
Anita la guerrigliera
Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.
Guardando a Roma il monumento ad Anita Garibaldi si rimane impressionati dalla grande statua di questa donna a cavallo, con i capelli al vento, con un fucile da una parte e con un bambino, il figlio, in braccio dall’altra. Il monumento è stato eretto nel 1932 quando il concetto mussoliniano considerava che la donna fosse “casa e chiesa”. In quel periodo, ad esempio, Ferdinando Loffredo, uno dei sociologi di riferimento, scriveva: “L’indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia”, “la donna che lavora si avvia alla sterilità, perde la fiducia nell’uomo, considera la maternità come un impedimento”. Figuriamoci se si poteva assimilare la figura di Anita, la rivoluzionaria, la disobbediente, la ribelle! Ed in realtà la figura di Anita, in ogni libro, film, narrazione ha subìto incrostazioni, stereotipi che l’hanno allontanata dalla realtà. Proviamo, come scrive Adrienne Rich, a scrostare “il relitto”, per trovare il tesoro?
Ana Jesus Ribeiro nasce nel 1821 a Laguna, sulla costa atlantica del Sud del Brasile. Anita mostra un temperamento ribelle: da giovanissima ama cavalcare a pelo, fare il bagno nuda nel mare e perdersi nella natura. I suoi comportamenti, però, sono considerati troppo moderni, sicuramente non adatti a una ragazza di quel tempo. Quando ha 12 anni il padre muore di tifo e la madre, forse rigida o preoccupata, la costringe a sposare un calzolaio molto più vecchio di lei, Manuel Duarte che la porta con sé in città. È inutile dire che il matrimonio è infelice. In quegli anni in Brasile in alcuni Stati serpeggiano voci di rivolta, ideali di libertà, di giustizia sociale. Ana in segreto è istigata dallo zio Antonio che coltiva aspirazioni da guerrigliero. Lei è già pronta ad imbracciare il fucile, ad unirsi alla rivolta popolare Farroupilha, (degli straccioni), che esplode nel 1835 a Porto Alegre. Raggiunge il posto dei rivoltosi; qui arrivano dal mare alcuni ribelli, tra questi c’è un giovane che si chiama Giuseppe Garibaldi. È il classico colpo di fulmine: lui è biondo, bello, con il capello lungo, gli occhi belli, il naso severo; lei non è da meno: ha i capelli lunghi, morbidi, neri, il volto affilato, lo sguardo determinato e intenso. Garibaldi sceglie la donna che sarebbe rimasta al suo fianco: la sua Anita, la ribattezza così. Lei fa lo stesso, abbandonando suo marito e diventando la compagna di Giuseppe
“Anita non era solo la compagna di Giuseppe Garibaldi e mai sarebbe stata solo la moglie o la madre dei suoi figli. Lei era l’amante, la confidente fidata e l’amica, era l’eroina, esattamente come lui. Lo seguì nelle sue scelte, perché quelle appartenevano anche a lei, e lottò al suo fianco per tutta la vita, seppur breve, e mai un passo indietro. Anita ricopre diversi ruoli nelle battaglie che combatteva insieme al suo amato Giuseppe e agli altri uomini. Si occupò della difesa delle munizioni, si schierava negli attacchi navali e non solo. Era esposta esattamente come gli altri al punto tale che rischiò la prigione in più occasioni”. “Dà prove di resistenza incredibili alla fatica, alla sete, alla fame, nutrendosi di sole bacche e radici per giorni, senza un lamento, spronando i compagni di lotta ad andare avanti, a combattere, stanando gli imboscati e i vigliacchi a suon di fucilate. Quando, fatta prigioniera, le dicono che José è morto, riesce a fuggire ma, anziché porsi subito in salvo, vaga per una notte intera aggirandosi sul campo di battaglia fra i cadaveri, alla ricerca del compagno amatissimo (Giovanni Russo).
Dal 1843 in ogni scontro importante c’è sempre Anita, intenta a ricoprire mille ruoli. È una vita la sua che fa veramente venire le vertigini: è un’eroina pari alle valchirie, alle amazzoni eppure è tutto vero. Quando, nel 1849, viene proclamata la Repubblica Romana, Garibaldi viene proposto come deputato. Anita potrebbe rimanere al sicuro a Nizza coi suoi figli, ma più volte decide di raggiungere il marito a Roma, mossa dalla condivisione degli stessi ideali, ma forse anche da quella gelosia che, a parere unanime dei biografi, la attanaglia. Nell’ultimo viaggio è incinta di quattro mesi e la Repubblica Romana è già ai suoi ultimi giorni. Da un racconto di Alessandro Dumas, generale garibaldino, si apprende che Anita appare davanti a Garibaldi che la presenta con queste parole: “Questa è Anita, ora avremo un soldato in più!”. Quando la Repubblica di Mazzini cade, Garibaldi e le sue camicie rosse fuggono da Roma, Anita si taglia i lunghi capelli, si veste da uomo e parte a cavallo a fianco di Josè, che pronuncia il famoso discorso: “… Io non offro né paga, né quattrini, né provvigioni, offro fame, sete, marce forzate e morte. Chi ha il nome d’Italia non solo sulle labbra ma nel cuore, mi segua”. Per raggiungere Venezia, attraversa l’Appennino, trovando sempre sostegno nelle popolazioni. Molti ospiterebbero e curerebbero Anita, che nel frattempo ha contratto la malaria, cercando di convincerla a fermarsi, ma lei vuole proseguire. Raggiungono Cesenatico, dove si imbarcano, ma nei pressi di Goro iniziano dei cannoneggiamenti e sono costretti a sbarcare a Porto Garibaldi. La fuga prosegue a piedi. Raggiungono una fattoria presso Mandriole e qui vengono ospitati da Stefano Ravaglia. Anita, ormai priva di conoscenza per la malattia e gli stenti, viene deposta su un letto dove muore poco dopo fra le braccia del suo Josè.
La vita di Anita fu brevissima, morì a soli 28 anni, ma conobbe i sentimenti più veri e più forti, visse una vita di rinunce e delusioni ma ciò che ha scelto, sempre con coscienza ed ardore rivoluzionario e coraggio, la rendono tuttora unica.☺