
Antonio d’attellis
Artista errante, cercatore del bello, Antonio D’Attellis nasce a Campobasso il 18 febbraio 1946. Negli anni ‘60 studia a Napoli presso il Liceo Artistico. Da Napoli si trasferisce a Genova dove frequenta l’Accademia Albertina, presso il famoso critico d’arte Gianfranco Bruno. In seguito si sposta a Venezia dove rimane folgorato dall’architettura cittadina e dalle atmosfere fumose tipiche della pittura romantica. Nel ‘68 ritorna a Milano e partecipa ad importanti esposizioni d’ arte con diversi colleghi tra cui Gianfranco Ferroni, Bernardino Luino, Ruggiero Savino ed altri emergenti.
Sempre a Milano conosce Mario de Micheli che lo porta a esporre alla Biennale di Venezia e alla quadriennale di Roma. Al contempo partecipa, con un altro gruppo di artisti, al premio “Leone di Pietra”, da lui vinto. Nelle sue peregrinazioni artistiche, a Trieste conosce Franco Basaglia attraverso il quale traduce in forma artistica quello che Basaglia tradusse in legge: il disagio mentale, la pazzia e la problematica dei manicomi. Espone un suo quadro al Museo della Follia di Salò in una mostra curata dal prof. Vittorio Sgarbi con artisti del calibro di Ligabue, Ghizzardi e Freud. Ritorna a Milano dove con altri artisti partecipa a diverse iniziative e mostre. È in questo momento che D’Attellis attua uno studio sulla ricerca di materie prime: cartone, plastica, cenere che ben rappresentano gli ultimi. Una tematica a cui l’artista è molto interessato. Successivamente si sposta a Los Angeles dove come designer affresca e completa due ville di noti imprenditori: Villa Flora e Villa Scilavnas.
Al suo rientro a Campobasso, città natale e definita da lui stesso “città dormitorio”, esegue lavori per la Farmacia Caruso, la casa di Francesco Manocchio, con la tecnica dell’affresco riprendendo il tocco quattrocentesco del grande maestro Piero Della Francesca. Da quel momento in poi D’Attellis opera nella sua città dove sviluppa la ricerca pittorica presso i prof. Pettinicchi e Paglione. Secondo l’artista la sua è una ricerca che non smetterà mai di evolversi, al contrario in essa si mescolano emozioni sempre diverse con un’indagine improntata al suo stato dell’essere (Ritratto d’artista allo Spazio Arte Petrecca, 25 Aprile 2019)
Romanticismo e Neorealismo
Sono due gli aspetti caratteristici nella produzione artistica di Antonio D’Attellis, che si combinano strettamente mostrando da una parte il suo sentire drammatico, dall’altra la crudezza del Neorealismo tipico anche dell’arte cinematografica del dopoguerra. D’Attellis è un artista che scruta le sfaccettature dello spirito umano, mettendo a nudo drammi, passioni, tensioni della carne che riflettono la ricerca di un passaggio al nuovo, aspirato ed atteso. La letteratura, la poesia, la stessa musica accompagnano, quasi graffianti, le tele o gli affreschi dove l’esistenza è scarnificata, in decomposizione verso una rinascita di vita. L’artista è in continua evoluzione-ricerca, sguardo attento alla realtà, che prende forma nella vita dei personaggi o dello stesso paesaggio. È solito affermare: “Un pittore non è nel trovare una forma espressiva definitiva quanto piuttosto nella continua sperimentazione anche sotto il profilo delle tecniche e dei materiali” ne “Il mondo di Antonio D’Attellis, pittore di paesaggi, di volti di anime e di amori incompiuti” (Nota critica di Carmen D’Antonino, Storico dell’arte).
Maternità neorealista
Nel mese di novembre D’Attellis dona alla “Comunità La Valle”, un cartone dipinto, tra il bozzetto e il non compiuto, di un virtuosismo straordinario. L’impianto richiama la pittura del Rinascimento. La Vergine regge il bambino adagiato sul grembo. Il panneggio non è nella foggia classica, piuttosto il vestito di una mamma popolana, non etichettata da firme di prestigio. Il Bambino è irrequieto, nella destra stringe un cardellino. L’iconografia cristiana ha identificato tre specie di uccelli come simbolo del sacrificio futuro del Bambino: il cardellino, il pettirosso, il fringuello, durante la crocifissione, soccorsero il Crocifisso. Con il becco staccarono le spine dalla corona ma si ferirono. È una maternità di un realismo sconvolgente, drammatica, eppure l’artista ha colto pienamente la tenerezza della maternità-dono.☺