Referendum Costituzionale - Prof. Pace: perché votare no il 4 dicembre

Una revisione costituzionale confusa, pasticciata, quella che potrebbe cambiare nella sostanza il nostro ordinamento statale. “Una riforma più che una revisione”, sottolinea il Prof. Alessandro Pace, costituzionalista e Presidente del Comitato per il No, ricordando che la Costituzione garantisce le revisioni (art.138 Cost.), ma non le riforme che stravolgano i principi fondamentali. A metà strada tra il “premierato forte” auspicato dalla bicamerale D’Alema – Berlusconi e le più recenti ambizioni semi- presidenziali, passando per velleità pseudo- federaliste, la Renzi- Boschi rimanda al concetto di “Senato delle Regioni”. Ma come, se lascia a queste ultime pochissimi poteri e non assegna allo stesso Senato poteri specifici in materia regionale? Di contro, i maggiori poteri al Primo Ministro, nell’era del decisionismo a tutti i costi, si traducono nell’uomo solo al comando, con il controllo assoluto dell’unica Camera che conti, quella dei Deputati, grazie al lauto premio di maggioranza garantito dall’Italicum. Se la vita sarà più semplice per il Premier, su referendum e leggi di iniziativa popolare graverà il peso di una raccolta firme più difficoltosa. Il procedimento legislativo sarà addirittura complicato, con 8 procedimenti rispetto ai 3 attuali. Il senato potrebbe essere composto dal “meglio” tra sindaci e consiglieri regionali, che godrebbero dell’immunità.. e così via..

La Fonte si schiera apertamente per il NO al referendum costituzionale del 4 dicembre.

Per capire qualcosa in più sulle ragioni della nostra scelta, vi proponiamo due contributi:

a) l’intervista al costituzionalista Alessandro Pace (VIDEO IN ALTO);

b) Il video integrale dell’incontro tenutosi a Termoli domenica 25 settembre, organizzato dalla Fondazione “L. Milani” Onlus e dalla R@P Molise (VIDEO IN FONDO ALLA PAGINA).

Per facilitare la visione, vi proponiamo la scaletta seguita dal Prof. Pace:

La grave violazione del principio sancito dall’Art.1 della nostra Costituzione, secondo il quale “la volontà dei cittadini espressa attraverso il vototo (..) costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare” (Sentenza n.1 del 2014 della Corte Costituzionale).

Il Senato come “rappresentante delle autonomie territoriali”, che non solo continuerebbe ad essere organo dello Stato centrale, ma non potrebbe legiferare su materie di interesse regionale, con la conseguenza che le Regioni verrebbero discutibilmente degradate a livello “prevalentemente amministrativo”.

La composizione irrazionale del Senato, i cui componenti dovrebbero contemporaneamente svolgere la funzione di consigliere regionale o di sindaco, con palese danno allo svolgimento delle funzioni connesse ad entrambe le cariche, con la conseguenza di rendere oltre tutto difficile il rispetto dei brevi termini previsti per il Senato nei procedimenti legislativi diversi da quello bicamerale.

L’elezione da parte del Senato di due dei cinque giudici costituzionali, col rischio di creare una logica corporativa all’interno della Corte Costituzionale.

Il potere del Presidente della Repubblica di nominare cinque senatori a vita per la stessa durata della carica presidenziale: un numero tutt’altro che irrilevante in un Senato composto da soli 100 componenti.

L’immunità penale concessa ai senatori per tutti i reati comuni da loro commessi.

La complicazione (e non la semplificazione) del procedimento legislativo, che passerebbe dagli attuali tre procedimenti (procedimento legislativo normale, procedimento di conversione dei decreti legge, leggi costituzionali) ad almeno otto procedimenti formalmente differenziati, col rischio di illegittimità costituzionale delle leggi per vizi procedurali.

L’inferiorità del potere legislativo nei confronti del Governo sostenuto dal gruppo parlamentare più votato, che grazie all’Italicum otterrebbe, col solo 25 per cento dei voti, ben 340 seggi alla Camera dei deputati e il cui leader godrebbe di un’investitura democratica quasi- diretta