Unione non imposizione
4 Settembre 2014 Share

Unione non imposizione

“È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie?” (Mc 10,2). Con queste parole inizia una discussione tra un gruppo di farisei e Gesù sulla questione del divorzio, a cui Gesù dà una risposta apparentemente senza appello: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro commette adulterio” (10,11-12). Queste parole trovano una conferma in Paolo, che scrive alcuni anni prima della stesura del vangelo di Marco e fa un esplicito riferimento al comandamento di Gesù: “Agli sposati poi ordino, non io ma il Signore: la moglie  non si separi dal marito e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito; e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,10-11). È su questi due testi che si fonda principalmente la negazione del divorzio nella chiesa cattolica romana e la possibilità di passare a seconde nozze, cosa che invece era permesso nel diritto matrimoniale biblico. Per la cronaca il divorzio e le seconde nozze sono ammesse anche nel mondo evangelico e nell’ortodossia cristiana per cui solo la chiesa cattolica ne fa una questione senza appello, anche se poi, per la concezione che si ha del matrimonio, che comporta libertà, volontà di indissolubilità e apertura alla vita, rende il sacramento quasi impossibile da realizzare per la mentalità odierna e giustamente, con un linguaggio sbrigativo, si parla delle cause di nullità matrimoniali come del divorzio cattolico, con l’aggravante che la nullità riconosciuta a livello civile elimina anche gli obblighi di mantenimento tra i coniugi, cosa che invece è opportunamente prevista nel divorzio.

La domanda tuttavia è se queste affermazioni, per nulla contestualizzate esegeticamente, possano essere il legittimo fondamento della condizione attuale del matrimonio cattolico. Per rispondere bisogna allargare lo sguardo in un’altra direzione: le affermazioni del vangelo di Matteo che, probabilmente, riflettono più da vicino l’insegnamento originale di Gesù. Nel passo parallelo a Marco la domanda posta a Gesù è leggermente diversa: “È lecito a un uomo ripudiare la moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3). Gesù, come anche in Marco fa appello al racconto della creazione dove si dice che i due saranno una carne sola e commenta: “Quello che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”, come a dire che nel momento in cui uomo e donna si uniscono è come se avvenisse un nuovo atto creativo di Dio che costituisce un unico essere da due che erano in precedenza. All’obiezione che Mosè ha comandato di dare l’atto di ripudio, Gesù afferma che lo ha fatto per la durezza del cuore. Si badi bene, non di entrambi ma solo dell’uomo, perché la donna non è parte attiva nella decisione, come invece farebbero credere Marco e Paolo. Quando si parla di indurimento del cuore si parla di un atteggiamento di chiusura al bisogno dell’ altra che viene abbandonata a se stessa senza poter minimamente controbattere perché non è destinataria del comandamento, riservato solo all’ebreo maschio. Per Gesù l’obbligo di mantenere il vincolo coniugale da parte dell’uomo deriva dalla necessità di prendersi cura del più debole, visto che nella società giudaica i diritti della donna sono derivati dal legame con qualche figura maschile: il marito o il fratello o il padre e tra i comandi biblici c’è sempre un richiamo esplicito a prendersi cura della vedova (che si suppone non abbia altri maschi di riferimento) e dell’orfano, cioè dei bambini, altra categoria senza diritti.

La risposta di Gesù in Matteo è la seguente: “Chiunque ripudia la propria moglie, eccetto in caso di adulterio, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (19,9). Gesù risponde a una domanda precisa, se sia lecito ripudiare per qualsiasi motivo e lui dice che non è lecito per ogni motivo ma solo per uno ben preciso: scoprire un adulterio della moglie (come avviene nel caso di Giuseppe proprio all’inizio del vangelo, in 1,19). Con la sua risposta fa capire che interpreta in modo restrittivo il comandamento di Dt 24,1, dove si accenna che il motivo per il ripudio è “qualcosa di vergognoso” interpretato diversamente dalle due scuole principali del tempo: quella di Hillel che ammette il ripudio per qualsiasi motivo, anche per aver cucinato male e quella di Shammai che ammette il ripudio solo in caso di adulterio. In tempi successivi un altro rabbi, Aqiba, vissuto agli inizi del II secolo d.C., addirittura ammetteva il ripudio anche quando il marito trovava una donna più bella. Gesù segue la tradizione interpretativa restrittiva perché ha a cuore la condizione della donna e per rendere più vincolante questa scelta, richiama il racconto delle origini che afferma l’appartenenza reciproca tra l’uomo e la donna.

Diversa è la situazione di Marco e Paolo che sono inseriti in contesto ellenistico dove la donna ha potere di divorziare dal marito. Anzi, addirittura Paolo parla di più delle donne perché probabilmente erano (come anche oggi) in numero maggiore nelle comunità. Ma quali donne potevano permettersi il lusso di separarsi se non quelle che avevano comunque la possibilità di mantenersi da sole? Negli Atti (16,14) si parla di Lidia, che era commerciante di porpora e quindi imprenditrice, che non aveva bisogno di dipendere da un uomo per vivere e questo spiega perché Paolo deve insistere di più con donne che avevano la libertà di farsi cristiane mentre spesso i mariti rimanevano pagani (ne parla poco oltre lo stesso Paolo). È possibile che la facilità con cui le donne cristiane potevano dividersi dai mariti avrebbe gettato cattiva luce sul movimento cristiano che sarebbe stato visto come una setta rovinafamiglie (come accade anche oggi nei movimenti settari) ed è per questo che Paolo raccomanda di non distruggere l’istituto famigliare appellandosi al rigore di Gesù ben conosciuto dalla tradizione evangelica; rigore che, in ambito giudaico è per la difesa del debole ma, trasferito in ambito pagano, ha di mira l’accettazione dei cristiani nella società, cercando di fugare l’accusa di settarismo. Marco riflette questa situazione e adatta un insegnamento di Gesù al nuovo contesto culturale.

Se la Scrittura è letta bene tenendo conto del contesto, ci dice che per i discepoli di Gesù non ci sono istituti immutabili, ma solo la cura che il vangelo sia portato in ogni situazione, anche adattando gli insegnamenti ricevuti purché ognuno possa accogliere l’annuncio liberante del vangelo, non l’imposizione di un peso in sostituzione di un altro. ☺

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