attuale delle cose  il loro numero si aggirerebbe su 14-15 in tutta l’Italia!), andando per l’appunto contro quella normativa europea che tutela l’esistenza, i movimenti, la libertà di pensiero, di culto, etc. di tutti i cittadini di paesi membri dell’Unione europea. Nel caso del giovane rumeno Mailat, che, aggredendo la signora Giovanna Reggiani, ne ha causato il decesso, si tratta di un ostracismo che si è applicato non al singolo cittadino – che violando la legge deve essere certamente sottoposto a giudizio e per questo condannato –  ma a tutto un popolo, quello rumeno, e alla etnia 

Rom, criminalizzati tutti, sottoposti al ludibrio collettivo per le misere condizioni di vita in cui sono costretti dalla povertà e dall’esclusione a vivere.

Smantellamenti

Oggi in Italia si fa ricorso a leggi eccezionali, di stampo securitario, in linea generale non correttamente costituzionali e perciò assurde, che vanno a sostituire quelle esistenti che andrebbero tempestivamente applicate. Ora tutto questo clima, che reclama maggiore sicurezza e meno libertà individuali, viene alimentato dal sindaco di Roma e dalla sua neonata forza politica che palesano una linea di tendenza maggiormente rivolta alla concreta realizzazione di un habitat  borghesemente tranquillo e non invece a una progettualità a medio termine che veda un progressivo inserimento, specie dei Rom, nel tessuto delle norme e delle abitudini del nostro paese, nel rispetto ovviamente delle tradizioni di quanti sono stati costretti dal bisogno o dagli abbagli della nostra cultura edonistica a spostarsi dal loro paese e venire o nel nostro o in altre nazioni dell’Unione europea.

Abbiamo sotto gli occhi le immagini dello spettacolare (perché ripreso dalle televisioni italiane e da quelle di molti altri paesi europei!) smantellamento dei campi Rom a Roma e a Pisa, caratterizzati da povertà assoluta, da condizioni igieniche inesistenti, dalla compresenza nei campi di una umanità franta ed umiliata  e degli animali più ributtanti, che circolano tranquillamente fra  montagne di  immondizie e baracche assolutamente prive di ogni pur elementare confort.

L’assessore alla sicurezza del comune di Roma sostiene che l’amministrazione romana fa già molto, ma di più si deve pretendere soprattutto per il coinvolgimento delle istituzioni e dei cittadini sulle tematiche dell’accoglienza e della solidarietà, tematiche che coinvolgono non una occasionale elemosina e neppure pietà per una popolazione che ha tutta la dignità etnica di chiamarsi popolo. L’accoglienza come atteggiamento non può essere delegata all’individuo (al singolo cittadino) o al volontariato che attualmente copre i vuoti della politica; non può essere neppure quella dei CPT o dei trasferimenti da un campo nomade ad un altro, che si sono rivelati fucina di orrori e sopraffazioni. L’accoglienza deve essere una organizzazione complessiva, studiata e non improvvisata al bisogno da parte dei troppi organismi preposti. 

In particolare, le disposizioni di legge dovrebbero facilitare l’ingresso nelle attività lavorative di tutti gli immigrati di buona volontà, in modo che essi, lavorando e guadagnando onestamente di che vivere, possano divenire sedentari e quindi rispettosi delle leggi del paese che li ospita. Se non si dà l’opportunità agli immigrati comunitari ed extracomunitari di trovare un lavoro dignitoso, si nega loro l’essenzialità della vita, lo strumento per il quale l’uomo diventa libero dal bisogno e capace di integrarsi con gli altri, senza dimenticare le proprie radici culturali.

Al lavoro andrebbe aggiunto un canale di estrema facilitazione per l’ottenimento di abitazioni di edilizia popolare, senza che ciò appaia né una elemosina, peraltro anche offensiva per chi la riceve,  né una riduzione dei diritti di tutti quegli altri cittadini che aspirano all’assegnazione di una casa popolare sulla base delle leggi  che nel nostro paese regolamentano tale  fondamentale richiesta. Al lavoro, alla abitazione si deve accompagnare un processo di arricchimento culturale legato alla scolarizzazione obbligatoria, sulla base delle attuali norme che disciplinano il diritto allo studio, degli immigrati che così, alfabetizzati, accetterebbero maggiormente la radice culturale e le tradizioni popolari del paese che li accoglie. In tal modo si potrebbe favorire un processo di integrazione cui si aggiungerebbe sicuramente quella multiculturalità che è l’autentica essenza del vivere civile oggi in un contesto unitario europeo.  ☺

bar.novelli@micso.net

 

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