verso una sicilia altra
26 Marzo 2010 Share

verso una sicilia altra

 

Un viaggio d’integrazione culturale – formula altisonante con cui gli insegnanti italiani inseriscono l’inossidabile “gita scolastica” nei loro piani didattici – contiene già in sé, per definizione, le sue caratteristiche essenziali, che non devono essere tradite e che anzi, adeguatamente valorizzate,  possono restituire a questa esperienza (vecchia e sempre nuova) tutta la dignità, la ricchezza e la forte valenza formativa e di promozione della persona umana che contiene.

Anzitutto è un viaggio. Il viaggio è scoperta di altro da sé, esplorazione di un luogo ignoto fatta con curiosità e con l’umile disponibilità ad imparare cosa c’è al di là del nostro naso, con gli occhi e i sensi attenti ai colori, ai sapori, ai profumi, nel rispetto di tutto ciò che non ci è familiare. Ogni incontro è un viaggio, ma – geograficamente parlando – il viaggio vero e proprio, fuor di metafora, diventa un’esperienza insostituibile di democrazia dell’anima, e può trasformarsi in un’occasione di arricchimento irripetibile, cioè – alla lettera – assolutamente non replicabile nelle consuete modalità didattiche all’interno della classe.

Scoperta di luoghi sconosciuti, scoperta del compagno meno simpatico (che invece inizia a fare strana coppia con noi), scoperta dell’insegnante che sorride di più e diventa un primus inter pares, scendendo dalla cattedra e salendo semplicemente sul pullman.

Il viaggio è allora di per sé integrazione, perché non c’è incontro con l’altro, riuscito, che non sia accompagnato dall’accoglienza, dall’accettazione del nuovo: dal compagno di classe alla persona che si conosce sul posto e che ti aiuta a scoprire un pezzettino di mondo altro. E a questo punto diventa cultura, cioè educazione, esperienza che lascia un segno, sistema di vita che si modifica, non è più lo stesso quando si rientra.

È tenendo presenti questi parametri – come punto di arrivo ideale, e senza alcuna pretesa di aver distillato il succo della pedagogia nella nostra iniziativa – che, con un gruppo di colleghi dell’Istituto Comprensivo “G. Pallotta” di Boiano, abbiamo dato vita, quest’anno, ad un viaggio d’integra- zione culturale sperimentale, centrato su un’esplorazione responsabile della Sicilia: un’“Altra Sicilia”, non solo e non tanto quella della splendida costa orientale, o piuttosto quella della Valle dei Templi, o quella araba o normanna, quanto quella di chi, immerso in queste bellezze stupefacenti, non si stanca di intrecciare fili di speranza contro la mafia, sulle tracce di testimoni luminosi che hanno dato la vita per un ideale di giustizia e di legalità.

È la Sicilia onesta, aperta, vigile, costruttiva, operosa, che lancia messaggi di riscatto e di coraggio e che dai media non viene considerata abbastanza, ricordata com’è solo per la latitanza del boss di turno.

Stella polare, in questo viaggio, è stata la lettura di un testo di narrativa, Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando, di cui parlammo in questa rubrica l’estate scorsa, come proposta di lettura annuale per una classe seconda o terza della scuola media. Quella proposta è diventata per noi esperienza viva e ha condotto gradualmente i nostri ragazzi, con la leggerezza sapiente dell’autore, alla scoperta della vita di Giovanni Falcone. Ed eccola, allora, la Sicilia “altra” che visiteremo a giorni: quella di una Palermo non limitata a Palazzo dei Normanni e alla pur mirabile Cappella Palatina, ma che si snoda tra le vie che hanno visto nascere, crescere, studiare e lavorare il giudice ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992. Un percorso originale che sarà compiuto con l’accompagnamento di un mediatore culturale del consorzio Libera Terra Mediterraneo: Sicilia che accoglie, che dialoga con le scuole, lancia messaggi di speranza.

Un’esperienza di turismo responsabile è poi anche gastronomia tipica, non menù di plastica e Mc Donald’s, per cui gli alunni saranno invitati a scoprire sapori tipici di questa terra, specialmente quelli che provengono proprio da aziende agricole sorte su terreni confiscati alla mafia (come la “Placido Rizzotto”, nel corleonese, la cui visita è in programma), che vengono commercializzati in posti speciali come la Bottega dei Sapori e dei Saperi, un piccolo scrigno di bontà pulite: il solito souvenir o il pacco di pasta fatta col grano “libero”? O una bella bottiglia di vino “Cento Passi” per papà?

Ma non c’è solo Palermo per chi vuole parlare ad un gruppo di giovanissimi della mafia e di chi la combatte: c’è Citisi, c’è la casa-memoria di Peppino Impastato (ucciso dalla mafia nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 per aver denunciato dalla sua Radio Aut il boss Tano Badalamenti), dove il fratello Giovanni, la moglie e altri familiari si mettono a disposizione per una visita guidata e un racconto in prima persona, preziosissimo, della vita di questo giullare che sapeva denunciare senza mai perdere il sorriso e l’autoironia.

C’è anche Portella della Ginestra, dove nel 1947 avvenne la prima strage per mano mafiosa contro quei contadini che si battevano per l’assegnazione delle terre: uno degli episodi della storia italiana contemporanea ricordati in quel capolavoro che è il recente “Baarìa”, di Tornatore, e che non capiamo perché sia ignorato da troppi manuali scolastici. O tutti?

Eccola qui, la Sicilia altra, come tutte le terre che non si conoscono, ferita ma in piedi, capace di farsi conoscere anche nei suoi aspetti più laboriosi, fedeli, puliti. La Sicilia fuori dalle cartoline e dagli stereotipi: quella che – terra stupenda e maliarda – intreccia la scoperta del viaggio all’accoglienza di una realtà diversa e per alcuni versi lontana, all’educazione alla legalità e ai diritti umani (quello alla vita, alla libertà, alla sicurezza), e ne fa cultura, crescita, seme di riflessione per le giovani generazioni che noi preferiamo immaginare immerse solo in una tempesta di sms – perché talvolta è meno impegnativo -, ma che, ne siamo convinti per esperienza, si lasciano scomodare e stupire volentieri da un messaggio concreto di speranza.☺

gadelis@libero.it

 

eoc

eoc