Tutelare l’unicità del molise
25 Luglio 2021
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Tutelare l’unicità del molise

Difendere il nostro territorio e tutelarne l’unicità è possibile. Ma ad un patto: che la politica esca dallo stato di letargia istituzionale e adempia – con programmazione, coerenza e chiarezza nelle scelte politiche, – al proprio compito senza lungaggini, attese, dimenticanze, vuoti normativi. Basti pensare al fatto che in Regione abbiamo approvato il Piano Energetico nel 2017, ma ad oggi mancano ancora le linee guida. Che il Piano paesaggistico regionale attende la definitiva approvazione da decenni, dopo lungaggini e concertazioni con università e MIBACT. Ma non possiamo più attendere: serve una seria programmazione per cambiare davvero rotta. Non possiamo attendere di bocciare i singoli progetti. Dobbiamo farci trovare pronti, il perché è chiaro: i privati fanno i propri interessi e possono agire senza ostacoli se trovano caos normativo e l’ormai cronica assenza di visione.

Al Molise invece serve una politica in grado di disegnarne il futuro, non tesserne il drammatico destino. Una politica in grado di puntare sulla gestione collettiva dell’ energia attraverso la promozione delle comunità energetiche, mettendo in rete economia pulita a costi ridotti. Una energia intesa come bene comune. Non dovremmo mai dimenticare infatti che non abbiamo una terra di ricambio. Di Molise ce n’è uno. Prendiamocene cura.

Nella nostra regione, purtroppo, mancano gli strumenti indispensabili per il governo del territorio. Comitati e cittadini combattono una guerra ciclica senza avere gli strumenti che dovrebbero essere gli alleati della battaglia: il piano paesaggistico regionale, la legge urbanistica, quella sulla difesa del suolo, i regolamenti attuativi del piano energetico e il nuovo piano dei rifiuti. Questi vuoti normativi, è evidente, creano pericolosissime falle, rischi ambientali pericolosi, dai quali poi sarà impossibile tornare indietro.

Il basso Molise è sotto un duplice attacco: da un lato il progetto South Beach e dall’altro il parco eolico di Campomarino-Portocannone. La società civile alza le barricate: cittadini, comitati, sindaci, la chiesa sono uniti e compatti contro l’ultimo, in ordine di tempo, scempio ambientale che potrebbe sconvolgere il nostro territorio in un’area a forte vocazione turistica e agricola. Cinque torri eoliche alte circa 200 metri che sorreggono pale lunghe mediamente 80 metri dal peso di circa 200 tonnellate incastrate e mantenute a terra su piattaforme di cemento armato, da piazzare nel bel mezzo o nelle immediate vicinanze del tratturo del Re o tratturo Magno, il più lungo e il più importante tra i tratturi italiani. Un’area in cui l’altro risvolto dello sviluppo – quello eccessivo – minaccia di travolgere tutto e tutti, spezzando le radici di un territorio che rischia così di essere fagocitato da ferro e cemento.

Ed ecco cosa significa, nei fatti concreti, una politica regionale distratta, che dilata i tempi di risposta, che consente quel vuoto normativo che è il terreno migliore nel quale impiantare le infestanti radici del neoliberismo. E, quel che è peggio, questi temi non sono nemmeno nell’agenda politica, nel libro dei verbi declinati al futuro. Nulla, silenzio e vuoto. Il tema del paesaggio è decisivo, soprattutto per una regione come la nostra che mira a entrare tra le mete italiane che ne fanno il proprio principale vettore turistico.

La materia è tanto rilevante che alla tutela del paesaggio i padri costituenti hanno dedicato l’articolo 9 della Costituzione; l’ Italia infatti fu il primo Paese al mondo a porla fra i princìpi fondamentali dello Stato. Tutelare il paesaggio e il patrimonio storico significa riconoscere e difendere la particolare ricchezza artistica e ambientale italiana.

Con la riforma del titolo V la competenza è passata alle Regioni che quindi devono provvedere alla sua tutela così come disciplinato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio che attua il precetto costituzionale e non ammette varianti interpretative: le Regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato definendo le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile. Senza mai dimenticare che il vincolo paesaggistico attiene all’utilizzazione dei beni e non alla loro commercializzazione.

In Molise, come troppo spesso accade, siamo sempre fermi alle intenzioni: delibere di consiglio e di giunta, un protocollo d’intesa con il MIBACT, una convenzione con l’università per l’elaborazione del piano. Tuttavia, dopo venti anni, siamo ancora colpevolmente inadempienti. Un susseguirsi di rimandi, di stalli, di inefficienze ma di Piano Paesaggistico Regionale non c’è traccia. Solo un lungo, vano, inconcludente catalogo di cosiddetti buoni propositi, un noioso flatus vocis.

L’assenza di un piano paesaggistico, adeguato al compito previsto dalla legge, di fatto significa privare il nostro territorio dello strumento attraverso cui la Regione definisce gli indirizzi e i criteri relativi alla tutela, alla pianificazione, al recupero e alla valorizzazione del paesaggio e ai relativi interventi di gestione. Negare ai cittadini uno di quei pochi mezzi necessari, fondamentali per impedire che prosegua mascherato da sviluppo il saccheggio del territorio.

Se il Molise conserva ancora la sua essenza paesaggistica che cattura l’anima di tutti coloro che lo visitano e lo vivono è solo grazie alle lotte di resistenza civica promosse e messe in atto da movimenti spontanei di coscienziosi cittadini molisani. Gli unici che fanno da barriera alle invasioni.☺

 

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