Qualche decennio fa, l’Anp, l’associazione nazionale dei presidi/dirigenti, condusse un sondaggio direttamente nelle scuole per tastare gli umori in merito alla valutazione dei docenti, chiedendo se i professori fossero d’accordo su una differenziazione di stipendio legata al merito, nella considerazione (banale ma concreta) che a scuola il buon senso comune e l’esperienza di tanti, rilevano la presenza di insegnanti fortemente impegnati e ligi al loro dovere di educatori e di professionisti seri, in evidente contrasto con colleghi meno… motivati.
L’autoaggiornamento, l’implemen- tazione della didattica, l’uso dei nuovi strumenti, il rapporto con la classe e la gestione dei conflitti, la valutazione, le eventuali pubblicazioni, sono molti i parametri che possono fare la differenza. Ma si parlò pure, all’epoca, di un riconoscimento anche per i docenti oberati in misura maggiore di altri dalle canoniche incombenze pomeridiane, come la correzione, la formulazione e il giudizio dei compiti scritti. La funzione docente è uguale per tutti ma, qualcuno a suo tempo disse, il tempo a disposizione per il proprio tempo libero, la propria famiglia o i propri interessi, è diseguale.
All’epoca, dunque, una buona parte dei docenti si dichiarò d’accordo sulla valutazione, che anche l’ex ministra Gelmini volle sperimentare, ma con meccanismi così capziosi, oscuri e bizantini che nessuna scuola si sentì in grado di accettare in prima battuta. Il tentativo fallì.
E allora? E allora, un recente sondaggio, condotto dalla redazione de La Tecnica della Scuola (un quotidiano online), che ha coinvolto oltre 1500 lettori, ha confermato la volontà dei nostri insegnanti di essere valutati: il 59% è infatti d’accordo contro un 41% che non vuole sentirne parlare.
Nel dettaglio abbiamo una maggioranza, pari al 20,3%, favorevole ad essere valutata da un pool di figure scolastiche, come gli ispettori, un organo esterno, gli studenti e persino il dirigente; un abbondante 10% (10,6%) dai soli ispettori scolastici o da un organismo esterno, a pari percentuale, forse perché costoro sono meno soggetti a interferenze e, provenendo appunto da istituzioni slegate dalla particolare realtà di quella scuola, possono dare giudizi oggettivi.
Colpisce poi, ed è persino difficile da credere, che un 8% dei lettori non disdegna il giudizio degli studenti (che sarebbero, a parere di chi scrive, i primi a dover essere coinvolti, anche se in forme e modalità accuratamente selezionate e ponderate), nella convinzione che i ragazzi, con ogni probabilità, sono ritenuti i giudici più attendibili.
Pochissimi i professori che hanno fiducia nei giudizi del proprio dirigente, appena il 5,3%. Poco da aggiungere a questo dato.
Quasi irrilevante infine, meno del 4%, la percentuale di coloro che pensano in via esclusiva ad un comitato interno alla scuola, in grado di valutare oggettivamente il lavoro dei propri colleghi.
Cosa uscirà dal cilindro del grande prestigiatore? Si è lanciato su un terreno estremamente scivoloso, la valutazione dei docenti. Ci rimetterà la noce del collo… o ce la rimetteremo noi? Una nota a margine. Nel momento in cui il giornale viene dato alle stampe, è recente la puntata della trasmissione Presa Diretta dedicata alle condizioni della scuola pubblica. Chi l’ha seguita, avrà toccato con mano ciò che significhi oggi l’irrisorio contributo che lo Stato elargisce, ormai da anni, nelle casse dell’istruzione. In alcuni istituti superiori del Nord Italia, e non solo, i laboratori di informatica (per dirne solo una) “campano” solo grazie alla generosità e ai sacrifici delle famiglie. E laddove le famiglie non ce la fanno? Dobbiamo arrenderci all’idea di scuole (pubbliche, dico pubbliche) di serie B o C? E, alla luce di tutto questo, non è scandaloso un grande prestigiatore che, nell’opuscolo La Buona Scuola, sdogana senza pudore l’intervento dei finanziamenti privati nella scuola perché tanto lo Stato “non ce la farà mai a coprire tutto il fabbisogno”?
