Il lavoro crea il futuro
22 Marzo 2023
laFonteTV (3191 articles)
Share

Il lavoro crea il futuro

Con questo motto si è svolto nel mese di febbraio il congresso nazionale della FLAI-CGIL, il sindacato dei lavoratori dell’agricoltura e dell’agroindustria che affonda le sue radici nella Federterra, il primo sindacato agricolo che nel 1901 mise insieme le leghe dei braccianti e dei mezzadri italiani. Una lunga storia, ora ricostruita nel ben documentato libro di Antonella De Marco (Dalla Federterra alla Flai, Roma, Futura Ed., 2023). Più di 500 delegati provenienti da ogni provincia italiana, rappresentanti del ridotto ma ancora consistente numero di addetti al settore agricolo, si sono riuniti con tanti ospiti italiani e stranieri in un grande e un po’ surreale albergo sul limite della campagna romana, oltre la Magliana, laddove l’urbe incontra una ruralità spezzata eppure non ancora morta, con i campi insidiati da uno sviluppo edilizio disordinato e qualche gregge al pascolo ormai incurante di quel serpentone grigio del raccordo anulare che striscia senza tregua, giorno e notte come fosse la nuova cinta muraria, stavolta decisamente invalicabile, della città eterna. Nello spaesamento dell’albergone, reso attrattivo dalla multimedialità dell’evento e da un’organizzazione che solo chi ha conosciuto il lavoro agricolo può vantare, ha preso corpo un dibattito che soprattutto per merito dell’impostazione del segretario uscente e a gran voce riconfermato, Giovanni Mininni, ha saputo connettere le problematiche sindacali di un settore difficile con i grandi temi del mondo: la pace, i diritti, la legalità, l’ambiente, le donne. A Mininni va anche il merito di una solida cultura delle radici, di un richiamo alla storia che non inficia, anzi rafforza, la proiezione nel futuro.

Il lavoro crea il futuro, dunque. In effetti, il lavoro agricolo ha costruito l’Italia. Esso si colloca su un nesso cruciale per la vita: quello tra produzione di cibo e alimentazione, bisogno ineludibile per l’umanità. Nel tempo ripetuto di innumerevoli generazioni, il lavoro degli agricoltori ha prodotto beni alimentari, paesaggio, valori sociali e virtù civiche che diventano valori e patrimonio. Anche la democrazia italiana deve molto ai contadini e alle campagne. Così è stato quando c’era da costruirla, dopo la dura parentesi del fascismo; e così deve tornare ad essere oggi che la democrazia è in crisi, insidiata dal neoliberismo e dalle emergenze – reali, artefatte o enfatizzate che siano – brandite come clave dal potere politico con la complicità della maggioranza del sistema mediatico.

Settore primario, si chiama significativamente in economia l’insieme delle attività concernenti l’agricoltura, la pesca e tutto ciò che concerne l’approvvigionamento alimentare. Dovrebbe essere primario anche nei diritti, invece non è così, come si può osservare su tanti territori. Il Molise è una regione piccola e rurale, specchio del declino italiano, emblema, non da ora, della marginalizzazione delle aree rurali e interne, ma anche possibile laboratorio di rinascita, di riscatto verso le disuguaglianze crescenti e i diritti mancati. Qui non ci sono raccordi anulari o albergoni e la campagna si distingue ancora bene dalla città. Al loro posto c’è spesso l’abbandono, una rarefazione sociale e produttiva che rende più difficile anche il lavoro. Al congresso della FLAI era rappresentata insieme all’Abruzzo da donne e uomini che conoscono bene la campagna e l’agricoltura, le fatiche in essa racchiuse, ma anche le opportunità che il settore può dare al lavoro, alla salute, all’ambiente; una delegazione formata da Florinda Di Giacomo, Nadia Rossi, Cristina Bianucci, Elia Di Cecco, Angela Brandolino, Juri Lanciaprima, El Rhaouate Moammed e Leandro Saccomandi.

Da storico sono portato a collocare i fenomeni del presente su una linea lunga, che connette il passato al futuro. Osservando questa linea si possono vedere meglio i problemi e le opportunità, l’importanza dell’agricoltura e dell’agroalimentare, i diritti che non sono mai acquisiti per sempre, la sfida per ridurre le disuguaglianze tra lavoratori e tra territori: la necessità, dunque, di una giustizia sociale e ambientale. Le due dimensioni – la società e l’ambiente – dovrebbero essere collegate, mentre il capitalismo le ha separate. Per riunirle occorre cambiare modello, non solo migliorare o puntellare quello esistente. Spesso, oggi, si preferisce parlare della fine del mondo piuttosto che della fine del capitalismo, ma è dalla seconda che bisogna partire se vogliamo migliorare la società e salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica. Promuovere la seconda per scongiurare la prima, fermare la folle corsa del capitalismo. Chi lavora in agricoltura appare debole, come deboli appaiono i territori rurali, specialmente quelli piccoli e lontani; ma possono essere forti proprio perché, come dicevo, stanno su uno snodo fondamentale, quello della produzione di cibo, essenziale alla vita. È questo bisogno che ha mosso la storia, perché tutti dobbiamo mangiare.

Occorre partire da questa consapevolezza per ridare effettiva dignità al lavoro agricolo, riconoscere giusti salari e diritti ai lavoratori e alle campagne di questa Italia spaesata, la cui Costituzione ci dice che dovrebbe essere fondata sul lavoro, non sull’impresa o sul mercato: sul lavoro.☺

 

laFonteTV

laFonteTV