Il capitalismo sarà mai riformabile?
14 Luglio 2023
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Il capitalismo sarà mai riformabile?

Dovrebbe essere evidente che la concezione dell’economia di mercato che ha prevalso negli ultimi quarant’anni, il neoliberismo, non ha dato risultati positivi, rivelandosi non sostenibile sul piano economico, sociale, politico e ambientale. Invece di determinare uno sviluppo economico equilibrato, con la crescita di reddito e ricchezza distribuita per tutti, ha soltanto contribuito a favorire “enormi disuguaglianze sociali”. Sul tema c’è una prestigiosa dichiarazione: “Una serie di elementi mettono pressione alla società. Penso alla crisi climatica ma anche a quella economica, con l’aumento delle diseguaglianze. Di conseguenza, questo capitalismo ha dimostrato di non essere capace di funzionare”. Lo ha affermato Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’economia nel 2001, intervenendo al Festival dell’Economia di Trento 2023. Considerando temi fondamentali per il corretto sviluppo dell’umanità, la protezione sociale e il cambiamento climatico sono stati studiati con estrema attenzione dall’economista della Columbia University: “Fino ad ora abbiamo vissuto un capitalismo estremo e senza limiti. Ora è necessario cambiare garantendo protezione sociale e ambientale. Si deve andare nella direzione di un capitalismo progressista in cui una forma di decentramento comprenda uno sforzo comune tra imprese, terzo settore e Stato per regolamentare i processi”. In realtà, da sempre si pensa di correggere i limiti e le contraddizioni del modo di produzione capitalistico e della società ineguale e ingiusta da esso generata, ma lo si fa seriamente solo e sempre nei momenti di crisi quando le contraddizioni emergono con maggiore forza, quando cala il saggio di profitto, esplodono le bolle speculative o aumentano i costi di produzione, in presenza di sovrapproduzione, inflazione o stagflazione.
Se la conflittualità tra capitale e lavoro si accentua, le spinte del capitale verso ipotesi di riforma diventano naturalmente la sola risposta obbligata per attenuare le contraddizioni e ricondurle nell’alveo delle riforme compatibili con la salvaguardia dell’attuale sistema. La storia ci insegna che così è sempre accaduto, si veda il New Deal statunitense dopo la crisi del 1929: il sistema capitalistico viene salvato con grandi investimenti statali per infrastrutture (strade, ponti, dighe), che hanno portato alla rinascita delle imprese private fino ad arrivare, con la Seconda guerra mondiale, alla piena occupazione. Anche nel periodo 2007-2008 si è usciti dalla crisi del sistema capitalistico finanziario, causata dalle banche, con il salvataggio delle stesse con l’intervento degli Stati che hanno dovuto spendere miliardi del denaro pubblico per salvarle. Eppure la responsabilità non era dei cittadini che pagano le tasse, ma degli speculatori finanziari. Lo Stato è stato costretto ad intervenire per salvare il capitalismo, come sempre “profitti privati e perdite pubbliche”, l’intervento delle finanze pubbliche salva i fallimenti del mercato.
Disuguaglianze crescenti, perdita del potere di acquisto, danni provocati dalla ridotta crescita economica, sono diventate la realtà creata dal capitalismo neoliberista: il keynesiano Stiglitz considera vero il dato di fatto che “l’ aumento delle diseguaglianze economiche e sociali che il neoliberismo ha favorito rappresenta l’antitesi di ciò che si potrebbe pensare come una buona società”, quindi sostiene che sia indispensabile fare dei cambiamenti radicali per la tenuta del sistema e al fine di evitarne una possibile implosione. Tutto questo è chiaramente dovuto al fatto che negli ultimi anni abbiamo subìto selvagge delocalizzazioni produttive, guerre e devastazioni economiche e sociali, con il relativo acuirsi dei contrasti sociali. Sono diventate evidenti le contraddizioni di un sistema in crisi tanto da essere insostenibile da tutti i punti di vista. La stessa, tanto decantata, possibilità “dell’ascensore sociale” che dovrebbe permettere a tutti di diventare se non ricchi benestanti, dopo anni di cultura del presunto merito, ci si accorge che l’uomo che si è fatto da sé (self made man), nella realtà non esiste, forse non è mai esistito: al suo posto è subentrata una sorta di oligarchia, basata sulla sola ricchezza come diritto di nascita e conseguentemente anche le società democratiche tradizionali sono entrate in crisi con l’accentramento crescente dei poteri effettivi nelle mani di, sempre più, ristrette élite. Stiglitz ritiene che tutto questo è ovviamente causato dal “capitalismo senza vincoli [che] limita la libertà della maggior parte degli individui di realizzare pienamente il proprio potenziale. Il vero pericolo del neoliberismo è la distruzione dei valori e l’indebolimento delle libertà”.
Queste contraddizioni sistemiche sono state determinate da anni di politiche neoliberiste di delocalizzazioni produttive che hanno ottenuto solo l’impoverimento e l’ emarginazione di buona parte della classe lavoratrice, in tutto il mondo occidentale. Stiglitz, per aiutare le persone e l’economia a riprendersi nel modo giusto propone “che la ricerca di base e l’innovazione tecnologica possano rappresentare la risposta a questo fenomeno di cui non siamo riusciti a capire la rapidità”. Inoltre ritiene utili la svolta energetica verde e il progresso tecnologico quali strumenti funzionali alla salvaguardia e al rilancio del sistema di produzione capitalistico. Non è casuale il richiamo al cambiamento climatico e all’idea di un capitalismo compatibile con la salvaguardia ambientale, così come l’attenzione riservata alle crescenti disuguaglianze che impongono, almeno si spera, agli Stati, piani straordinari di intervento sociale e riforme del welfare, dopo anni di tagli alle risorse pubbliche.
Purtroppo la lenta crescita economica, in anni pandemici e di guerra, non sembra più essere un fenomeno passeggero. Il ricorso alla guerra sembra utile solo per riaffermare l’egemonia del dollaro sulle altre monete e il sistematico controllo delle vie energetiche da parte dei paesi dominanti, soprattutto delle loro multinazionali private. Il capitalismo contemporaneo, con i suoi eccessi e la mancanza di protezioni sufficienti per le fasce deboli della popolazione, sta minacciando la stessa esistenza – che in teoria propaganda – della democrazia liberale. Per Stiglitz esiste come alternativa una nuova concezione dell’economia di mercato che offre la “promessa di un’economia prospera in una società giusta, libera, e inclusiva” e possa comportare “un migliore equilibrio tra Stato, mercato e società civile, con una serie di accordi istituzionali, tra cui cooperative e istituzioni no-profit”. Ma questa sorta di “capitalismo progressivo può funzionare solo in uno Stato democratico [partecipativo e senza manipolazione dei mass-media]; e uno Stato può essere veramente democratico solo con sistemi di pesi e contrappesi, che non funzionano se non ci sono adeguati sistemi di controllo”. Per Stiglitz deve essere centrale il ruolo dell’educazione: “La buona scuola aiuta a essere liberi, permette di ragionare e di fare scelte consapevoli; la cattiva educazione cerca di indottrinare e inculcare ideologie, di affidarsi alla fede cieca e alla coercizione sociale”.
Più che perpetuare il capitalismo, in qualsiasi forma, dovremmo pensare a cambiare il modo di vedere il mondo ispirandoci alla solidarietà e al rispetto della persona umana. In fondo il capitalismo non può essere motore di crescita e accumulazione infinita essendo il mondo, le sue risorse, finite.☺

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