Una domanda. Ma questa scuola, la nostra scuola, che dovrà essere valutata da chi la sta affossando, dove sta andando? ☺
Qualche decennio fa, l’Anp, l’associazione nazionale dei presidi/dirigenti, condusse un sondaggio direttamente nelle scuole per tastare gli umori in merito alla valutazione dei docenti, chiedendo se i professori fossero d’accordo su una differenziazione di stipendio legata al merito, nella considerazione (banale ma concreta) che a scuola il buon senso comune e l’esperienza di tanti, rilevano la presenza di insegnanti fortemente impegnati e ligi al loro dovere di educatori e di professionisti seri, in evidente contrasto con colleghi meno… motivati.
L’autoaggiornamento, l’implemen- tazione della didattica, l’uso dei nuovi strumenti, il rapporto con la classe e la gestione dei conflitti, la valutazione, le eventuali pubblicazioni, sono molti i parametri che possono fare la differenza. Ma si parlò pure, all’epoca, di un riconoscimento anche per i docenti oberati in misura maggiore di altri dalle canoniche incombenze pomeridiane, come la correzione, la formulazione e il giudizio dei compiti scritti. La funzione docente è uguale per tutti ma, qualcuno a suo tempo disse, il tempo a disposizione per il proprio tempo libero, la propria famiglia o i propri interessi, è diseguale.
All’epoca, dunque, una buona parte dei docenti si dichiarò d’accordo sulla valutazione, che anche l’ex ministra Gelmini volle sperimentare, ma con meccanismi così capziosi, oscuri e bizantini che nessuna scuola si sentì in grado di accettare in prima battuta. Il tentativo fallì.
E allora? E allora, un recente sondaggio, condotto dalla redazione de La Tecnica della Scuola (un quotidiano online), che ha coinvolto oltre 1500 lettori, ha confermato la volontà dei nostri insegnanti di essere valutati: il 59% è infatti d’accordo contro un 41% che non vuole sentirne parlare.
Nel dettaglio abbiamo una maggioranza, pari al 20,3%, favorevole ad essere valutata da un pool di figure scolastiche, come gli ispettori, un organo esterno, gli studenti e persino il dirigente; un abbondante 10% (10,6%) dai soli ispettori scolastici o da un organismo esterno, a pari percentuale, forse perché costoro sono meno soggetti a interferenze e, provenendo appunto da istituzioni slegate dalla particolare realtà di quella scuola, possono dare giudizi oggettivi.
Colpisce poi, ed è persino difficile da credere, che un 8% dei lettori non disdegna il giudizio degli studenti (che sarebbero, a parere di chi scrive, i primi a dover essere coinvolti, anche se in forme e modalità accuratamente selezionate e ponderate), nella convinzione che i ragazzi, con ogni probabilità, sono ritenuti i giudici più attendibili.
Pochissimi i professori che hanno fiducia nei giudizi del proprio dirigente, appena il 5,3%. Poco da aggiungere a questo dato.
Quasi irrilevante infine, meno del 4%, la percentuale di coloro che pensano in via esclusiva ad un comitato interno alla scuola, in grado di valutare oggettivamente il lavoro dei propri colleghi.
Cosa uscirà dal cilindro del grande prestigiatore? Si è lanciato su un terreno estremamente scivoloso, la valutazione dei docenti. Ci rimetterà la noce del collo… o ce la rimetteremo noi? Una nota a margine. Nel momento in cui il giornale viene dato alle stampe, è recente la puntata della trasmissione Presa Diretta dedicata alle condizioni della scuola pubblica. Chi l’ha seguita, avrà toccato con mano ciò che significhi oggi l’irrisorio contributo che lo Stato elargisce, ormai da anni, nelle casse dell’istruzione. In alcuni istituti superiori del Nord Italia, e non solo, i laboratori di informatica (per dirne solo una) “campano” solo grazie alla generosità e ai sacrifici delle famiglie. E laddove le famiglie non ce la fanno? Dobbiamo arrenderci all’idea di scuole (pubbliche, dico pubbliche) di serie B o C? E, alla luce di tutto questo, non è scandaloso un grande prestigiatore che, nell’opuscolo La Buona Scuola, sdogana senza pudore l’intervento dei finanziamenti privati nella scuola perché tanto lo Stato “non ce la farà mai a coprire tutto il fabbisogno”?
Una domanda. Ma questa scuola, la nostra scuola, che dovrà essere valutata da chi la sta affossando, dove sta andando? ☺
Qualche decennio fa, l’Anp, l’associazione nazionale dei presidi/dirigenti, condusse un sondaggio direttamente nelle scuole per tastare gli umori in merito alla valutazione dei docenti, chiedendo se i professori fossero d’accordo su una differenziazione di stipendio legata al merito.
