Una chiave d’accesso
7 Settembre 2015 Share

Una chiave d’accesso

Mi capita di svegliarmi al mattino con in mente il motivo di una canzonetta: sorge come dal nulla e mi trovo a canticchiarlo sommessamente e in continuazione per l’intera giornata, fino a che mi do noia da me, mi imbarazza tanta stupida monotonia e mi impongo l’autocontrollo; lo sopprimo quel motivo non appena risorge e faccio tacere la memoria. Quando infine tutto è sfumato, allora ripenso perché quella canzone e perché quel giorno e talora capisco.

Diceva Raymond Caraver di aver dovuto scrivere un racconto da una semplice frase che da giorni gli risuonava nella mente: “Stavo passando l’aspirapolvere, quando squillò il telefono”.

Per scrivere una storia occorre una chiave d’accesso, un indizio: una particolare percezione diventa un buco nero attraverso cui si può passare dal mondo reale a quello narrato, in cui la storia diventa visibile. Devo vedere per scrivere e per vedere occorre un punto di vista. Ed ecco lo sguardo: l’angolazione dalla quale si mostrano cose ed eventi e persone, la lente attraverso cui far sentire le emozioni. Che è poi la cifra di una storia e di una scrittura. “Un’estate al mare stile balneare..”, di qui sono partita.

“Mi chiamo Andrea, ho diciotto anni da poco compiuti e mi piace vivere, anche se riguardo alla vita sono un po’confuso. A luglio ho concluso finalmente le scuole superiori: ce l’ho fatta e con un voto rispettabile, alla faccia di tutti quelli che in me non avevano mai creduto. Magari mi iscriverò all’università, chissà, perché studiare mi stanca e, fattore ancor più grave, non so nemmeno cosa vorrei studiare e per far cosa da grande. Un po’ è perché sono un indeciso cronico, un po’ è che dovunque guardi non riesco proprio ad orientarmi e le prospettive del mondo adulto mi sembrano vicoli bui. Va be’, lasciamo perdere per ora: sono qui in riviera da quindici giorni con degli amici  per divertirmi, senza paranoie di sorta.

A quanto pare la riviera è uno dei posti più belli d’Italia: io in realtà non lo so, perché, escluse le gite scolastiche a Roma e Barcellona, non conosco altro che la mia amata odiata città di provincia. Però, se qui arrivano un mucchio di giovani da ogni parte d’Italia, un motivo ci sarà.

Di mare nel senso classico, quello che si fa da piccoli coi genitori, qui ne stiamo facendo poco: qualche bagno pomeridiano e qualche partita di pallone sulla spiaggia, ma la mattina si dorme, perché la sera tra un aperitivo e una birra tiriamo tardi, anzi tardissimo, per finire in discoteca, dove rimaniamo fin quasi al primo mattino del giorno successivo.

Le discoteche qui sono enormi e zeppe di gente, tutti più o meno giovani, ragazzi e ragazze dal fisico perfetto, ballerini provetti e instancabili. Io in verità faccio fatica a reggere tutta notte, non solo per via della frenesia del ballo, ma perché mi assorda il rumore della musica e non riesco a dire due parole sensate a nessuno; talvolta mi annoio pure. La colpa è certo mia: sono un tipo complicato, in discoteca non conta parlare e ragionare, bisogna muoversi, farsi notare, stare in pista.

Se poi proprio non ce la fai a mantenerti euforico, lì stesso si vendono delle pillole eccitanti – insomma ci siamo intesi – che ti rendono disinvolto e ti fanno apparire tutto facile e bellissimo.

Lo so quello che pensano i grandi o almeno buona parte di loro, sempre pronti a giudicare e a dire che non si fa e che sorta di divertimento strano è stare accalcati a pochi centimetri l’uno dall’altro, danzando danze arrabbiate dai ritmi tribali e bevendo a più non posso e drogandosi. Sì drogandosi. Io sarei anche d’accordo, io sceglierei altro, a dirla tutta. Poi, però? Se provo a starne fuori, rimango solo e non voglio, mi angoscia la solitudine; d’altra parte di proposte altrettanto aggreganti e allettanti per noi ragazzi ce n’è poche.

Bravi tutti a dire che non va, che una volta non era così! Ma gli adulti sono quelli di una volta? Noi ragazzi siamo loro imitazioni in piccolo, né meno né più. Non cercano loro per primi, gli adulti, di essere sempre sulla cresta dell’onda? Non sono loro per primi ad ubriacarsi di lavoro e di soldi per mostrare agli altri di vivere bene? Non si circondano di oggetti costosi e non ambiscono a corpi statuari? Non hanno spesso la smania di sembrare giovani energici, molto più giovani ed energici di quel che sono? Non vivono all’interno di un caos mediatico di poco difforme dal cancan discotecaro? Io mi adeguo a quello che i grandi hanno costruito per me.

Mamma e papà  hanno sempre acconsentito ai miei desideri, perché come tutti i genitori vorrebbero per il figlio il successo, e spesso non discernono la qualità di questo successo. Gli altri adulti che mi hanno accompagnato nella vita – che so?- gli insegnanti, gli allenatori, i catechisti sono troppo compresi nel loro ruolo, non vogliono rischiare di essere veri, perché si scende dal podio e non sta bene. Così, a me nessuno ha insegnato a seguire un’idea giusta, fosse anche un’utopia, perché ciò che non è concreto e non paga in moneta per gli adulti soprattutto è perdente; nessuno si è attardato con me puntando il dito sul profilo suggestivo delle mie colline e invitandomi a seguirlo e a meditarne la grazia selvaggia; nessuno mi ha detto di guardare la luna e le stelle per coglierne la splendida maestà e alimentare la coscienza del mio limite e di qui partire per divenire forte e coraggioso; nessuno mi ha fatto notare le modulazioni di canto dei grilli e delle cicale; nessuno mi ha insegnato il dialogo lungo e inconcludente in apparenza e l’ascolto e la sosta.

Mi sarebbe piaciuto che qualche adulto mi indicasse vie alternative, che spendesse il suo tempo per me gratuitamente e con passione sincera: lo avrei seguito e con me molti altri…”.

Un’estate al mare stile balneare, con i giovani italiani che muoiono nelle discoteche in riviera, e i giovani migranti che perdono la vita nei naufragi dei barconi clandestini.

Forse è anche questione di sguardi, di punti di vista, forse dovremmo cominciare a cambiare angolazione e a tessere racconti diversi, assumendoci qualche responsabilità in più, oltre la predica e il biasimo, e mettendo in discussione noi stessi e le nostre pratiche di vita, anziché voler figurare come disanimate e inconsapevoli marionette sulla scena del mondo.☺

 

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