Un sacerdozio nuovo
16 Giugno 2021
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Un sacerdozio nuovo

“Cristo non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli” (Eb 2,16-17).

La Lettera agli Ebrei si presenta non tanto come scritto epistolare ma come “parola di esortazione” (Eb 13,22) costruita ad arte, un’omelia o esposizione della fede in Cristo da cui fluisce un’ampia e articolata esortazione pastorale, rivolta da un giudeo-alessandrino molto colto a cristiani di origine giudaica altrettanto competenti in materia, forse sacerdoti ebrei convertiti a Cristo, tentati di tornare al giudaismo. Essa tratta della superiorità di Cristo rispetto a qualsiasi potenza, affronta il tema del sacerdozio di Cristo e ne mostra i fondamenti teologici facendo emergere la sua centralità in rapporto alla salvezza, sviluppa poi le conseguenze esistenziali della salvezza e approfondisce il rapporto tra Dio e l’uomo soffermandosi ampiamente sul tema della fede per poi approdare alle conseguenze etiche dell’esistenza cristiana.

Gesù è descritto non solo come l’agnello immolato ma come il sommo sacerdote che porta a compimento la prima alleanza e il culto antico mettendo fine ai sacrifici e al tempio e inaugurando un sacerdozio nuovo. Gesù è il sacerdote che l’umanità attendeva e di cui aveva bisogno, è il sacerdote la cui mediazione sacerdotale si manifesta come salvezza, redenzione e giustificazione e chiede una relazione nuova con Dio e relazioni nuove tra gli uomini e le donne.

La Lettera agli Ebrei rilegge la rivelazione del Primo Testamento alla luce di Cristo e in contesto ecclesiologico: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,  ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio… irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1,1-2a.3). Il rapporto tra i due Testamenti è letto attraverso tre tipi di relazioni: di continuità, che coglie le somiglianze; di discontinuità, che mostra le differenze, e infine di compimento, che mostra la superiorità del Nuovo che conferma le parole del Primo mettendo in luce il suo sensus plenior. Questo compimento si è realizzato attraverso l’offerta del Figlio: se l’offerta sacrificale del culto antico era rituale, realizzata mediante vittime animali che il sommo sacerdote offriva in sacrificio per i peccati del popolo e per se stesso, Cristo non ha offerto cose esterne a sé, ma se stesso, una volta per sempre, in modo personale, filiale, caritatevole e solidale nei confronti di ogni uomo e ogni donna, attraverso l’esperienza altamente drammatica della sua pasqua di morte e risurrezione. Il suo sacrificio pertanto ha stabilito una comunione autentica con il Padre e con l’umanità: con la sua morte egli è entrato, attraverso la “tenda” della sua umanità, nel “santuario” della comunione celeste con Dio Padre, ottenendo a ogni credente che da lui viene reso perfetto la possibilità di entrare con piena libertà “nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Eb 10,19-20) e accostarsi a lui “con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura” (Eb 10,22). Lo sfondo è la celebrazione dello Yom Kippur (il giorno dell’espiazione per gli ebrei): secondo l’autore della Lettera agli Ebrei, Gesù è il nuovo e perfetto sommo sacerdote che entra nel Santo dei santi non una volta all’anno, ma una volta per sempre, non col sangue degli animali, ma con il proprio sangue ottenendo la salvezza e una redenzione eterna. Per i battezzati, “che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro” (Eb 6,4-5), ogni giorno è Yom Kippur perché Gesù, il compassionevole e solidale sacerdote della nuova ed eterna alleanza, ha aperto per tutti l’accesso al trono del Padre misericordioso una volta per sempre.

Spesso la fede è vista come una religione simile al paganesimo, in cui meritare l’attenzione della divinità con sacrifici e sforzi. L’esperienza cristiana però non ha nulla a che fare col volontarismo, non è un compiacere divinità, ma è immersione nella gratuità di un Dio che non è tiranno ma padre alla maniera superlativa, senza ombre e sbavature, e che vuole per noi una vita da figli liberi e fratelli e sorelle solidali, un Dio che ci viene in aiuto nella prova perché è stato messo alla prova e ha sofferto personalmente, un Dio credibile.   

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