Un sentiero nel bosco
31 Marzo 2015 Share

Un sentiero nel bosco

Dal casello autostradale di Carsòli si accede nella Piana del Cavaliere, un altipiano, al confine tra Abruzzo e Lazio, a circa 700 metri sul livello del mare. Perèto e Rocca di Botte sono due dei paesini inclusi in tale territorio, i cui monti e boschi rientrano nel perimetro del Parco regionale appenninico dei Simbruini.

Una strada asfaltata conduce a 1.000 metri d’altezza, sino al santuario denominato Madonna dei Bisognosi, chiesa di montagna dall’arredo essenziale sul cui altare spicca una sobria statuetta in legno raffigurante la Madre di Gesù col Bambino nelle braccia. Dal primo tornante della strada che giunge al santuario si diparte, sul lato est, un sentiero nel bosco, da me percorso più volte a piedi in passato. Vi fui condotto la prima volta, circa 40 anni fa, da amici romani che per devozione vi si recavano percorrendolo con la coroncina del rosario tra le dita. Quei giovani avevano, all’epoca,  meno di 30 anni. Ne fui colpito e confortato.

Esisteva una gioventù sana che non disdegnava la pratica della “preghiera”. Sicuramente esiste ancora, come non possono non esistere anche oggi, seppur poco numerose, famiglie integre, salde nei cosiddetti “valori”. Ben sappiamo come mutino i  “valori” con il procedere del tempo e con l’evolversi delle vicende umane. Mutano, sì. Quel po’ che ho capito è che non è facile, per le nostre piccole menti, comprendere l’evolversi della Storia, l’Intelligenza Superiore che crea gli accadimenti ed interviene negli eventi umani, modificandoli, non senza sofferenza per noi piccoli esseri che li viviamo, non senza sofferenza poiché siamo fondamentalmente incapaci di modificare i nostri, troppo spesso, rigidi schemi comportamentali, incapaci di adattare mente e corpo al continuo mutare delle situazioni.

L’autunno scorso son tornato, da solo, a percorrere il sentiero che, attraverso il bosco, conduce al santuario. Attraversa radure con bella vista sul profilo dei Simbruini e la boscaglia bassa sui due lati, rasentando, a circa metà itinerario, una cappelletta dall’intonaco a pezzi tutto scalcinato con ritratta, sul muro interno, l’effigie di Maria Santissima e dentro un minuscolo portafiori foderato di muffa, recante fiori quasi sempre rinsecchiti. A passo lento, in un’oretta ho percorso il sentiero, senza fretta, respirando l’odore del bosco, attento a non scivolare sul pietrame sparso qua e là tra orme di zoccoli di mulo. In cima al sentiero si apre la radura che dà accesso al pratino antistante il santuario. “Santuario” è parola forse eccessiva per la piccola chiesa romanica, a navata unica, fredda d’inverno ma dal fresco ristoratore nei mesi caldi. Le popolazioni indigene la chiamano “santuario” e così anch’io voglio definirla. Anche per me quella chiesetta è “santuario”, ossia casa dei santi, laddove “santo” è chi ha cercato, cerca, di andare oltre i mille pesi della nostra fragile umanità.

Tutti abbiamo necessità di invocare l’aiuto della Madre di Gesù, anche chi non se la sente di ammetterlo. Nessuno escluso. Sono convinto che anche la preghiera più silenziosa, espressa dal più umile degli esseri che si sono soffermati e si soffermano in quell’atmosfera semplice, non rimane, non rimarrà, inascoltata. Davanti a quell’antica statua in legno povero non ci si può non sentire altrettanto “poveri”. E “bisognosi”. Quale vivente non è, in un modo o nell’altro, “bisognoso”?

Probabilmente, sono pochi a percepire le modalità ed i tempi di intervento della misericordia divina nei nostri percorsi esistenziali. Auguro a chiunque di poterci riuscire. ☺

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