un progetto ambizioso   di Famiano Crucianelli
4 Ottobre 2013 Share

un progetto ambizioso di Famiano Crucianelli

 

L’iniziativa di Termoli sul “contratto di sviluppo” (clean economy) per la regione Molise ha avuto molte virtù: una significativa presenza istituzionale, gli impegni che il presidente Frattura ha preso, una folta e significativa presenza di imprenditori, esponenti della società civile, esperti capaci come Michele Tanno e una discussione seria sull’agricoltura di qualità, sulle “eccellenze” possibili e sullo sviluppo sostenibile. Un progetto di sviluppo diffuso, capace di integrare economia, ambiente, lavoro e vocazioni del territorio, per intenderci esattamente l’opposto del famoso campo di concentramento delle dodicimila vacche della Granarolo. È una scommessa difficile e richiede una nuova strategia: un mutamento radicale dell’idea di sviluppo, un impegno serio e non furbastro di tutti, in primo luogo degli imprenditori, istituzioni e politici, la fine della logica dei finanziamenti clientelari e a pioggia. Questo “pro- getto” ha poi una premessa decisiva che, se realizzata, rappresenterebbe un vero salto rivoluzionario, ovvero la partecipazione attiva, motivata e organizzata della società civile e del mondo del lavoro. È questa una condizione fondamentale per almeno tre ragioni.

Questo progetto ambizioso richiede risorse rilevanti, capitali che debbono venire dal settore dell’imprenditoria privata e da diversi interlocutori istituzionali. È necessaria una presenza forte della regione Molise, dello Stato e della stessa Unione Europea. Negli anni 80’, quando l’on. Pomicino era presidente della commissione Bilancio non sarebbe stato complicato spremere i forzieri della finanza pubblica, d’altronde è in quegli anni che ha iniziato a volare il debito pubblico. Oggi la musica è radicalmente mutata e le casse dello stato sono vuote, né è semplice, dopo anni di negligenza, di ruberie e di sperpero dei soldi europei, bussare alle porte della Commissione europea. Per realizzare un grande e innovativo progetto di sviluppo per il Molise serve una vera e propria vertenza con lo Stato e con l’Europa, chiedo: con quali forze, con quale massa d’urto e con quale potere contrattuale si può realisticamente perseguire questo obiettivo? Non voglio negare l’importanza dei vertici istituzionali, politici e sindacali della regione, ma è del tutto evidente che solo una potente e consapevole mobilitazione dei cittadini molisani può creare quelle condizioni, quei rapporti di forza e quelle garanzie di moralità politica che sono fondamentali per vincere questa battaglia.

 Vi è poi una seconda questione: uno sviluppo sostenibile, di qualità, che parta dall’agricoltura, con l’obiettivo di essere un volano dell’intero sviluppo molisani non è dato senza un attivo consenso dei cittadini. Nel Chianti sono arrivati a coltivare 500 ettari di vigna con sistemi biologici: questo risultato è stato possibile grazie alla scelta volontaria di decine e decine di agricoltori. Né è pensabile affrontare la centrale questione dell’inquinamento da rifiuti urbani e industriali senza una raccolta differenziata e senza un controllo del territorio, obiettivi che si possono perseguire solo con la collaborazione attiva dei cittadini. Lo stesso ragionamento vale per il risparmio energetico, per la diffusione delle energie alternative e per contenere l’antropizzazione del territorio. Nella sostanza non è neppure ipotizzabile un modello di sviluppo che punti sulla qualità della produzione, dei prodotti, dei servizi e dell’ambiente senza una partecipazione democratica di cittadini e lavoratori. Si usa dire giustamente che la psicologia è anch’essa una variabile fondamentale per evitare recessione e crisi della domanda, parimenti bisogna dire che la partecipazione democratica dei cittadini al nuovo sviluppo è, ormai, condizione per lo sviluppo medesimo.

Infine, il problema dei problemi che sta ipotecando il futuro del nostro sistema sociale. Vi è una questione irrisolta nella nostra storia, ovvero la distanza fra paese legale e paese reale, l’inimicizia storica fra classi dirigenti e popolo, fra governanti e governati, fra stato e cittadini, fra politica e classi subalterne. Questa è la malattia che accompagna il nostro paese sin dalla sua unità, più di 150 anni orsono. Questa malattia negli ultimi venti anni si è trasformata in un vero proprio cancro della democrazia. Berlusconi in questa contraddizione ha trovato la sua ragion d’essere, il cavaliere ha capovolto il giacobinismo storico e fallimentare, proprio di tutte le classi dirigenti italiane, affermando il primato della “società reale” contro la degenerazione della politica e dei professionisti della politica. Su questa stessa musica Berlusconi ha rilanciato – da condannato per evasione e fondi neri – la nuova “Forza Italia”. È un tentativo che ha pochissime possibilità di successo, dopo venti anni tanti Italiani che pure gli avevano creduto, ora conoscono di quale pasta sia fatto l’uomo di Arcore. Ma la contraddizione fra politica e società sulla quale Berlusconi ha costruito le sue fortune politico-istituzionali è ancora lì, anzi si è radicalizzata ancor più e il successo elettorale di Grillo ne è una testimonianza clamorosa. Ecco perché un nuovo sviluppo economico che abbia come fattore centrale la partecipazione democratica dei cittadini e dei lavoratori avrebbe, anche, un significato generale, sarebbe un passo nella direzione giusta per affrontare quel buco nero del nostro sistema, quella frattura fra politica e società che rischia di compromettere l’insieme del nostro sistema democratico.☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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