Lavoro e sussistenza
4 Gennaio 2016
laFonteTV (3152 articles)
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Lavoro e sussistenza

Secondo i dati forniti recentemente dall’Istat e dal Ministero delle Politiche Sociali, più di cinquantamila persone, in Italia, non hanno fissa dimora, vivono cioè per strada, e sono aumentati in numero rispetto a qualche anno fa. E non si tratta solamente di stranieri! Da qualche tempo, purtroppo, è apparsa sulla scena una nuova categoria sociale, quella dei working poor [pronuncia: uorchin’puar]. Chi sono costoro?

Sebbene abbiano  un’occupazione,  sono tutte quelle persone che – ci dice la definizione del dizionario Treccani – “si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito, dell’incertezza sul lavoro, della scarsa crescita reale del livello retributivo, dell’incapacità di risparmio”.

“Poveri che lavorano”: è questa la traduzione (senza ironia!) della locuzione inglese,  costituita dal sostantivo collettivo poor (poveri) e dal verbo work (lavorare). L’espressione è stata utilizzata in ambito sociologico dapprima negli Stati Uniti, ma, come abbiamo accennato, i working poor esistono anche nella società italiana e, nostro malgrado, sembrano essere sempre in aumento! Hanno a carico altri componenti del nucleo familiare che sono disoccupati; sono anziani che mettono la loro pensione a disposizione del resto della famiglia; sono donne separate  che devono garantire i figli che vivono con loro; sono immigrati che – quando trovano un lavoro – sono sottopagati o sfruttati. Paradossalmente una povertà generata dal lavoro o, per meglio dire, dalla sua attuale “qualità” .

Le società europea ed americana si stanno confrontando con l’aumento della povertà alimentare e abitativa e le misure finora poste in campo non appaiono efficaci. Gli esperti parlano di emergenza povertà nel cuore dei paesi ricchi: spese impreviste, insicurezza esistenziale dei giovani senza lavoro o formazione, condizioni di marginalità in cui vive la maggior parte dei migranti sono solo alcune delle cause di esclusione sociale e di emarginazione. Avere una occupazione non sempre riesce a tenere fuori dalla povertà se stessi e la propria famiglia: un reddito modesto, specie se è il solo e se ci sono figli minori, può non essere sufficiente a far fronte ai bisogni di una famiglia.

Nel suo saggio, Il lavoro non basta, Chiara Saraceno sostiene che le nuove povertà, che stanno interessando il ceto medio, non possono essere combattute solo con l’artificiosa e faticosa creazione di posti di lavoro. Pensare che l’aumento dell’occupazione generi automaticamente una riduzione della povertà può, infatti, essere un’illusione, se non si considera attentamente di che tipo di occupazione si tratta. È necessario andare oltre le sole politiche dell’offerta di lavoro fatte sin qui e di cui tanto ci si vanta in campo nazionale ed anche locale!

Occorre investire nel contrasto alla povertà, riconoscendo che quanto è stato fatto finora – in Italia e in Molise – non ha dato i frutti sperati, ma ha evidenziato la miopia (per non dire arroganza) di una classe dirigente lontana dai bisogni concreti della collettività. Un paese civile e non (ancora) povero dovrebbe affrontare la questione del diritto alla sussistenza dei suoi cittadini e di tutti coloro che vi risiedono legalmente.

I dati statistici, che chiudono l’anno 2015 con il loro carico di tragicità, sono un richiamo alla nostra mancanza di consapevolezza circa la gravità delle condizioni in cui versa la nostra società, al nostro rifiuto di leggere attentamente il mondo che ci circonda.

Forse dovremmo ricordarlo, nel voltare pagina verso il nuovo anno.☺

 

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