il sonno dei partiti europei   di Giovanni Di Stasi
30 Marzo 2013 Share

il sonno dei partiti europei di Giovanni Di Stasi

 

Pierluigi Bersani lo ha detto con chiarezza: se riuscirò a varare un governo, porterò a Bruxelles alcune richieste urgenti ed inderogabili. La prima riguarderà l'esigenza di allungare i tempi del risanamento e di dare priorità assoluta al rilancio dell'economia e dell'occupazione. Una richiesta che nasce dalla consapevolezza che, senza un forte protagonismo dell'UE, nessun paese può spezzare la spirale della crisi.

Sono del tutto convinto della buona fede di Bersani e, se si realizzeranno le condizioni auspicate, sono certo che manterrà i suoi impegni. Qualche dubbio continuo a nutrirlo sulla qualità delle risposte che l'iniziativa di Bersani, o di un altro Primo Ministro italiano, riuscirà ad ottenere da un Consiglio Europeo che ha recentemente rivisto al ribasso il budget relativo al 2014/2020, rispetto a quello del 2007/2014, e che non possiede né la volontà né strumenti operativi adeguati né uno straccio di progetto condiviso per dare un  futuro al vecchio continente. Il Consiglio Europeo è impegnato a galleggiare sul delicato equilibrio degli egoismi nazionali e le richieste italiane non riusciranno a distrarlo più di tanto dal suo obiettivo principale. Per questo, mentre spero che Bersani possa far sentire la sua voce come possibile capo del governo italiano, devo dire con molta amarezza che, come segretario del PD, avrebbe potuto e dovuto fare molto di più in Europa.

I capi di governo dei paesi europei, che fino all'inizio di questo secolo hanno svolto un ruolo fondamentale per l'avanzamento del processo europeo, si sono avvitati in una doppia spirale di tutela degli interessi nazionali e di ricerca spasmodica del consenso per la propria rielezione. In passato è accaduto per Sarkozy,  oggi accade per la Merkel, domani accadrà per Hollande e così via. Il dibattito sulle prospettive dell'Europa è stato sequestrato e sostituito dal dibattito sulle aspettative di successo o di insuccesso dei principali capi di stato e di governo che siedono nel Consiglio Europeo.

A quelle aspettative sono state subordinate troppe scelte cruciali per il destino del vecchio continente. Il rischio per l'unità e la sopravvivenza stessa dell'Europa è ormai troppo grande, perciò ritengo sia giunta l'ora di bloccare questo processo degenerativo con un progetto politico condiviso che i principali partiti politici europei devono formalizzare e sostenere. Il loro primo compito deve essere quello di contribuire a sciogliere il nodo del profilo istituzionale da dare all'Unione Europea. Vogliono, come io spero, andare verso gli Stati Uniti d'Europa o preferiscono mantenere un inconcludente approccio intergovernativo in cui prevalgono i veti e i diktat dei paesi più forti sulle convergenze richieste dagli interessi e dalle urgenze generali? Su questo si pronuncino i principali partiti europei, a partire dal PPE e dal PSE, che sono fondati e organizzati dai partiti nazionali con il compito di contribuire a formare una coscienza politica europea e di esprimere la volontà dei cittadini dell'Unione.

Finora i partiti, compreso il PD di Bersani, si sono rinchiusi nei confini nazionali ed hanno pressoché ignorato il loro dovere di strutturarsi e di agire concretamente a livello europeo, lasciando campo libero al solo protagonismo dei governi. Ogni leader di partito ha aspettato di diventare capo di governo per cimentarsi nell'arena politica e istituzionale europea, ma l'infelice condizione dell'Europa di oggi deve spingere ciascuno di loro ad andare oltre. Di Europa i partiti devono occuparsi sempre, indipendentemente dal fatto di essere forza di governo o di opposizione, strutturandosi a livello continentale e chiarendo il loro progetto per consentire ai cittadini europei di partecipare al dibattito ed alle scelte sul futuro dell'UE. Se i partiti genuinamente europeisti non usciranno dal torpore nel quale sono immersi da tempo, lasceranno spazio alle formazioni populiste ed euroscettiche che già oggi sono le uniche a parlare quotidianamente di Europa.

Questa riflessione, che potrebbe apparire del tutto avulsa dalle dinamiche politico-istituzionali in atto, deve essere ancorata alle ultime significative vicende che sono accadute nel Parlamento Europeo e che avevamo auspicato. Il Parlamento Europeo ha appena bocciato il progetto di bilancio 2014/2020 predisposto dal Consiglio. Lo ha fatto votando, con 506 voti favorevoli, 161 contrari e 23 astenuti, una risoluzione predisposta dai principali gruppi politici, che chiedeva di rinegoziare il budget settennale dell'UE. Si tratta, a questo punto, di capire se i gruppi politici che hanno promosso quella risoluzione e i parlamentari che l'hanno votata hanno voluto fare un gesto politico puramente simbolico. Se, al contrario, partendo da quel voto, volessero provare a correggere la linea fallimentare del Consiglio Europeo, promuovendo un dibattito politico capace di coinvolgere i cittadini del vecchio continente sulla loro prospettiva comune, devono mettere le principali formazioni politiche europee di fronte alle loro responsabilità. Sarebbe un'occasione straordinaria per i partiti politici che potrebbero tornare, in questo modo, a parlare di futuro e di speranza, a tessere un nuovo rapporto con i cittadini e a  ritrovare se stessi. ☺

giovanni.distasi@gmail.com

 

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