L’incontro
Era un grigio tardo pomeriggio di fine novembre 2001, lei aveva la fissa(zione) di vestirsi con la cravatta nera sulla camicetta bianca. L’ho incontrata all’harris Pub di via Zamboni, era appena uscita dallo studio presso il quale lavorava e mi sorrideva. Io ero stato mandato a “parlamentare” con il suo capo per un possibile e complicato mio trasferimento a Bologna da Milano. Volevo rientrare a Bologna dopo cinque anni passati nella città lombarda. Ovviamente c’era di mezzo il Diritto del Lavoro.
Mi avvicinai per offrirle una birra, ma lei voleva un crodino. “Qui non vendono crodini mia cara, bevi una birra” dissi, ma niente… voleva proprio un crodino, “cominciamo bene” pensai. Cambiammo locale.
Dopo tre mesi aprimmo uno studio a Termoli che si occupava (e si occupa tutt’ora) di diritto del lavoro, la nostra più grande passione, in un appartamento di due stanze, a ridosso dell’Hotel Mistral, che ci aveva locato un vecchio maestro di scuole elementari che si vociferava fosse omosessuale, persona perbene.
Nella sua stanza avevamo anche adibito una postazione minuscola e scomoda per il praticante, anzi una praticante, Marialetizia, sua cugina. Il bagno era l’archivio, in attesa di fare un po’ di soldi e permetterci uno studio più grande.
Intanto scrivevamo in modo ossessivo, studiavamo sempre. “Marianna sul lavoro interinale – all’epoca non c’era ancora la somministrazione – c’è soltanto una sentenza del Tribunale di Milano, troppo poco per vincere, però la tesi è convincente, che facciamo?” La facciamo! “Ok, scriviamo”. Dovevamo provarci anche se il rischio di soccombere era altissimo.
Intanto iniziava a farsi spazio nella sua mente l’idea di diventare magistrato, in realtà questa era una cosa che aveva in testa da sempre. Ne parlò anche quella sera all’harris Pub, ma io per qualche anno l’avevo in qualche modo convinta a desistere. Decidemmo di frequentare per un anno un corso per la preparazione al concorso recandoci a Napoli due volte alla settimana. Lei non aveva tanto tempo per studiare, tuttavia in occasione dell’esame superò la prova di diritto penale.
Passarono anni e nello studio arrivò un giovanotto tutto sorrisi e capelli folti e arruffati, con una laurea in mano conseguita a Parma e un patrimonio immobiliare infinito in tasca. Lo prendemmo, anche se con noi c’entrava poco: Mauro Plescia. Si rivelò prezioso non solo perché ci colorò le giornate (noi ridevamo poco) ma anche perché amò Marianna.
Passarono in studio altri giovani (Mimmo, Tiziano, Michele e nell’ultimo periodo Aldo) tutti bravi soprattutto nel sopportare i miei frequenti momenti di ira e la sua estrema intransigenza, atteso che Marianna era dolce, carina, sorridente, ma estremamente dura e rigorosa nelle sue convinzioni: lasciava poco spazio al caso, tutto doveva incastrarsi – così diceva – doveva rientrare nel suo sistema mentale e di pensiero, soprattutto se poi i temi erano di natura ideologica.
Altra grande passione che aveva era il calcio, di cui io non ho mai capito nulla – quindi me ne parlava poco per non mettermi in imbarazzo -, mentre lei sapeva di schemi di sostituzioni, 4-4-2, 5-3-2 e quando si confrontava con gli altri, prevalentemente uomini, li azzittiva. Tifava per il Napoli, come suo padre. Le sue città del cuore erano Napoli e Bologna.
Sulla napoletanità eravamo molto affini e spesso improvvisavamo parti di commedie del grande Eduardo che sapevamo a memoria tra i libri e i codici qui in studio: “Cuncè’ fa freddo fuori? Si fa freddo, fa freddo Lucariè, il freddo non l’ho inventato io, lo ha inventato Nostro Signore Gesù Cristo” “t si fatt vecchije Cuncè”…
È stata una delle prime donne ad ideare con don Antonio e altri la struttura di questo giornale, oltre ad avere uno spazio – che insieme a me – dedicava ai temi relativi allo sfruttamento e al diritto del lavoro in generale. Poi non abbiamo più scritto, non so perché, forse a causa della sua malattia, forse per la mia indolenza.
È passato tanto tempo, ora me ne rendo conto, è lunedì mattina del 18 maggio, Marianna non c’è più da tre giorni, nella sua stanza in Corso Umberto c’è la scrivania vuota, la sua penna bleu e quel cazzo di pupazzo di legno di fianco al computer, che poi è Pinocchio.☺
Se mi ami non piangere
perché l’amore non può morire.
Forgiata dall’amore dei miei
ho amato la vita
e sono vissuta amando.
Ho amato il diritto e la giustizia,
tra oppressi e oppressori
ho fatto una chiara scelta di campo.
Ho dato il mio contributo
perché un mondo in cui
una sola persona soffre meno
è già migliore.
La primavera può perdere fiori
ma i frutti andranno a maturazione.
Se avremo amato
non saremo vissuti invano.
Marianna Salemme
