Un confronto necessario
12 Aprile 2021
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Un confronto necessario

La verità è proprio una coperta molto corta. I fatti sono lì e, come scrisse Platone, “vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello che dice come non sono”, e ciò che si dice sulle cose, sugli eventi, l’interpretazione degli stessi, dipende dal punto di osservazione, dalle proprie credenze, dall’essere o meno partigiano di qualcosa. Per oltre un secolo abbiamo ascoltato solo una versione dei fatti e ora che in tanti propongono letture diverse di quel periodo storico, unità d’Italia, brigantaggio, questione meridionale, non mancano giornalisti e intellettuali che fungono da pompieri, che, con argomentazioni al limite della onestà intellettuale, tentano di diffamare chi ha scoperchiato la pentola. Questo articolo, con grandi pennellate, offre a chi legge, spunti di riflessione e lascia al suo discernimento la formazione della sua verità.

Dalle Alpi alla Sicilia, nell’ Ottocento, si viveva di agricoltura. Le attività industriali erano agli albori. La società era di fatto costituita da classi ben distinte: nobili (principi, duchi, arciduchi, baroni, ecc.), clero, borghesia, popolo. Il governo del territorio era ancora nelle mani dei nobili. Questi erano una classe con palazzi in città e in campagna, palazzi con saloni per le feste, sale da pranzo cucine, ecc… In queste sontuose case, oltre ai proprietari, vivevano anche tutti i domestici. Erano dimore che dovevano dimostrare il prestigio della casata e incutere timore. La loro ricchezza derivava dalla proprietà di grandi estensioni di terreno.

A Bronte, dove i contadini al grido di Garibaldi, nel 1860, si fecero giustizia, il duca possedeva circa il 50% delle terre (15.000 ettari); 19 latifondisti oltre il 30%; 87 medi proprietari l’8%; il rimanente 11% era spartito in 3.759 quote. Le proprietà dei Caracciolo ad Avellino coprivano complessivamente una superficie di 22.000 ettari. Nel 1866 muore il duca Silvestro Camerini, di Castel Bolognese, che lascia in eredità al nipote Luigi un patrimonio valutato tra i ventiquattro e i trenta milioni di lire. Nel Veneto, “una grande proprietà, nobile e borghese, non di rado assenteista, che deteneva la metà della terra nella bassa pianura veneta; un’ agricoltura arretratissima, e sul piano tecnico e su quello sociale; una classe contadina che l’ abbondanza di manodopera e uno sfavorevole regime contrattuale condannavano a una esistenza misera e senza speranza: tale, nei suoi lineamenti fondamentali, la società veneta intorno al 1860 che l’esiguità dei nuovi ceti mercantili e industriali non era valsa a scuotere dal suo torpore” (Il Veneto tra Risorgimento e unificazione). La mensa era ricca e variegata e “l’essere in carne” era sinonimo di nobiltà.

A Milano e nella campagna circostante, “i poveri mangiavano molto poco, perché il cibo costava tanto, mentre i ricchi si rimpinzavano, sia per la gola sia per dimostrare la loro agiatezza. (…) In termini statistici, solo 1/3 della popolazione si nutriva tutti i giorni in modo decente, gli altri si arrangiavano con tanta polenta. (…) L’abitazione del contadino è «cupa, disagiata, senza luce, spesso sotto il fetore delle cloache, nella quale sono ammucchiati in una stanza sola genitori, figli, e talvolta figli dei figli, chi su povero letto, chi su immondo stame gettato sul terreno. Eppure, non tutti giungono a ripararsi su questo squallido abituro, giacché una gran parte di contadini [passa] tutto l’anno la notte sulle cascine, sotto i portici o nelle stalle, sotto quell’aria umida e pesante, a grave scapito della salute» [F. Della Peruta, Per la storia della società lombarda nell’età della Restaurazione, in «Studi storici», 16 (1975), pp. 327-328]”, Gianni Borsa, Legnanonews. Per nutrirsi si è calcolato che i ceti popolari nel Veneto spendevano dal 60 al 65% dei loro miseri salari.

C’era il clero con i sacerdoti, vescovi, cardinali, eremiti, cappellani, abati e preti senza cure delle anime. Vi erano ben 260 diocesi e abbazie territoriali. Nel solo Regno delle due Sicilie vi erano 109 diocesi. Anche il clero aveva interessi nelle proprietà terriere. Il monastero Badia Nuova (TP) aveva due latifondi, uno di 911 ettari e un altro di 558. In Terra d’Otranto, la proprietà ecclesiastica ammontava a 45.572 ettari.

Nell’Ottocento la borghesia era un gruppo eterogeneo, timido, composto da professionisti, impiegati, bottegai, artigiani; un insieme variegato, anch’esso in parte legato da rapporti di clientela e a volte di sudditanza alla proprietà alto borghese, patrizia e nobile.

E il popolo? “Il popolo non aveva tempo. «In regola ordinaria gli uomini delle campagne e gli artieri non si occupano di affari politici e ne sono quasi al buio». … Dei fatti del giorno sapevano quello che gli gridavano gli ambulanti in giro per le campagne. «Notizie di un certo tipo, enormi delitti o comunque vicende che colpivano l’immaginazione». Non avevano tempo per le grandi idee. «Per le classi più numerose e più povere la carestia del 1816-17 era più importante dei moti del 1821. Sbarcare il lunario contava più della concessione dello Statuto». La classe che non contava era 60 volte più numerosa della classe che contava.” (Vita di Cavour di G. dell’Arti).

Nel Regno di Sardegna (1840-1850) vi erano 450mila miserabili assoluti, uomini e donne senza lavoro, senza casa, senza niente da mangiare, quasi sempre malati, pari al 9,4% della popolazione. Nel Regno delle due Sicilie, il numero di mendicanti era pari a 189.686, pari al 3,3 % sulla popolazione totale di 5.730.274 abitanti. Una stima più severa, per l’intero Regno, porta a una percentuale del 5,91 % nel 1834 ed il 5,26 % nel 1854.

Questi gli attori sociali con le loro caratteristiche peculiari che hanno animato gli anni intorno al 1860.

L’intervento legislativo francese ab- battutosi pesantemente sulla feudalità, su maggiorascati, manomorte, fedecommessi e beni ecclesiastici aveva sconvolto la gestione fondiaria esistente, spingendo le parti in causa a trovare nuovi equilibri. La borghesia agraria formatasi all’ombra del feudo ne ereditava i caratteri e, nel neonato Regno d’Italia, trovò un valido alleato. A prezzi stracciati si appropriò dei demani comunali, di quelli dello Stato e dei terreni espropriati alla chiesa. I 3milioni di ettari immessi sul mercato non andarono ai contadini. K. Marx scriveva che “il potere politico moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni dell’intera classe borghese”.

La storia è linfa vitale per le proprie radici, rende consapevoli e dà fermezza alle scelte quotidiane.☺

 

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