Fascismi striscianti
14 Novembre 2019
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Fascismi striscianti

Scrivo mentre il Cile brucia e le bombe al fosforo straziano i bambini curdi, con una sensazione disperata di impotenza che toglie ogni punto di riferimento al vivere quotidiano. Come interessarsi di ciò che la politica fa, o piuttosto non fa, alle nostre latitudini, come considerare rilevanti i balbettii dei nostri amministratori, locali e nazionali, di fronte all’orrore delle bombe e della repressione?

Per chi ha la mia età rivedere i carri armati nelle strade di Santiago è un dolore straziante: la mia generazione ha amato appassionatamente Allende e il suo Cile che voleva cacciare le multinazionali e vivere senza l’oppressione americana sul collo. E si è riconosciuta nelle canzoni degli Inti Illimani, nelle poesie di Neruda, nei versi di Violeta Parra. Così come ha sentito e sente fratelli gli uomini e le donne curde, eroi senza patria, traditi dalla vigliaccheria americana e dagli interessi economici dell’Europa, che non prende posizione per non disturbare il sultanello di Istanbul.

Le immagini di guerra e guerriglia stridono vicino alle foto della Leopolda e delle riunioni al vertice che dovrebbero rendere più stabile il nostro traballante, improbabile governo; e anche le felpe leghiste e la tracotanza fascista che il 19 ottobre hanno profanato a Roma la piazza tradizionale della sinistra (con relativo codazzo di amministratori locali) riacquistano tutta la loro ridicola pochezza se le accostiamo alla violenza reale delle tragedie di questi giorni.

La politica nazionale e locale è purtroppo spesso farsesca dalle nostre parti, e si fatica a prenderla sul serio quando irrompe sul palcoscenico, con tutta la sua tragica forza, la Storia vera, quella che travolge la vita di individui e nazioni.

Eppure, nonostante dolore ed empatia, viviamo immersi nella nostra piccola dimensione quotidiana e sono le piccole vicende dei nostri luoghi ad assorbirci: chi di noi sente il dovere di opporsi alle logiche predatorie dell’economia e di rivendicare il diritto al cambiamento sa bene che si parte da piccoli passi locali per cominciare la rivoluzione globale. Ed anche quando ci si sente travolti da una realtà feroce, tanto più grande di noi, non si ha il diritto di abbandonare una partita, quella locale, che di colpo sembra essere del tutto irrilevante.

Certo, avvilisce pensare che sia così difficile risolvere problemi che non dovrebbero neanche esistere, in un paese tutto sommato ricco, che vive in pace da settant’ anni; ma le ingiustizie vanno sentite sulla propria pelle, come diceva il Che, in ogni parte del mondo. E la perdita progressiva del diritto al lavoro, alla sanità, ai beni comuni essenziali è in Italia e in Molise un’ingiustizia cocente. Meno evidente e più strisciante, certo, di quella che ti espone alle bombe e alla fame, ma non meno grave, perché mina alla base quello che credevamo di essere quasi riusciti a raggiungere, la possibilità di dare a ciascun cittadino uguali opportunità di vita dignitosa.

Certo, non viviamo la violenza reale e crudele che in tante parti del mondo impedisce la vita stessa; ma i meccanismi che in Cile e altrove innescano quella violenza e quelli che da noi provocano difficoltà materiali e mal di vivere sono gli stessi. Sono quelli del delitto storico del capitalismo: l’indebolimento dei diritti dei lavoratori, l’aumento smisurato delle disuguaglianze, la sostituzione della finanza alla democrazia parlamentare, il decadimento della struttura sociale. In Molise e in Italia subiamo anche noi questi meccanismi, senza riuscire a mettere nella giusta relazione cause ed effetti e senza arrivare alla rivolta interna radicale.

Ma cosa sono la distruzione della sanità, la privatizzazione dell’acqua, lo smantellamento dello stato sociale, la vendita dei beni comuni, se non i prodotti velenosi del turbo capitalismo, che paghiamo ogni giorno sulla nostra pelle e che portano tanti attivisti a combattere a mani nude i moloch delle multinazionali e quell’imprenditoria privata rapace e senza scrupoli disposta a tutto per il profitto, anche qui, in questa piccolissima regione? Il meccanismo del debito che strangola stati e individui è alla base del sistema capitalista che l’ Unione Europea difende con le sue politiche di austerità inutili e crudeli, via sicura verso l’implosione della società, come scrive Jean Paul Fitoussi.

Non pretendo di avere soluzioni da suggerire, ma percepisco uguali le cause delle tragedie apparentemente lontane di questi giorni, e del malessere che da noi sta spegnendo entusiasmi e speranze, alimentando paure assurde che sostengono i fascismi striscianti; e sono convinta che solo la partecipazione organizzata dei cittadini, che obblighi chi amministra ad ascoltare, possano impedire il disastro sociale.

Non possiamo permetterci rassegnazione, né accettare che in Italia il 5% più ricco della popolazione detenga un patrimonio uguale a quello del 90% più povero. Ancora una volta, la risposta è quella di Don Lorenzo Milani, quella che lui definiva l’esatto opposto del motto fascista: I care, me ne importa.☺

 

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