Qualche decennio fa, l’Anp, l’associazione nazionale dei presidi/dirigenti, condusse un sondaggio direttamente nelle scuole per tastare gli umori in merito alla valutazione dei docenti, chiedendo se i professori fossero d’accordo su una differenziazione di stipendio legata al merito, nella considerazione (banale ma concreta) che a scuola il buon senso comune e l’esperienza di tanti, rilevano la presenza di insegnanti fortemente impegnati e ligi al loro dovere di educatori e di professionisti seri, in evidente contrasto con colleghi meno… motivati.
L’autoaggiornamento, l’implemen- tazione della didattica, l’uso dei nuovi strumenti, il rapporto con la classe e la gestione dei conflitti, la valutazione, le eventuali pubblicazioni, sono molti i parametri che possono fare la differenza. Ma si parlò pure, all’epoca, di un riconoscimento anche per i docenti oberati in misura maggiore di altri dalle canoniche incombenze pomeridiane, come la correzione, la formulazione e il giudizio dei compiti scritti. La funzione docente è uguale per tutti ma, qualcuno a suo tempo disse, il tempo a disposizione per il proprio tempo libero, la propria famiglia o i propri interessi, è diseguale.
All’epoca, dunque, una buona parte dei docenti si dichiarò d’accordo sulla valutazione, che anche l’ex ministra Gelmini volle sperimentare, ma con meccanismi così capziosi, oscuri e bizantini che nessuna scuola si sentì in grado di accettare in prima battuta. Il tentativo fallì.
E allora? E allora, un recente sondaggio, condotto dalla redazione de La Tecnica della Scuola (un quotidiano online), che ha coinvolto oltre 1500 lettori, ha confermato la volontà dei nostri insegnanti di essere valutati: il 59% è infatti d’accordo contro un 41% che non vuole sentirne parlare.
Nel dettaglio abbiamo una maggioranza, pari al 20,3%, favorevole ad essere valutata da un pool di figure scolastiche, come gli ispettori, un organo esterno, gli studenti e persino il dirigente; un abbondante 10% (10,6%) dai soli ispettori scolastici o da un organismo esterno, a pari percentuale, forse perché costoro sono meno soggetti a interferenze e, provenendo appunto da istituzioni slegate dalla particolare realtà di quella scuola, possono dare giudizi oggettivi.
Colpisce poi, ed è persino difficile da credere, che un 8% dei lettori non disdegna il giudizio degli studenti (che sarebbero, a parere di chi scrive, i primi a dover essere coinvolti, anche se in forme e modalità accuratamente selezionate e ponderate), nella convinzione che i ragazzi, con ogni probabilità, sono ritenuti i giudici più attendibili.
Pochissimi i professori che hanno fiducia nei giudizi del proprio dirigente, appena il 5,3%. Poco da aggiungere a questo dato.
Quasi irrilevante infine, meno del 4%, la percentuale di coloro che pensano in via esclusiva ad un comitato interno alla scuola, in grado di valutare oggettivamente il lavoro dei propri colleghi.
Cosa uscirà dal cilindro del grande prestigiatore? Si è lanciato su un terreno estremamente scivoloso, la valutazione dei docenti. Ci rimetterà la noce del collo… o ce la rimetteremo noi? Una nota a margine. Nel momento in cui il giornale viene dato alle stampe, è recente la puntata della trasmissione Presa Diretta dedicata alle condizioni della scuola pubblica. Chi l’ha seguita, avrà toccato con mano ciò che significhi oggi l’irrisorio contributo che lo Stato elargisce, ormai da anni, nelle casse dell’istruzione. In alcuni istituti superiori del Nord Italia, e non solo, i laboratori di informatica (per dirne solo una) “campano” solo grazie alla generosità e ai sacrifici delle famiglie. E laddove le famiglie non ce la fanno? Dobbiamo arrenderci all’idea di scuole (pubbliche, dico pubbliche) di serie B o C? E, alla luce di tutto questo, non è scandaloso un grande prestigiatore che, nell’opuscolo La Buona Scuola, sdogana senza pudore l’intervento dei finanziamenti privati nella scuola perché tanto lo Stato “non ce la farà mai a coprire tutto il fabbisogno”?
Una domanda. Ma questa scuola, la nostra scuola, che dovrà essere valutata da chi la sta affossando, dove sta andando? ☺
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