
I leghisti nostrani
Nell’ultimo numero del nostro periodico, tra un augurio e l’altro ci siamo occupati, tra l’altro, degli impegni assunti dai politici in campagna elettorale. Sono ormai passati mesi da quando il governo giallo-nero ci riempie di balle e non siamo ancora riusciti a capire se “l’Europa” ci ha contestato la qualità della manovra finanziaria o la quantità di deficit programmato. I fondi relativi alle misure principali, reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni, ridotti in modo considerevole dall’“Europa”, finiscono per non abolire né la povertà né la legge Fornero. In definitiva, tanto rumore per nulla. I due guasconi, se avessero voluto veramente realizzare le misure promesse, avrebbero potuto chiedere maggiore flessibilità per gli investimenti, evitando i toni da cantina e rinviando, come in sostanza hanno fatto, le riforme promesse al 2020 per mettere, come dicono loro, “fieno in cascina”. I due imbonitori, con le loro bravate, hanno ottenuto meno di quanto sia stato concesso a Renzi per fare più o meno le stesse cose: campagna elettorale.
In questa trattativa “l’Europa” ci ha chiesto di ridurre il deficit, di ridurre il debito strutturale, di contenere le previsioni di crescita, di eliminare gli sprechi che tradotto significa ridurre assistenza sociale e sanitaria; non ci ha mai chiesto di far pagare le tasse a chi non le paga, né ha mai avviato una procedura di infrazione per questo, eppure siamo i più discoli di tutto il continente, quelli che considerano l’evasione fiscale una furbata. I due vice guappi di cartone, hanno promesso di prendere a calci nel culo gli euroburocrati dissenzienti ma, nel momento della verità, non hanno avuto neanche il coraggio di andarci a Bruxelles, altro che calci; hanno mandato Conte e Tria a chiedere pietà per tutto ciò che hanno fatto e ancora di più per quello che hanno detto.
Di balle era lastricata anche la campagna elettorale per le elezioni regionali e, così come previsto, è stato premiato chi le ha raccontate meglio e continua a farlo. “Lavoro, lavoro, lavoro, il lavoro come dignità, libertà di espressione, mezzo per costruire se stessi e una società più libera e prospera”, sembra il titolo di un convegno organizzato dalla mitica sinistra e invece si tratta delle dichiarazioni programmatiche presentate dal presidente Toma in consiglio regionale il 28 Maggio scorso. Purtroppo alle promesse non sono seguiti i fatti. I dati Istat, pubblicati pochi giorni fa, fotografano una realtà molto diversa dallo storitellyng confezionato da Toma. La disoccupazione è diminuita al nord e al centro, il Molise si piazza in terz’ultima posizione prima di Sicilia e Umbria, con un +0,6%, mentre il Pil registra una flessione dello 0,4% rispetto all’anno precedente, a differenza di Lazio e Campania, regioni confinanti con la nostra, le quali hanno fatto anche meglio del nord con un +1,6%. Le azioni sbandierate dal governatore nel suo programma di governo per “accelerare l’attuazione dei progetti” relativi ai fondi del POR 2014/2020, oltre a quelli del patto per il Molise e quelli relativi all’area di crisi complessa e semplice, pare non abbiano sortito risultati positivi: i giovani continuano ad andarsene per cercare lavoro altrove e lo spopolamento delle aree interne non si arresta.
La giunta varata dal governatore, per la verità modesta e squilibrata politicamente verso un partito che in realtà è in via di liquidazione, incapace com’è di dare sostegno all’azione amministrativa sia in loco che a Roma, fa fatica ad avviare i primi passi e, quando lo fa, viene puntualmente messa all’angolo da chi la tiene in ostaggio, da chi lavora ad egemonizzare politicamente e culturalmente la Destra italiana. Non mi riferisco ai Pentastellati che fingono di fare opposizione, né a chi reclama, legittimamente, per competenza ed esperienza, un posto in giunta, ma a chi non perde occasione per mettere in difficoltà la maggioranza pur facendone parte, proponendo di togliere qualche tassa regionale senza indicare la posta di bilancio sulla quale dovrà pesare il costo di questa brillante iniziativa. È singolare che il partito della “Padania Libera”, forza di governo qui in Molise, contribuisca all’approvazione di una legge che sacrifica l’autonomia regionale in materia di Sanità. Qualcuno potrebbe pensare, senza fare peccato, che si tratta dell’ennesimo provvedimento contro il Sud, visto che solo le regioni meridionali ne subiranno gli effetti. Se ad essere commissariato fosse stato Fontana, il governatore della Lombardia, sarebbe scoppiata la IV guerra d’indipendenza. Lo schiaffo assestato dal governo nazionale al presidente Toma, rigorosamente rivendicato dai consiglieri Pentastellati, dimostra, con palmare evidenza, che le regole democratiche nel nostro paese sono un accidente della dialettica politica.
È forse il caso di ricordare che i molisani, alle ultime elezioni regionali, hanno scelto di farsi governare dal Centrodestra e non dai Pentastellati indigeni i quali non fanno mistero del fatto che il sub commissario, nominato da Roma, sia uno di loro. Al presidente Toma che non ha alcuna responsabilità per ciò che è accaduto nella sanità molisana in questi ultimi 18 anni, vorremmo suggerire di istituire una commissione tecnica di verifica dello stato di attuazione del piano sanitario regionale, approvato con legge dello Stato dal precedente parlamento, per chiedere al commissario Angelo Giustini, di procedere senza ritardo a dare al Molise una Sanità che assicuri i livelli minimi di assistenza, così come succede nelle regioni del nord.☺