Eutanasia dei paesi
28 Giugno 2025
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Eutanasia dei paesi

Gli antichi Greci chiamavano eu-thanatos la buona morte, cioè l’ accompagnamento nell’aldilà cercando di alleviare il più possibile le sofferenze della fine. Eutanasia: è quella che si appresta a praticare il Governo nei confronti di tanti paesi e piccoli comuni d’Italia, specialmente nel Mezzogiorno.
Il 9 aprile scorso la Cabina di Regia istituita presso il Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha approvato il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne. Lo ha fatto senza una reale partecipazione né consultazione dei territori. Tale Piano dovrebbe guidare le misure atte ad affrontare i fenomeni dello spopolamento e dell’invecchiamento della popolazione, la rarefazione sociale e produttiva e le disuguaglianze nell’accesso ai servizi, cioè ai diritti fondamentali alla salute, all’ istruzione, alla mobilità e così via, già posti al centro dell’attenzione dalla SNAI (Stra- tegia Nazionale per le Aree Interne). Ma nonostante gli obiettivi annunciati, il Governo si è limitato a recepire acriticamente e passivamente il contributo del CNEL che ha suddiviso le Aree sulla base di “obiettivi demografici” e del CENSIS, che ha classificato le aree sulla base della struttura demografica, delle dinamiche economiche, delle infrastrutture e dei servizi essenziali presenti. Ne emerge un quadro disarmante di distinzione tra forti e deboli, buoni e cattivi, meritevoli di essere salvati e condannati alla scomparsa.
In questi studi, a dir poco sorprendenti se si considera che vengono da un organo di rilevanza costituzionale (il CNEL, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, è previsto dall’art. 99 della Costituzione), i Comuni delle aree interne vengono suddivisi in quattro categorie, che nel Piano governativo si traducono in quattro tipologie di obiettivi: quelli dove si può auspicare un’inversione di tendenza relativamente alla popolazione; quelli in cui è ipotizzabile una ripresa delle nascite; quelli dove si può solo sperare in un contenimento della riduzione delle nascite, senza rassegnarsi allo scenario peggiore; e, infine, i comuni in cui si può puntare soltanto ad un “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. A parte l’uso violento del termine “irreversibile”, che denota anche una totale mancanza di cultura storica, ci si chiede come sia possibile misurare la condizione delle aree interne utilizzando gli stessi indicatori del modello che le ha marginalizzate: se si usano i parametri della crescita, della competitività e dell’attrattività… che cosa si pensa di trovare, se non il declino e la compromissione della struttura demografica e dell’assetto socio-economico?
Queste aree – dice il Piano – non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno – bontà di chi ha redatto e approvato il documento – essere abbandonate a sé stesse: “Hanno bisogno – concludono – di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. In pratica un accompagnamento alla buona morte, un’eutanasia dei paesi, appunto. Le ultime due categorie – quelle della proclamata condanna all’irreversibilità – comprendono comuni collocati quasi totalmente nel Sud della Penisola, dai Monti Sibillini in giù, per tutta la fascia appenninica, fino alla Sicilia e alla Sardegna. In pratica, una cristallizzazione e un aggravamento delle disparità territoriali e, di conseguenza, delle disuguaglianze sociali.
Di fronte a questa analisi, assunta a strumento politico di governo, i Comuni delle aree interne, le loro comunità e le loro espressioni democratiche e civili non possono restare in silenzio. Indignarsi e ribellarsi è giusto. Una rivolta dal basso e dai territori, che tenga conto di quanto ha scritto di recente l’antropologo civile Vito Teti (https://comune-info.net/), cioè che “chi decide e comanda non sa cosa è un paese, come vive e resiste, non sa chi sono i giovani che vanno via e non tornano o sognano di tornare, non vede la fatica, la resistenza, le iniziative, le pratiche attive di giovani, associazioni, famiglie, gruppi. Non si vogliono immaginare altri percorsi, cammini alternativi, nuovi slanci di vitalità. Hanno già deciso. Tutto è perduto. Per loro”. Ciò a dispetto delle politiche di rigenerazione, della ricerca di nuovi stili di vita, di altre economie, in dispregio della dignità di chi prova a restare, di chi parte o di chi vuole tornare. Sembra che non ci sia spazio per nuove semine e nuove concrete utopie. Insomma, un requiem prima della morte.
Di recente, in una importante e partecipata iniziativa organizzata nell’ambito della “Settimana Identitaria” dalla Pro Loco e dal Comune di Pietramontecorvino, nella Daunia, tra i monti che guardano il Molise, è stata lanciata una mobilitazione sui territori, con la proposta a tutti i consigli comunali di discutere e approvare un ordine del giorno che stigmatizzi le analisi e le previsioni del Piano nazionale e ribadisca la necessità di una vera strategia di sostegno e di rilancio per le aree interne del Paese, rifiutando l’eutanasia dei paesi: i piccoli comuni, presidio di democrazia e contenitori di patrimonio, devono essere aiutati a vivere, non accompagnati a morire.☺

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