una spinta rivoluzionaria  di Famiano Crucianelli
30 Maggio 2012 Share

una spinta rivoluzionaria di Famiano Crucianelli

 

L’Italia in  mezzo al guado: questo la stato delle cose. Nel mese che abbiamo alle spalle di cose ne sono accadute: elezioni in Francia e Grecia, amministrative in Italia e Germania, suicidi per disperazione sociale, ritorno in forma primitiva e confusa della violenza terroristica. Emerge un quadro contraddittorio, un frammento più nero che bianco di una transizione di civiltà che è iniziata, ormai, da molti anni e della quale non si vede la fine. Ricorda quel libro splendido di Faucault  “Io Pierre Riviere” nel quale si parla della Francia del dopo rivoluzione francese e in particolare della campagna francese, dove in modo eccezionale si verificarono parricidi, infanticidi, uxoricidi, insomma omicidi dei più turpi. Un affresco tragico di disperazione e delusione sociale che la rivoluzione incompiuta lasciò dietro di sé. Non siamo ancora a quel punto, ma certo di segnali e ammonimenti ve ne sono tanti nella politica, nella società, in economia e nei comportamenti della gente.

Si è venuto formando un impasto di crisi economica, delegittimazione della politica e delle istituzioni, frustrazione sociale che può implodere con effetti devastanti. L’aspetto più preoccupante ci viene dalla Grecia, non solo perché stiamo assistendo a una vera tragedia di quel popolo ed è ormai vicina quella soglia oltre la quale “non si ha più nulla perdere”, ma perché la vicenda greca parla direttamente a noi, alle nostre vite e alla nostra società. Il voto greco ci dice che in quel sistema  si è rotto il punto di equilibrio, si è frantumato il senso comune, la società è ingovernabile e ora tutto può accadere.

Al di là del fumo delle  chiacchiere, cosa ci dicono le nostre ultime elezioni che hanno coinvolto nove milioni di cittadini? Sembra di essere all’alba di quella che fu tangentopoli, oggi come ieri interi partiti vicini a una rapida estinzione. Il centro-destra  del dopo Berlusconi rischia di evaporare, resta uno stato maggiore in confusione mentale e tantissimi elettori che vagano come anime perse. Il popolo leghista è smarrito e in fuga, tradito da un gruppo dirigente cialtrone, intrigante e vorace più degli odiati “romani”. Casini, Rutelli e Fini che dovevano raccogliere a piene mani l’eredità elettorale di Berlusconi si sono ritrovati come tre uomini in barca, d’altronde non bisognava essere dei geni per capire  che i famosi “ceti medi moderati” sono sempre più, in tempi di crisi e globalizzazione, luoghi dello spirito più che della realtà. Di Pietro deve ringraziare la vittoria di Orlando a Palermo che ha fatto da schermo al calo elettorale dell’Italia dei Valori, SEL ha la fortuna che poco si parla dei suoi risultati; nella sostanza né Di Pietro, né Vendola  profittano della crisi sociale e, piuttosto che andare avanti, arretrano. Il Partito democratico farebbe bene a non cantare vittoria, non solo perché di voti reali se ne sono persi e tanti, ma soprattutto perché non possiede né le radici, né la credibilità per resistere ed essere un’alternativa, se dovesse alzarsi una tempesta dalle macerie della lega e del centrodestra Berlusconiano. Grillo è il vero vincitore, questa volta è riuscito a raccogliere una buona fetta di protesta popolare. Ho, però, il dubbio, qualora  la maionese sociale dovesse realmente impazzire, che possa essere il Masaniello di Genova a ereditare il casino che verrebbe fuori, in genere questi frutti marci maturano a destra, ma destra vera. Infine, l’astensione che rende ancor più fosca la situazione. Alle ultime regionali molisane una campana era suonata e con forza; senza il voto dei grillini a fatica si sarebbe raggiunto il 50% dei votanti, ma naturalmente in Molise la cosiddetta classe dirigente si è ben guardata dall’aprire una riflessione critica e autocritica. Al contrario tutto è continuato come prima, al punto che più di uno, considerando questa terra il cortile di casa propria, ha già deciso chi dovrà essere il prossimo candidato a presidente della regione, probabilmente chi dovrà andare in parlamento e così fino all’ultimo sgabello libero.

A rendere ancor più cupa la situazione vi sono i colpi di pistola al dirigente dell’Ansaldo, le bombe – molotov contro equitalia, la rivendicazione degli anarchici, gli ultimi violenti scontri nella manifestazione romana a piazza S. Giovanni, qualcosa sotto il cielo della sovversione violenta inizia a muoversi. Certo siamo lontani anni luce dalla “geometrica potenza” delle Brigate Rosse, né vi è nelle piazze un movimento di migliaia e migliaia di manifestanti come il 24 Marzo del 1977 che chiedeva  la lotta armata, però vi sono due elementi, diversamente da allora, preoccupanti: la miseria del sistema politico che è privo di credibilità etico-politica e in secondo luogo una gravissima crisi economica-sociale che alimenta disperazione e passività in una grandissima parte della società. Il terrorismo non ha spazio né alcuna prospettiva, ma può aggiungere micidiali veleni a una situazione già molto compromessa.

In questo contesto così denso di nubi risalta la luce delle elezioni francesi. Questa è una bella notizia che apre le porte alla speranza; non è la prima volta che i Francesi danno una spinta democratica e rivoluzionaria all’intera Europa. La vittoria di Hollande ha almeno tre significati importanti  e che vanno ben al di là dei confini francesi. È il primo rifiuto forte di quella ideologia liberista che ha consegnato società, diritti sociali e dell’ambiente al totem del mercato selvaggio e delle bolle finanziarie. È la possibilità di un’Europa non schiava delle cupidigie nazionali, né della banca centrale tedesca, di un’Europa federale che nel mondo globale alza la bandiera dell’eguaglianza e della dignità sociale, di un’Europa capace di dare nuovo nutrimento ad una “democrazia” che ha perso senso e sostanza. Infine il risultato francese può rivelarsi un aiuto prezioso per il presidente degli Stati Uniti. Obama si è trovato spesso solo e la sua politica economica, finanziaria e sociale, la sua battaglia contro la recessione e la disoccupazione si è scontrata con la rigida ottusità dell’asse Merkel-Sarkozy. Ora tutto potrebbe cambiare, ma è importante, se non decisivo, che l’Italia faccia la sua parte. Questo sta a significare due cose, in primo luogo che Monti in Europa come in Italia apra, prima che sia troppo tardi, il capitolo dello sviluppo e dell’espansione economica. In secondo luogo, è vitale un radicale rinnovamento della politica e delle istituzioni, c’è bisogno di una rivoluzione democratica, prima che sia troppo tardi, che cambi struttura e cultura politica dei partiti e delle istituzioni. C’è bisogno che i cittadini e i lavoratori riprendano nelle loro mani il destino e il futuro del nostro paese.☺

famiano.crucianelli@tiscali.it

 

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