volontari perchè e come
28 Marzo 2011 Share

volontari perchè e come

 

“Sono un uomo, per questo nulla di ciò che è umano mi è estraneo”.

Questa sorprendente espressione di un autore latino di tanti secoli fa è stata una provocazione forte per molte generazioni di uomini e donne di ogni età. E riguarda un episodio di vita che  può capitare ogni giorno, a ciascuno di noi. Andava sempre in solitudine un uomo che evitava di incontrare gente e che dava chiari segni di sofferenza. Un bel giorno sulla sua strada  incrociò uno sconosciuto che così lo interrogò: “Signore, ma avete qualche problema, vi serve qualcosa?”. Lui, con la faccia disturbata, come risposta al suo interlocutore rifilò un’espressione che capita di usare anche a noi in certi momenti della vita: “Ma a te cosa interessa dei fatti miei?”. La risposta fu proprio quella che ho riportato all’inizio e che è divenuto un vero e proprio programma di vita per tanti esseri umani.

Ebbe a riprenderla alcuni decenni fa un sacerdote divenuto famoso per il suo forte e irremovibile impegno a difesa dei diritti all’istruzione di bambini che vivevano in un territorio da tutti ignorato, all’interno dell’Appennino tosco-romagnolo. Si tratta di don Lorenzo Milani  che sul frontale della sua scuola, a Barbiana, fece imprimere un messaggio come quello riportato dal personaggio del commediografo romano, Terenzio: “I care”, mi sta a cuore. Per anni mise su una scuola  che diede a quei ragazzi, che impiegavano ore di cammino per raggiungerla, la possibilità di conquistare l’alfabeto per poi sollevarsi anche a livelli alti di cultura.

Il volontariato lo troviamo in tutte le tappe della storia e presso la quasi totalità dei popoli. Peccato che la storia, e oggi la cronaca, parla più di inimicizie, di guerre e dissidi anche solo verbali, che di solidarietà e di pace. A ben pensarci in tante favole antiche il senso della fratellanza e dell’aiuto reciproco rappresenta la cosiddetta morale della favola. E spesso sono i bambini, le bambine, i giovani a rappresentare e a testimoniare questi valori. Il volontariato allora, possiamo affermarlo, è un valore sempre presente nella storia come, purtroppo, lo è la guerra e la violenza. Sta a noi determinare la piega da dare alla storia con le nostre scelte di ogni giorno.

Il volontario è colui che si identifica attraverso il gesto del dono, non riducibile al donare qualcosa bensì al donare se stesso attraverso la disponibilità a sostenere l’altro e soprattutto colui o colei che ha più bisogno. Ora più che mai in una società segnata dall’individualismo di singoli e di gruppi.

Il dono di sé si traduce bene attraverso la volontà di “donare il tempo”. È questo il titolo di un bel libro che analizza attentamente come noi, che sperperiamo il tempo in tante attività più o meno di “perditempo”, potremmo fare un uso diverso di questa risorsa a servizio di altri più bisognosi. Donare il proprio tempo può portare ad inventarsi stratagemmi interessanti come quei gruppi di volontari, anche giovani, che hanno creato la “banca del tempo”. Con tale strumento ciascuno mette a disposizione della causa per la quale si impegna un monte-ore settimanale per assicurare la continuità al servizio che si presta per una finalità solidaristica. E questo tempo viene distribuito per compiti diversi che possono essere anche di natura materiale, a seconda delle professioni e delle attività lavorative che ciascuno dei volontari esercita.

C’è un altro aspetto che rientra in questa logica del dono ed è proprio quello che comporta la donazione di se stessi. Madre Teresa di Calcutta che in queste cose ha fornito mirabili esempi di testimonianza concreta, afferma che chi dona finisce sempre con l’avere più di quanto elargisce. Ed è vero anche che tale convinzione non deve spingerci ad operare… per avere. E questo atteggiamento non dipende dall’essere credenti o meno. Pasolini, che credente non era, scoperta l’opera di madre Teresa, fu attratto dalla figura di questa donna. Qualche volta c’è il credente che usa la religione per fini non proprio di volontariato e, viceversa, c’è chi si mette a disposizione degli altri senza rifarsi a motivazioni religiose (il samaritano del Vangelo).

Pensiamo a quante ore nel corso della giornata disperdiamo nel far nulla o in cose che non giovano a nessuno. Questo andrebbe applicato al gruppo che si frequenta. Il gruppo può essere il luogo dove si alimentano i valori, il senso della solidarietà e dove, anche, ci lasciamo andare al culto delle cose che non giovano né a noi, né agli altri. E non è una buona scusante il dire che “nella vita bisogna pure divertirsi”. La parola divertimento è cosa seria, come lo è il gioco per i bambini, come lo era l’“otium” per gli antichi romani. Si tratta di tempo di recupero dopo lo sforzo, la fatica del lavoro, ma anche del tempo in cui si coltivano l’amicizia che fa crescere, che crea gruppo in termini di condivisione, cooperazione per scopi che diano maggiore senso alla vita. La solidarietà non è elemosina e non si rivolge sempre e solo a persone lontane. ☺

le.leone@tiscali.it

 

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