un nuovo inizio    di Silvio Malic
30 Marzo 2013 Share

un nuovo inizio di Silvio Malic

 

“Finisce un tempo” è il titolo di uno speciale della rivista Il Regno, preparato in seguito alle dimissioni di Benedetto XVI; tempo chiaramente riferito alla vita della chiesa cattolica romana. L’arrivo di papa Francesco  (il 266°), chiamato dalla “fine del mondo” secondo l’espressione da lui adoperata, pare abbia fatto intravvedere un vento di freschezza, di libertà dagli apparati, dai simboli consolidati, dal linguaggio stesso del passato: il suo definirsi vescovo di Roma invece che pontefice o Papa, le piccole non sudditanze al cerimoniale codificato, il nome stesso assunto per la prima volta nella storia del papato – benché si tratta di prime impressioni – possono farci sperare che il vento nuovo del Concilio Vaticano II, un po’ diradatosi nei primi cinquant’anni successivi, possa riprendere vigore.

Come si presenta la chiesa cattolica romana che Benedetto XVI, consegna alla guida del suo successore? È una chiesa che percepisce, soprattutto nel mondo cristiano del nord, la difficoltà di proporsi con volto evangelico al mondo contemporaneo; a quel mondo che pure aveva vissuto con intensa e viva speranza l’evento del Vaticano II. Una chiesa che non ha messo mano ad una coraggiosa riforma che poteva derivarle secondo le linee dettate dal concilio Vaticano II; troppo appesantita dai “fardelli e dai privilegi materiali e politici”, secondo un’ espressione di papa Benedetto, per mostrare il volto dell’umiltà e della povertà di Cristo; un’istituzione le cui strutture non corrispondono più all’esigenza dell’annuncio; una comunità verticistica che non ha ancora iniziato a vivere la sinodalità e la collegialità; una confessione che potrebbe osare di più nella ricerca di forme vissute di unità visibile e reale con i fratelli separati; una famiglia che deve urgentemente trovare il modo di integrare quei fratelli/fedeli che vivono in situazioni di vita irregolari.

Una chiesa – come purtroppo accadde al tempo del trapasso dalle monarchie alle democrazie – che appare rimasta più assimilabile ai potentati in difesa che non solidale nuove istanze di libertà e di democrazia e di dignità dei popoli. Nel trapasso di inizio millennio, chiesa e istituzioni contemporanee, travolte e svuotate dal vento di una globalizzazione insensata, apportatrice di sofferenze crescenti, non risultano fermento o compagnia solidale alle istanze di dignità che salgono da ogni angolo della terra e perfino da dentro le comunità più consolidate. Ancor più grave risulta la spiazzamento da Cristo, generato dal comportamento di alcuni suoi ministri coinvolti nelle situazioni di violenza sui minori attraverso la pedofilia o in affari economici di poca trasparenza se non addirittura collusivi – l’accusa è circolata – di poteri criminali. Sembrano un triste parallelo di problemi terribili; ma per la chiesa sono macigni sul presente e sul futuro della sua stessa esistenza. Uscire dalle “immunità privilegiate”, ripulire il proprio volto dalle licenze disumane dei alcuni suoi ministri, scegliere di indossare la camicia dei poveri e, solidale con loro, percorrere la “via” tracciata da Gesù Cristo, sembrano le attese che salgono dal “resto” dei credenti delle chiese antiche e dalle nuove chiese costituite nei popoli vittime di questo tempo del nord del mondo.

Il nostro tempo efficace e sterile, – scriveva Arturo Paoli – estetizzante e incapace di contemplare la bellezza, violentemente impegnato nella liberazione e incapace di salvezza, teso verso l’avvenire e minacciato nel suo presente. Un tempo che pare senza speranza perché senza grazia. È l’epilogo dell’epoca patriarcale per cui la vita significa riproduzione: l’ideale è gettare un seme nel ventre di una donna o nel ventre della terra o nel ventre di una banca perché si riproduca. La vita, il crescere è numero, moltiplicazione quantitativa. La storia della natura travolge la storia della persona che invece è progetto, scelta creazione nuova. Nel cuore della efficacia tecnica, economica appare la sterilità. La contemplazione della bellezza che sbocca nell’adorazione, la investigazione che raggiunge l’essere, la comunicazione che è destinata a farsi comunione, terminano in un deserto di pietra. Una parte della gioventù si scopre in questo deserto disperato e cerca di dare l’allarme; nella misura in cui scopriamo la nostra implicazione, il nostro essere parte della cose, il mondo ci appare estraneo e ostile.

L’elezione di papa Francesco pare aprire lo spiraglio di  un percorso nuovo: un cammino di redenzione e di liberazione che Paolo raffigurava, nella lettera ai romani, con la sofferenza della partoriente: “la creazione geme e soffre nelle doglie del parto… aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo”.

Sarà un cammino di “vescovo e popolo insieme” come annunciava dalla loggia della sua prima benedizione alla chiesa di Roma e a quelle sparse nel mondo e agli uomini di buona volontà. ☺

 

eoc

eoc