il classicismo
6 Marzo 2010 Share

il classicismo

 

Dopo il Concilio di Trento lo spirito del Rinascimento si è decisamente esaurito, non però la pittura, definita “manierista”, che ne era derivata. Il superamento di questa pittura avvenne in un paio di decenni tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, grazie a tre pittori: Annibale Carracci, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens. Annibale Carracci è il più giovane del terzetto di pittori bolognesi formato dal fratello Agostino e dal cugino Ludovico. Questi tre artisti diedero vita a Bologna all’Accademia degli Incamminati che fu il baricentro di quell’arte secentesca che viene definita “classicismo”. Nei loro insegnamenti si cercava di coniugare il modello dei grandi maestri cinquecenteschi, Raffaello e Tiziano, con un rinnovato studio del vero: una pittura che coniugasse l’idealismo (armonia, decoro, proporzione, misura, ecc.) con il naturalismo fatto di ispirazione e studio della realtà. L’artista che più rappresentò il naturalismo fu sicuramente Caravaggio, autore di un’autentica rivoluzione pittorica. Il suo stile unito ad una grandissima qualità innata, gli permise di produrre opere che ebbero influenza su tutta la pittura europea del XVII secolo.

Comprensione di uno stile

Per capire la differenza tra classicismo di matrice carraccesca e naturalismo alla Caravaggio è utile un esempio. Un pittore rinascimentale come Raffaello quando doveva dipingere una Madonna usava una modella, ma l’immagine che ne derivava non era un ritratto; il quadro doveva raffigurare un’immagine femminile idealizzata e non una donna appartenente a tempo e spazio. Questo procedimento di passare all’ideale dal reale è chiamato “trasfigura- zione”. In questo modo la realtà è aggiustata a quelle “regole d’arte” che sono decoro, compostezza, ordine e armonia. Questo era il processo che attuavano i Carracci, mentre il Caravaggio abolì dalla sua pittura ogni forma di “trasfigurazione”: realtà rappresentata anche nella crudezza dell’immagine, come si presentava agli occhi dell’artista.

I modelli e le modelle erano rappresentati nel reale verismo da creare un impatto sconvolgente. Una differenza notevole tra lo stile dei Carracci e del Caravaggio è ancora una volta il rapporto tra disegno e pittura. Il disegno rimane la trama logica, razionale e visibile dell’immagine costruita, il Caravaggio costruisce i suoi quadri solo con gli strumenti della pittura: cioè la luce. Il contrasto tra luce e ombra, al punto che l’immagine non poteva essere costruita con il disegno preparatorio: questi effetti di luce, quasi lampi che appaiono nell’oscurità per mostrarci un’immagine affogata nel buio, diventarono per Caravaggio le forme stilistiche più forti. Questa forza espressiva ebbe grande influenza nei pittori a lui posteriori, che ricorsero alla rappresentazione del vero nell’uso della luce e dell’ombra. La sua permanenza a Napoli fu uno stimolo enorme per quei pittori che diedero vita ad una stagione artistica napoletana per tutto il XVII secolo.

“Il Pittore del tratturo”

La pittura napoletana del  primo Seicento vede in Massimo Stanzione (1585) l’esponente di spicco, definito “il grande, autentico, unico rivoluzionario” per la scelta pittorica attenta al sentimento, lontana dagli accenti solenni del dramma. I concetti della bellezza, della grazia, della misura ritrovati, sono ora esposti negli impianti iconografici, dove all’impaginazione caravaggesca fanno riscontro una preziosità della materia e una carica devozionale che evidenziano altri e diversi luoghi di orientamento: grandiosità di composizione ed efficacia di resa pittorica. Dall’autocertificazione che lo Stanzione fa di sé apprendiamo che fosse di nobili origini, in possesso di una cultura propria, testimoniata da una biblioteca non disprezzabile, dell’amicizia con Giovan Battista Basile, della frequentazione dell’Accademia degli Oziosi, fondata nel 1611, alla quale apparteneva la Napoli bene e aristocratica. In questo ambiente egli gioca un ruolo culturale di rilievo. La propensione verso il classico e l’accostamento alla maniera emiliana negli sfondi paesaggistici lo rendono Caposcuola indiscusso per gli inizi del Seicento. Tra gli allievi dello Stanzione emerge Francesco Guarino, punto di incontro tra due correnti, la “naturalista” e la “pittura d’impasto”e si muove nell’ambito della pittura napoletana ponendosi, nel suo provenire dalla provincia e nell’inserirsi nella realtà viva del suo tempo, come nuova espressione e modello d’artista. Nato a Solfora (1611-1651), il Guarino apparteneva ad una famiglia di artisti. Abbandonando la cultura provinciale della bottega del padre, Gian Tommaso, si trasferisce a Napoli nello studio di Massimo Stanzione. Fu definito un vero pittore napoletano, pur non avendo commissioni di opere, da parte dell’aristo- crazia, nell’ambito partenopeo. Concentrò la sua attività nella provincia:nella natia Solfora, Campobasso, Gravina, feudo dei suoi protettori, gli Orsini. Figlio d’arte, uomo di provincia e attivo in provincia, ben inserito nelle tensioni e nelle discussioni artistiche che animarono le vicende del tempo. Gli Orsini, la cui casata da lì a poco darà un papa (Benedetto XIII), mecenati del solforano, si identificano nella sua arte: capacità di conferire fasto austero alle storie sacre, di raccontare in termini aulici, con i colori squillanti e pacata narrazione di timbro accademico, ma anche esporre la miseria senza idealizzare o rimaneggiare la realtà osservata. La sua opera e bottega spazierà dal Molise alla Puglia nella nostalgia della derivazione dei prototipi dello Stanzione e nella ripresa del caravaggismo (Lattuada 2000).☺

jacobuccig@gmail.com

 

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