Lo spitting
Con il vezzo tipicamente italiano di nobilitare ogni cosa usando un po’ di inglese lo spitting è la pratica diffusissima nel mondo di Bacco di sputare … il vino! Questione di primaria importanza per chi Bacco lo ha scelto come professione e, non soltanto per diletto o mera passione, per sopravvivere a verticali monovitigno e orizzontali comparative, anteprime di botte in batterie da sei da terminare nell’arco di un massimo di due ore.
Ecco, in questi casi, state pur certi che il ritrovarsi la bocca nera è solo uno dei possibili inconvenienti. Poi c’è il momento degli assaggi per la Guida e le collaborazioni con le riviste, le visite aziendali programmate, convegni, commissioni, fiere e post fiere, per cui accade che, tra una visita a una distilleria, un’intervista in Franciacorta, ci siano anche altri vini da assaggiare, magari a casa, perché è il momento di “chiudere” le rubriche oppure perché alla sera i vostri amici, vostro marito, e tutta la vostra benedetta vita privata vi attende per un aperitivo o, tutt’al più, per un calice di vino: ché tanto, cosa vuoi che sia…
Ecco il perché della sputacchiera, oggetto tanto vituperato a partire dagli anni ’50, che vanta però una bella evoluzione ergonomica e, di conseguenza, di costume. La sua prima comparsa, come rudimentale cassettina in legno, ricolma di segatura o di sabbia, si deve ai saloni da barbieri perché pare che fosse affare da uomini sputare per terra, inequivocabile segno di manifesta virilità. Essa si diffuse poi nelle camere di alloggio, nelle sale di trattenimento, nei corridoi, nei vestiboli dei pianerottoli delle scale ed in altri ambienti abitabili in numero adeguato salvo che, con il boom economico e igienista dagli anni ‘70 in poi, le sputacchiere sono andate rapidamente scomparendo ovunque tranne che in questo bizzarro mondo del vino. Chiamate anche più elegantemente “fine degustazione” sono di tutti i materiali e di ogni fattezza: ottone, alluminio, vetro, ceramica, rame, legno o porcellana; tondeggianti, spigolose, ricurve, in miniatura, di piccole, grandi, medie dimensioni e ancora in anfora, in vecchie barrique, coperte, scoperte, con canale di scolo o senza.
Ovviamente, anche l’approccio alla sputacchiera cambia da degustatore a degustatore e, il più delle volte, questo modus operandi riflette un preciso retaggio culturale. Alcuni grandissimi degustatori francesi, per dire, sanno farlo con estrema eleganza, che quasi non te ne accorgi, mentre s’inchinano come se si trovassero di fronte a una bella donna durante un baciamano. Altri ancora, per lo più asiatici e, nella fattispecie i cinesi, sono precisissimi, e sanno farlo senza inconvenienti ovvero, per chi mi capisce, senza fastidiosi schizzi che, al di là dell’orrore della contaminazione possono anche andare ad oltraggiare il vostro abito chiaro. Gli americani, poi, lo fanno con un senso pratico che lascia sbalorditi, come se non avessero mai fatto altro, e vi si approcciano sollevando la sputacchiera a mani nude mentre, chissà come, sorreggono il calice e pure l’iPad coi loro programmi di archiviazione. I tedeschi, pure, sono assai disinvolti, ma meno zelanti di noi nel farlo perché, forse, sono semplicemente meno oberati o, più probabilmente, perché restano dei grandi, grandissimi bevitori. Molto “precisini”, in questo senso, sono poi i degustatori polacchi i quali, di natura, mantengono un aplomb che restituirebbe dignità anche al più triviale dei costumi. I russi, invece, è difficile vederli servirsi di una sputacchiera: quando lo fanno, il più delle volte, si tratta di un segnale preoccupante, che non prenderei propriamente alla leggera. Quanto agli italiani, la maggior parte di noi lo fa con scarsa convinzione, col fazzolettino riparatore a salvare l’abito dai terrificanti inconvenienti di un’ inadeguata mira e sempre un po’ goffi e rammaricati per il peso, inconscio di un’antica vergogna e, perché no, di un cattolicissimo senso di colpa.☺