chiesa e meridione
28 Aprile 2010 Share

chiesa e meridione

 

 

Sulla cosiddetta “questione meridionale” nei centocinquant’anni, ormai prossimi, intercorsi dall’unità d’Italia, si sono scritti fiumi di parole che hanno sviscerato l’esistenza o meno della questione, le cause che la ponevano in essere, le possibili soluzioni o i percorsi che l’avviassero a soluzione,  nella prospettiva e speranza che l’Italia unificata non avesse  più differenze qualitative di vita e di opportunità, ma risultasse pari nei diritti, nelle opportunità sociali e nei doveri di solidarietà come si richiede ad una qualsiasi comunità perché risulti tale di nome e di fatto, pur nel rispetto delle peculiarità culturali, territoriali e sociali dei diversi territori e comunità particolari.

Non si ha qui l’intenzione di fare un bilancio ma quella di sottolineare ciò che c’è stato prima e quale difficile cammino verso l’unità reale del paese, sempre in cantiere, tanto per l’Italia civile e politica che per la Chiesa italiana.

Il cattolicesimo ha attraversato diverse stagioni rispetto all’unità d’Italia: la contrapposizione iniziale fino al rifiuto; l’accoglienza entusiastica; un protagonismo responsabile ed efficace nell’impegno di fare gli italiani, dopo che era stata fatta l’Italia. Due grandi questioni hanno attraversato e condizionato la riflessione. La prima fu la nascita dello Stato unitario a scapito del regno pontificio che ha messo in contrapposizione il nuovo Stato e la Santa Sede. I primi cinquant’anni e più della vita politica del nuovo Stato  si articolarono senza la presenza politica del mondo cattolico, a cui il non-expedit precludeva responsabilità di governo del paese, fino alla prima partecipazione, con il patto Gentiloni e alla “conciliazione” con i Patti lateranensi del 1929. La seconda questione che prese corpo fu la “questione meridionale”: l’unità formale del paese non  aveva prodotto una unità reale dei cittadini.

Il cattolicesimo italiano non ha una storia unitaria, come negli altri paesi europei, né la chiesa italiana tutta o le singole conferenze episcopali regionali si sono sperimentate, nel lungo periodo dell’Italia unita, in un cammino collegiale di riflessione e di proposte particolarmente significative; quelle meridionali, in particolare,  non sono riuscite a produrre  un progetto ecclesiale sui  problemi insoluti del Sud causate dall’unità d’Italia.

La lettera collettiva «I problemi del Mezzogiorno» del 1948, documento redatto di fatto dall’Arc. di Reggio Calabria, mons. Antonio Lanza, e sottoscritto dall’episcopato continentale meridionale, fu il primo documento collegiale che ponesse a tema, dentro il percorso unitario, lo specifico dei problemi meridionali. Ma, oltre le immediate reazioni, non c’è stata eco in ambito ecclesiale e non è sorto alcun dibattito fra i vescovi meridionali.

Nel 1952 (8-10 gennaio) accade il primo incontro collegiale dei presidenti delle conferenze episcopali regionali a Firenze, che da questo incontro prende il nome di Conferenza episcopale italiana. Il 2 febbraio 1954 viene redatta la prima lettera collettiva dei presidenti delle conferenze regionali riuniti a Pompei, sull’anno mariano e i problemi sociali del paese. Alcuni vescovi del meridione pongono la questione del Sud ma non nasce una linea strategica ecclesiale per il Sud. Nel dicembre dello stesso anno, la Congregazione Concistoriale comunica alla neonata CEI (ancora solo dei presidenti) che è costituita una Commissione per studiare i mezzi più opportuni per la difesa della fede e dei costumi tra le popolazioni del Mezzogiorno d’Italia; ma non se ne troverà traccia di esistenza, tranne un dichiarato interesse per essa, nella dichiarazione finale della prima assemblea Cei del 1955.

Solo dopo il Concilio, nell’assemblea del 1966 il vescovo di Cassano Ionico pone a tema i problemi del Sud. Nell’assemblea dell’aprile 1969 i vescovi costituiscono un gruppo di studio per il Sud su sollecitazione dell’ausiliare di Bari, Mons. Michele Mancuzzi: viene redatto un documento: sarà solo citato nel comunicato finale; comunque è la prima volta che l’episcopato italiano prende parola sulla questione meridionale, sebbene senza produrre un indirizzo comune.

Nel maggio del 1973, venticinquesimo della lettera del 1948, si pensa alla opportunità di un documento collegiale di tutto l’episcopato italiano; la bozza viene approvata in assemblea e consegnata ad un gruppo di vescovi rappresentativo delle diverse aree d’Italia per la redazione finale. Diventa però impossibile amalgamare le osservazioni pervenute sicché cade l’ipotesi di un documento comune.

Finalmente nel 1989 con il documento Chiesa italiana e Mezzogiorno: sviluppo nella solidarietà appare la prima voce collettiva dell’episcopato italiano sui problemi del mezzogiorno. Vent’anni dopo, in vista di un nuovo documento collegiale, viene celebrato a Napoli (12-13 febbraio 2009) un convegno dal titolo Chiese nel Sud, Chiese del Sud. Nel futuro da credenti responsabili. Nel febbraio 2010 esce il secondo documento collegiale dal titolo Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.

Un passo lento, qualche ruga in più, una consapevolezza faticosa, una capacità di confronto con la storia reale delle popolazioni non certo tempestiva, sembrano risultare anche per la chiesa italiana le caratteristiche con cui ha messo a tema uno dei problemi cardine della storia d’Italia, mentre siamo alle soglie del 150° dell’unità. Affronteremo nei prossimi numeri i contenuti dell’ultimo e dei precedenti documenti. ☺

 

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