Nient’altro dal fronte
Manuela Mori vive fra la metropoli (Milano) e il mare (Marina di Cecina) e, dopo La matrice della terra (Sigismundus Editrice, 2016) e Siamo corpi da abbracciare (Nuova Palomar 2020), giunge ora alla sua terza raccolta, un agile librino, pubblicato da ETS di Pisa nel 2024 con il titolo Chiaroscuro. Si tratta di una piccola messe di brevi e lievi testi, di grande delicatezza, con cui questa voce poetica trascorre con sensibile tratto sui principali aspetti della vita: gli affetti che ci circondano e che occasionalmente perdiamo lungo lo scorrimento delle generazioni, i paesaggi in cui ci muoviamo e i personaggi che li popolano – per esempio un clochard ubriaco, forse slavo, sotto una malinconica luna, o «la ferita della vita che fiotta/ negli occhi di un cane mentre muore ucciso/ mentre perdona tutti, mentre perdona dio». E, con l’ultima delle quattro lapidarie sezioni (Fuori, Dentro, Oltre, L’arte) il bisogno di lasciare di noi una traccia, o di illuderci di lasciarla, attraverso una qualche manovra creativa: «Di quel che passa intorno e vive dentro,/ ciò che resta nel mio libro non è tutto./ Gli spazi bianchi sono il tempo fermo,/ che non ha colori, sono i vuoti disumani/nei sentimenti./ Non è tutto e non tutto è vero./ Appresi l’arte di vergare il sogno./ Ciò che cesella la mia parola/ è anche immaginario […]». La poetessa / il poeta è in prima linea, consapevole che «più inutile è l’arma,/ più serve a resistere/ e la Poesia è la più inutile/ nel miserabile regno del Gran Commercio./ Niente altro dal fronte, al momento».
Questa rubrica s’intitola «Lampi di poesia» e il taccuino di Manuela Mori si presta particolarmente a fermarne alcuni, musicali e densi di sentimentali risonanze: «I tramonti lentissimi di luglio» è un perfetto endecasillabo che si raccorda ad altre captazioni da momenti estivi, specialmente osservati nel loro declinare giornaliero o stagionale: «In questo scollinare di luce/ fra barbagli di foglie mature,/ l’estate se ne va senza clamore»… «Lungo la strada di Marina antica/ l’estate se ne va senza rumore»… Così che, forse di conseguenza (e non senza un possibile aggancio al dolce «naufragar» dell’infinito leopardiano), «si vorrebbe naufragare chissà dove». All’estate segue «Settembre,/ mese di sere messe in fila ad asciugare/ al primo fiato dell’autunno,/ mentre l’estate sanguina al suo fianco/ e lentamente muore». Settembre, mese che «spande afrore d’agonia/ e tanta trasparenza da offuscare», mentre condivide profumo di bucato e inclinazione ad alternare lindure e foschie con il suo ‘antipodico’ «Aprile, nome limpido e brumale,/ lino disteso al sole ad asciugare».
Il teorema di fondo di questo terso libretto si può scorgere in quest’ altro ‘fulminante’ distico: «Essenzial- mente siamo psiche ferita,/ tenuta in vita da una follia meravigliosa».
E di là dalla vita? Nella sezione Oltre leggiamo che «Ciò che si chiude qui subito s’apre,/ ci abbraccia mentre ci dice addio». È un’altra delle nostre grandi speranze «dal fronte, al momento». Così, dagli spalti della sua ‘fortezza’ di versi – e con una nuova occorrenza del suo evitare di mettere un punto alla fine, lasciando aperta la poesia – questa sottile, tenerissima voce poetica può introdurre interrogativi e riflessioni di questo taglio:
Dove saranno finite le risa di mia madre.
Quelle rare risate trattenute
come di chi tema di troppo essere felice,
cifra di una vita che del bene sa tutta la fatica.
Ti penserò per sempre nella luce
del poco più che sera,
seduta fra le mura di cucina,
mentre sollevi gli occhi in un sorriso
che ai morti, madre, non appartiene
